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Il Calamaio di Boka

di Tiziano Gorini

Nella categoria: HOME | Teorie letterarie

Un dialogo tra padre e figlio diventa un'occasione per un confronto generazionale su questioni semiotiche e teoriche dell'approccio a un testo letterario.

Padre: Francesco, guarda il giornale, questa foto..

Figlio: Beh? Sono studenti che protestano, di questi tempi mi pare piuttosto normale.

P.: Sì. Ma come protestano? Vedi che hanno questi cosi, dei pannelli, una sorta di scudi con dei titoli di libri. Come fossero dei guerrieri della cultura. Bell'ironia, che è espressione di intelligenza, mentre la violenza è sempre stupida e triste.

Ebbene, che titolo ci leggi?

F.: .I ragazzi della via Pal .

P.: Ti ricorda niente?

F.: L'ho letto quando ero piccolo, anche se me lo ricordo vagamente. Però ricordo pure che me l'hai fatto leggere per forza.

P.: Ma non è vero! Mi limitavo a mettertelo sempre sotto il naso, consigliandoti di leggerlo perché ti avrebbe avvinto e commosso. Non poteva essere altrimenti, dato che è il racconto di sentimenti originari ed eterni, di amicizie e di avventure, di illusioni e delusioni. Il classico romanzo di formazione.

F.: E avevi ragione. Leggendolo mi sono veramente commosso quando alla fine il ragazzino.come si chiamava.? muore.

P.: Nemecsek. Ancora lo rammento, come dimenticare una delle rare volte in cui mi hai dato ragione? Tuttavia c'è un altro fatto che ricordo bene, perché mi colpì molto.

F.: Quale?

P.: Quando iniziasti a leggerlo ti fermasti subito, alla seconda pagina, e venisti a chiedermi cos'era un calamaio, quella cosa che Boka si mette in tasca alla fine della lezione. Avevi letto quella parola ma non capivi cosa significava, perciò volevi una spiegazione, per poter proseguire la lettura. E io te la detti.

F.: Tutto qui?

P.: Sì e no.il problema è che spiegartelo non fu semplice, e mentre lo facevo cominciarono a galleggiarmi nella mente delle idee.

F.: Cioè?

P.: La prima era piuttosto ovvia: il mutamento, del modo di vivere, degli oggetti che usiamo, delle esperienze che facciamo. Tu non potevi sapere che cosa è un calamaio, per il fatto che era un oggetto ormai in disuso, praticamente scomparso. Nel tuo mondo, semplicemente, non c'era. Dunque non c'era neanche nell'enciclopedia che ti portavi dentro la testa, dove è entrato soltanto dopo che ti ho illustrato cosa fosse. Ed ecco un'altra idea interessante: la differenza tra mondo ed enciclopedia interiore; noi generalmente pensiamo che coincidano invece no, perché possiamo conoscere molti oggetti tramite libri, film, internet, soprattutto tramite la scuola dove ci rovesciano addosso valanghe di nozioni astratte, ma senza che se ne abbia l'esperienza. Allora può succedere (anzi mi pare succeda sempre di più) che si possieda una ricca enciclopedia ma un mondo povero.

F.: Prevedo dove vuoi andare a parare: la solita solfa che noi giovani viviamo più virtualmente che realmente, ma non è così, di' pure che abbiamo mondi diversamente ricchi; ad esempio io ho viaggiato molto più di te, conosco tanti posti e tanta gente che tu non conosci. Nel mio mondo non c'è il calamaio però c'è Tallin, la casa dei miei amici a Rhode Island, e anche le strisce pedonali di Abbey Road. E tantissime altre cose.

P.: Giusto. Ma ti mancano gli orti, o l'odore della stalla, o il fruscio della vela quando la barca vira, un po' di natura, insomma. Ma non divaghiamo. Quello che pensai mentre ti spiegavo del calamaio era che potevo solo dartene una descrizione, un significato, quello che i filosofi definiscono un "tipo cognitivo".

F.: I filosofi come te, che complicano tutto.

