di Ciro Sorrentino
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Introduzione al pensiero poetico di Sylvia Plath
Prima di passare all'analisi testuale, vogliamo aprire una parentesi sul mondo poetico di Sylvia Plath, sul suo particolare modo di tradurre in parole e versi la sostanza di un pensiero che, prima ancora d'essere mediazione di idee, è ragione morale e pura comunicazione con l'essenza stessa dell'universo.
Dai suoi scritti, si evince sempre un modo personale e particolare di osservare la realtà: sembra quasi che le sue meditazioni abbiano inizio nel chiuso di una stanza, al lume di una scrivania, nella cui luce filtrano immagini che si sovrappongono e che le danno l'opportunità di sondare l'infinito, i sentimenti, l'eternità.
E di tali enti Sylvia Plath analizza e percepisce ogni sfumatura, ne coglie i segni positivi e le contrarietà, sempre filtrando le scoperte attraverso una sensibilità e una fantasia che rappresentano il suo estro e la sua genialità.
Nonostante i toni severi, a volte malinconici, si avverte il suo desiderio di librarsi alla ricerca di un cielo terso e nitido in cui volare, di un orizzonte che, tra spume celesti e correnti marine, diriga il suo naviglio alla ricerca della verità.
E con le poche certezze di chi possiede una mappa, ma non la bussola, si inoltra in un viaggio di conoscenza che la porta, nelle metafore dei suoi versi, a compiere meravigliose scoperte, a illuminarsi di fronte a prodigi imprevedibili, ad apparizioni che rivelano una dimensione invisibile che è un paradiso di inquietudine, uno spazio d'attesa dove il tempo scorre lentamente.
La sua è parola poetica, accezione che si fa verso vivo, termine elegiaco che si estranea alla folla delle parole banali che non hanno nulla della sua riflessione tagliente e salvifica.
Nel chiuso del suo mondo contemplativo e con il suo linguaggio netto e conciso, Sylvia Plath accoglie le ombre, le immagini fantastiche o reali, che chiedono di essere rappresentate e di essere ricordate come emblemi d'assoluto.
La sua meditazione è un colloquio metafisico che attraverso l'osservazione dello spazio e delle cose, giunge a proiettarsi fuori dall'oggettività per porsi ad indagare il mistero dell'esistenza.
Il suo linguaggio netto e preciso individua subito l'ambito della ricerca e si avvale di termini e simboli adatti a mediare e veicolare le sue scoperte e i suoi incontri con un mondo altro, un mondo dove le sue intuizioni nascono da una costante intermediazione tra emozioni e pensiero.
Al fondo della sua ricerca poetica c'è un desiderio d'attesa che carica il dolore nella meditazione intellettuale, in quella stessa saggezza dei più grandi pensatori e filosofi antichi.
Questo desiderio, la conoscenza del vero, è sana inquietudine, ansia di scrutare non già la natura di luci, colori e suoni, ma di andare oltre il visibile per aderire al soprannaturale.
Ecco perché Sylvia Plath svuota la parola dei suoi orpelli, facendo uso di termini più netti e circostanziati, che possano rendere la drammaticità di una realtà mistificata che devia l'indagine verso la banalità del quotidiano esistere.
Dopo queste brevi note, sulla poetica e lo stile di Sylvia Plath, veniamo all'analisi di un suo inciso poetico nel quale è facile individuare quella disposizione d'animo e di pensiero di cui sopra abbiamo definito almeno le linee essenziali.
Il paradigma dello specchio
"Adesso io sono un lago. (.) In me lei ha annegato una ragazza,
da me gli sorge incontro giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso."
(estratto, con tagli, da "Specchio" di Sylvia Plath)
Per una lettura completa della poesia "Specchio" rimandiamo al blog di Ciro Sorrentino - Letteratour
Si è già detto della relazione specchio/io/Sylvia, in questa sede, nostro primo intendimento è isolare alcuni topos, verificarne la singola valenza, nell'ottica di un discorso più ampio sulla poetica di Sylvia Plath.
Iniziamo dicendo che, a dare respiro e parola allo specchio, è la stessa Sylvia Plath, e che le voci inferenti i versi potrebbero facilmente essere "ribaltate".
In relazione a quanto detto, forniamo, per atto di chiarezza, la nostra ri-costruzione, fondando il verbo poetico su Sylvia Plath, piuttosto che sullo specchio.
Ultimo guizzo allo specchio
Nel fondo del tuo cristallo
vedo magie d'acqua -
o mio amato lago,
rimescola le correnti,
fa che i miei occhi
siano quelli d'allora,
innocenti occhi sognanti.
Orrenda triste visione -
deforme un corpo
riemerge
dall'abisso,
porta in sé i vermi,
l'orrido putridume di carne
lacerata da spumose lame affilate.
