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Jean Baudrillard: la perdita del reale
• Jean-François Lyotard: la fine
delle grandi narrative
• PM e marxismo: Jameson e Eagleton
Jean Baudrillard: la perdita del reale
Jean BaudrillardIl lavoro di Baudrillard si estende su due piani: da un lato l'analisi dei rapporti tra strutturalismo e marxismo, dall'altro la critica della tecnologia nell'era moderna della riproduzione mediatica. Le sue osservazioni riguardo al disinteresse sempre maggiore (a partire dalla fine degli anni 70 e durante gli anni 80) degli intellettuali di sinistra per la politica, accompagnate da discorsi iperbolici e apocalittici, lo portano ad elaborare messaggi sensazionalisti sulla "perdita del reale" e dell'apparenza nella cultura dell'iperrealismo.
Secondo lui, viviamo in un epoca di "simulazioni" in cui la realtà svanisce lasciandoci alle prese unicamente con le apparenze. Non esiste più attorno a noi un mondo esterno "reale" al quale i segni si possano riferire, perché c'è soltanto un'«implosione di immagini e realtà». La realtà si definisce unicamente nei termini del media all'interno del quale è veicolata. La televisione, soprattutto, accentua la proliferazione di immagini vuote, auto-generative e auto-specchiantesi, e finisce per prendere forma nella società a-culturale moderna, specialmente quella statunitense.
Baudrillard vede il PM come scomparsa del significato, inerzia, esaurimento e fine al contempo della soggettività e della storia. La sua affermazione più provocatoria è che la Guerra del Golfo non sia avvenuta realmente ma che sia stata una "guerra televisiva", un evento mediatico o uno spettacolo: «è irreale, è la guerra senza i sintomi della guerra».
La sua concezione dell'arte e della letteratura è quella del pastiche: la ricombinazione continua, lo spezzettamento e la ripetizione di pezzi di un passato perduto. Questa concezione si avvicina molto alla produzione letteraria della science-fiction "new wave" e della cyberpunk fiction, così come a una generazione di film che vanno da Blade Runner alla serie Terminator, a Universal Soldier.
Jean-François Lyotard: la fine delle grandi narrative
Come membro di un gruppo rivoluzionario marxista, Lyotard ha portato avanti una ricerca "post-marxista" in ambito sia filosofico che linguistico e letterario. Per lui, il capitalismo, il maschilismo e tutte le forme di pensiero ideologico che caratterizzano il mondo moderno derivano dalla cancellazione della figuralità e dalla sua prematura traslitterazione nella forma della discorsività. Esiste infatti un livello - quello del figurale, del desiderio, della libine - che è plurale e eterogeneo, ma che viene forzato dalla ragione ad assumere un significato unitario.
Sulla base di Nietzsche e Wittgenstein, Lyotard sostiene che i criteri secondo cui regoliamo oggi le "rivendicazioni di verità" derivano da "giochi linguistici" discreti e dipendenti dal contesto, non da leggi assolute. Ad esempio la scienza, nella sua fase "moderna", attinge a due tipi di narrativa: quella dell'Illuminismo e della tradizione rivoluzionaria, e quella dell'unità della conoscenza associata all'hegelianismo. In realtà, afferma Lyotard, nessuna di queste "metanarrazioni" o "grands récits" oggi è credibile. L'Illuminismo, infatti, è visto come l'origine di disastri politici e sociali come la guerra nucleare o i pericoli ecologici. I risultati della modernizzazione sono stati la burocrazia, l'oppressione e la miseria.
PM e Marxismo: Jameson e Eagleton
Fredric JamesonTutta l'opera di Jameson è un'analisi delle questioni sollevate dal PM sui cambiamenti politici, economici e sociali. Egli sostiene che il PM non sia uno dei tanti movimenti moderni, bensì lo stile dominante che prende rilevanza nel contesto di una società del tardo capitalismo. Esiste infatti, secondo lui, un legame profondo tra i poteri nucleari ed elettronici dell'economia multinazionale globale da un lato, e la profondità, la frammentarietà e l'eterogeneità delle immagini proprie della cultura post-moderna dall'altro.
Il PM ha abolito la frontiera (mantenuta viva dai modernisti) tra alta cultura e cultura di massa. Esso si caratterizza per un'attrazione per il kitsch, per i paesaggi degradati, per le serie televisive, gli show, i film di serie B e le pulp fiction. Contrariamente al Modernismo (vedi Joyce, ad esempio), la cultura commerciale non è citata per essere parodizzata, ma è letteralmente inglobata dall'arte post-moderna. La caratteristica principale di questa cultura, secondo Jameson, è il pastiche.
Il problema principale, per jameson, è quello di combinare insieme l'accettazione generale della società post-moderna e l'impegno verso il Marxismo. Infatti, mentre da una parte condivide le idee di Baudrillard riguardo alla società moderna come una società priva di referenti reali, dall'altra sente la necessità di mantenere una distinzione tra superficie e profondità all'interno di una dialettica tipicamente materialistica, che si vede sempre capace di cambiare e trasformare i connotati sociali, politici e culturali.
Nella sua ricerca, Eagleton sottolinea l'importanza del concetto marxiano di feticismo della comodità. Questa espressione si riferisce al processo mistificatorio con il quale il lavoro umano è trasposto nel prodotto: il valore e il tempo impiegati nella produzione di un oggetto sono visti come qualità appartenenti al prodotto in sé, e non relativi al lavoratore che produce. Questa incapacità di vedere i prodotti per quello che sono è la base dell'alienazione sociale e dello sfruttamento. Eagleton considera questo "feticismo" come una categoria estetica: per lui, questo processo è immaginario, ma presuppone che la mente umana, alienata, veda questa immaginazione non come una sua creazione, ma come una cosa che abbia un'indipendenza oggettiva.
Un media è un mezzo di comunicazione di massa, col quale si diffondono, si trasmettono o si distribuiscono segni portatori di messaggi scritti, sonori e/o visivi (come la televisione, la stampa, il cinema, la radio, ecc. - e negli ultimi anni anche Internet). [torna al testo]
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