P.: Come Wittgenstein, piuttosto. Comunque potevo dartene niente di più di una vaga idea. Invece per me il calamaio è una nebulosa di percezioni, di stati d'animo, di ricordi. Provai a raccontartela, ma mentre ci provavo mi accorgevo che era incomunicabile, proprio perché non potevamo condividere la stessa esperienza. In fondo si tratta soltanto di una boccettina di vetro che contiene l' inchiostro in cui si intingeva il pennino della penna. Se sfogli il dizionario trovi più o meno queste parole, e certamente tu allora, sia pur vagamente, comprendesti che oggetto era, o meglio ne apprendesti il tipo cognitivo. Tanto basta, forse, per riconoscerlo, magari in qualche negozio di antiquariato. Credo di essere stato uno degli ultimi alunni ad usarlo, in prima elementare (in seconda cominciammo già ad usare la penna a sfera), perciò la tua domanda schiuse la memoria e la nostalgia: la fraganza degli odori e delle luci dell'aula, i colori dei libri e dei quaderni, il brusio di noi bambini, la polvere del gesso che scivolava sulla lavagna nera, ma soprattutto il profumo dell'inchiostro, lo scricchiolare del pennino sulla pagina, le temibili macchie che spargeva ovunque, su fogli, mani, grembiuli (con tua nonna arrabbiata che lavava.). Vita vissuta in un tempo che appare magico, che "'ntender no la può chi non la prova.".

F.: Ci mancava la citazione poetica!..

P.: Pardon. Comunque ora puoi capire perché mi emozionò parlare del calamaio e perché me lo rammento così bene. Tuttavia mentre tentavo inutilmente di comunicarti queste mie emozioni mi resi anche conto che mi ero imbattuto in un caso esemplare di problema letterario.

F.: Ah! Allora sono diventato maieutico, come Socrate. Mi spiace per te che questo tipo di conversazioni poi sono diventate rare.

P.: Purtroppo. Ma comprendo che crescendo hai trovato interlocutori e questioni più interessanti, ahimé. Comunque ti espongo il caso, con le mie riflessioni: tu inizi a leggere il romanzo, ma ti fermi perché non comprendi una parola.

F.: Strano, di solito quando mi capita non mi interrompo ma cerco di capire aiutandomi col contesto del discorso.

P.: Probabilmente ti comporti così ora (come facciamo tutti ) perché sei diventato un lettore più esperto. Ti sforzi di interpretare. Ebbene, è proprio questo il problema: l'interpretazione. Prendi un cacciavite, ad esempio: il suo significato risiede nella funzione, se sai a che serve ne comprendi la forma e l'uso; ma se prendi un libro ciò non basta, perché lo devi leggere, devi decifrare il testo che supporta, altrimenti è insignificante, muto. Il testo dunque richiede di essere interpretato, prevede una cooperazione tra l'autore ed il lettore, che lo attualizza leggendolo. Però tale cooperazione è sempre un azzardo, poiché dipende da molteplici fattori: la competenza linguistica, quella culturale, la capacità di presupporre e compiere inferenze, ecc.; può perfino stravolgere le intenzioni dell'autore, volontariamente o involontariamente. Nel tuo caso la cooperazione tra scrittore e lettore si era bloccata, non poteva proseguire neanche facendo ricorso al contesto linguistico.

F.: Perché?

P.. Non avevi punti di riferimento. Mettiamo che io legga I promessi sposi .uffa!, ma perché ogni volta che si parla di letteratura salta fuori questo romanzo?

F.: Lo dici a me? A scuola mi ci hanno tormentato.

P.: E te lo hanno fatto detestare, bel risultato. Comunque ecco l'incipit: "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno."; ora, io sul lago di Como non ci sono mai stato - e son certo che non c'è stata neanche la maggioranza dei lettori manzoniani - per cui non posso proprio rappresentarmelo, però posso rappresentarmi genericamente un lago (cioè il tipo cognitivo del lago): uno specchio d'acqua, una riva coperta di vegetazione, un sentiero che la percorre, ecc., quindi in qualche modo comprendo, "vedo" la scena, il narratore sta comunicando con me. Tu invece non potevi farlo, Molnar non poteva comunicare con te, a causa del blocco dell'interpretazione.

F.: E perché avrebbe dovuto o voluto comunicare con me? Forse che un autore prevede il futuro?

P.: No. Ma prevede il suo lettore, o suppone di prevederlo mentre scrive, o inconsapevolmente se lo immagina. Insomma nella sua mente esiste un lettore virtuale a cui invia il suo messaggio e ciò è fondamentale per la costruzione dell'opera e per la sua decodifica. Infatti quando il lettore non è quello ideale non si sa quale decodifica si verificherà.

F.: O se si verificherà. Perché magari se non ci fossi stato tu a spiegarmi del calamaio io mi sarei interrotto e non avrei mai letto I ragazzi della via Pal .

P.: Appunto. C'è un sonetto di Dante che dice: "Guido, I' vorrei che tu, e Lapo ed io"; dunque non c'è dubbio che il lettore ideale di Dante è Guido (Cavalcanti) e possiamo star certi che non ci siano stati tra loro problemi di comunicazione e di interpretazione; quel sonetto però è stato letto da migliaia di lettori, quindi ci sono state migliaia di decodifiche, più o meno valide, magari aberranti, ma Dante non ha potuto farci niente. In fondo la storia della letteratura è anche la storia della scomparsa del lettore ideale: Dante poteva rivolgersi a Guido Cavalcanti, o comunque ad un lettore definito, Ariosto sapeva che si rivolgeva a dei cortigiani che condividevano comunque la sua cultura e il suo modo di vivere, ma già Manzoni ironicamente si rivolgeva ai suoi non meglio identificati "venticinque lettori" e oggi, nella società di massa, uno scrittore deve rivolgersi a tutti e, quindi, a nessuno. Perché tutti, alfabetizzati grazie alla scuola, possono leggere tutto. Così l'ungherese Molnar scrive nel 1907 un romanzo e un ragazzino italiano lo legge; ovviamente lo aveva scritto per i suoi contemporanei, per chi sapeva cos'era un calamaio, tuttavia accade che lo legga qualcuno che non lo sa, perché è un postero e vive in un altro mondo. Chi può prevedere il destino di un'opera?

F.: Messa così la cosa sembrerebbe che lo scrittore sia un naufrago che mette il messaggio nella bottiglia e la getta in mare sperando che qualcuno la trovi.

P.: Bravo, bel paragone. E naturalmente non può sapere se affonderà, se qualcuno la troverà e, posto che sia trovata, se il messaggio sarà leggibile, come sarà letto, se sarà creduto, ecc.

F.: Di conseguenza la letteratura che mi hanno noiosamente fatta studiare a scuola sarebbe una baia dove le correnti trasportano le bottiglie dei naufraghi.

P.: Mah.più che la baia la spiaggia, però bisogna considerare che sulla spiaggia si trovano dei lettori un po' speciali, degli studiosi dei messaggi che, in base a qualche criterio non molto chiaro e comunque modificabile nel tempo, decidono quale bottiglia buttare e quale conservare, quale messaggio far leggere ad altri aspiranti lettori e quale tenere da parte.

In effetti soltanto alcuni testi tra moltissimi superano la propria contemporaneità e tra quelli che la superano pochi diventano esemplari, ovvero formano l'archivio tramandato della letteratura. Parafrasando Levi potremmo dire che ci sono i libri sommersi e i libri salvati.

F.: Visto che li abbiamo paragonati a messaggi in bottiglia definirli sommersi mi pare appropriato.

P.: Ovviamente i sommersi sono quelli che giacciono sul fondo del mare, cioè quelli che non furono letti o una volta letti furono perduti o dimenticati, tuttavia i salvati, quelli che galleggiano, galleggiano in modi diversi. Potremmo descrivere la letteratura come una biblioteca composta da tre scaffali: uno in basso, stracolmo, di testi "nominati", che stanno lì e solo rarissimamente vengono letti, da qualcuno di quei lettori speciali di cui ti dicevo prima; un altro scaffale mediano, che contiene i "ricordati", un po' di testi che sono conosciuti da molti lettori anche non specialisti ma sono poco letti; infine lo scaffale dei "canonici", pochi e notissimi. E anche lettissimi, poiché la loro lettura viene imposta a generazioni di studenti in virtù della loro reputazione, che fa sì che si ritengano culturalmente, moralmente ed esteticamente esemplari. I libri della tribù. Ad esempio nel primo scaffale troveremo la Divina Commedia e I promessi sposi , nel secondo il Milione e Le confessioni di un italiano , nel terzo la Semana di Folgore da San Gimignano e Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto.

F.: Mi par di rivedere l'indice della mia vecchia antologia.

P.: Infatti il manuale scolastico è la materializzazione del canone letterario. E scommetto che se vai a riguardarla troverai la conferma che alcune opere vi sono soltanto nominate en passant, liquidate in poche righe. Per questo io contesto il canone, perché ci sono dei testi, ad esempio il Dialogo sopra l'ottica neutoniana di Francesco Algarotti, che ritengo dei capolavori. Guarda caso Algarotti era famoso nel '700 ed ora è quasi dimenticato: è una delle molteplici prove che si possono addurre contro l'infallibilità dei lettori specialisti, i letterati, e la validità dei criteri che adottano. Dei testi esemplari invece si fa un gran parlare nei cosiddetti luoghi deputati, com'è la scuola, ma io credo che sia soprattutto un vaniloquio.

F.: Sono d'accordo! Perché è proprio quel che pensavo dei miei insegnanti di Lettere durante le loro lezioni..

P.: Poveretti, lasciali perdere. La maggior parte di loro non s'accorge che sta facendo la sentinella a un bidone vuoto. D'altronde hanno una formazione intellettuale umanistica troppo gravata dalla tradizione classicista e romantica, stentano a comprendere i mutamenti culturali in atto. Per un matematico nulla è più importante della matematica e per un fisico nulla è più importante della fisica. Solo che il matematico e il fisico non hanno problemi nel giustificarsi, mentre i docenti di Lettere devono un po' arrampicarsi sugli specchi sostenendo ancora il primato culturale della letteratura. Detto con brutale sinteticità: se lo scopo è indagare l'essere umano per quale motivo dovremmo affidarci a più o meno verosimili opere letterarie intrise di miti e senso comune piuttosto che alle ricerche dell'antropologia, della sociologia, della storia, della psicologia? Piuttosto si dovrebbe fare della letteratura, o meglio delle opere letterarie, un oggetto di studio per queste scienze, dato che sono comunque espressioni culturali, di esseri umani e di civiltà.

F.: Ma tu guarda dove ci ha condotti il calamaio di Boka . vorresti considerare un Leopardi o un Manzoni alla stregua di un boscimano intervistato da un etnologo?

P.: Beh, perché no? Tra l'altro credo che Manzoni ne sorriderebbe, Leopardi invece sogghignerebbe.

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La fotografia, se non ricordo male, è stata pubblicata su "Il corriere della sera" del 23 dicembre 2010, a corredo della cronaca della manifestazione studentesca svoltasi a Roma il giorno precedente contro la riforma dell'università. [torna al testo] F. Molnar, I ragazzi della via Pal , 1907. [torna al testo] Boka è il comandante dei ragazzi della via Pal, i quali si scontreranno con le Camicie Rosse di Feri Ats per difendere il loro campo che esse vogliono conquistare; la "guerra" - un tempo gioco, ma piuttosto serio e cruento, diffuso tra i ragazzi dei quartieri cittadini - finirà però tragicamente con la morte di uno di loro. [torna al testo] Questo riferimento, che per i più giovani potrebbe risultare incomprensibile, è un dispetto di mio figlio perché sa che amo i Beatles. Sulla copertina del loro disco Abbey Road c'è appunto la foto del quartetto che attraversa le strisce pedonali di Abbey Road; foto che fece nascere molto leggende, per cui quelle strice sono diventate un luogo di pellegrinaggio dei fans dei Beatles. [torna al testo] E' l'11° verso del sonetto "Tanto gentile e tanto onesta pare", nella Vita nuova di Dante Alighieri. [torna al testo]

 

Tiziano Gorini (Livorno, classe 1953), ha trascorso una vita estenuandosi nel provare ad insegnare Lingua e letteratura italiana e Storia; all'insegnamento ha sempre affiancato la ricerca, spaziando dalla critica letteraria all'epistemologia, dalla storia della scienza alla pedagogia. Ha pubblicato con M. Carboni e O. Galliani Le stanze di Ophelia, il manuale di storia della letteratura Excursus e Il professore riluttante. Di se stesso pensa di essere una brutta copia dell'uomo rinascimentale, perché come gli umanisti del Rinascimento girovaga tra i molteplici campi della conoscenza e dell'arte, ma - a parer suo - con mediocri risultati. Nel tempo libero soprattutto legge e scrive, altrimenti se ne va a contemplare il mare e le nuvole.

   

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