No, tu non hai colpa alcuna,
le tue immagini parlano -
altri pesci guizzano,
non li riconosco,
giovani e verdi i miei
aprivano e chiudevano
schiere d'emozioni e pensieri.
Rielaborazione "Empatica" - C. Sorrentino
Tensione drammatica
Riconducendo il nostro discorso all'intendimento iniziale, puntiamo la nostra attenzione sul luogo (lo specchio/lago), sulla donna che scruta dal suo presente (la voce narrante di Sylvia Plath), sul tempo trascorso per la giovinetta felice e spensierata (l'età felice in una "città del sole"), sulla prossima fine (una vecchia, pesce mostruoso).
Rispetto al "luogo" e al "tempo", lo specchio/lago è elemento di comunicazione interiore, rappresenta la necessità di scoprire il fondo della propria anima e il flusso di energie emotive che condizionano anche il pensiero.
Lo specchio/lago accoglie il bisogno di chi guarda al fondo della sua coscienza e dialoga con le ragioni profonde del suo essere.
Sylvia si guarda dopo aver assaporato il dolore e la delusione di una vita (una delle sue nove vite di gatto. Al riguardo, è possibile consultare due articoli nel Blog di Ciro Sorrentino, "Lady Lazarus"), e, nonostante tutta l'amarezza che l'assale, possiede ancora l'energia per riprendersi dallo stordimento e cercare una possibilità che le dia modo di ricominciare attraverso l'esorcizzazione e la razionalizzazione della sofferenza (in questa fermezza di osservare la "vecchia, pesce mostruoso", in cui versa la sua vita presente, diventa eroina e non vittima).
La mimesis della morte
Eccola turbata a scrutare la realtà del tempo, lo spazio delle cose che si sovrappongono nell'inesauribile scorrere dei giorni che sollecitano, con nereggianti tinte e atmosfere, la sua triste angoscia, spingendola in una solitudine appesantita da una foschia inattesa, da una turbolenza di pensieri che per un attimo la privano della capacità di poter orientarsi e discernere una via d'uscita.
Ma la sua forza d'animo, il suo coraggio, la sua tensione ad essere la guidano nel coacervo di idee, e le mostrano i segni di un'insolvibilità ad essere che, quando non controllata, può rivelarsi nefasta al punto da bruciare sogni e speranze di rinascita.
La sua lungimiranza la porta a comprendere che la sua via è irta e piena di ostacoli e impedimenti, è come se fosse un cerchio chiuso che deve necessariamente oltrepassare, perché possa liberarsi dal peso di un passato colmo di pene e sofferenze, di vite centrifugate e decadute prima ancora di iniziare il viaggio dell'oltre.
In tale circostanziata condizione sentimentale e intellettuale, Sylvia Plath è cosciente di aver subito un torto dalla vita, che sottrae e prende, senza preavviso, tutto ciò che di positivo può rendere felici e sereni.
La sua capacità di discernere il vero le consente di porsi al di là dell'incendio, che sulla graticola incenerisce le emozioni vere, gli affetti creduti, i desideri precipitati irrimediabilmente, perché contraddetti da una realtà che non dà tempo di pensare, una realtà che vieta l'opportunità di soffermarsi ad ascoltare ed assaporare la dolcezza della vita.
È come se la frenesia, che impera in tutte le cose, togliesse la possibilità di aderire alla purezza degli affetti, per cui non le rimane, come alternativa salvifica, che annullare i ricordi ed estraniarsi alle finzioni di un mondo spento, artefatto e disarticolato.
Il viaggio terreno
Una fatale distorsione temporale, uno scarto dimensionale, la disarticolazione alienante della realtà irrompono mostruosamente come un destino cui non è possibile sottrarsi.
Ora avanzano asfissianti l'assenza definitiva e il nulla opprimente, il prossimo salto nel buio dell'indistinto nega ogni possibile opzione di scelta e di libera adesione al presente della sua vita.
La realtà lascia una gelida e asettica calma nel cuore di Sylvia che comprende il suo inesorabile franare: sembra quasi che avverta l'asimmetria della categorie dello spazio e del tempo, della vita che si accanisce come un ciclone, che recide ogni barriera per contrarre l'animo, facendolo prima implodere e successivamente centrifugare in una miriade di desolate strade, quasi un labirintico e vorticoso perdersi nel vuoto sconfinato senza speranza.
Quella di Sylvia è l'angosciante presa d'atto d'una pena irreversibile ed irrisarcibile, una pena provocata dall'inesorabile incalzare di una realtà che non dà scampo. Un'irrevocabile torsione spaziale e temporale precipita ogni fede in un buio infinito, la morte (morte come logorio mentale e psicologico, "impaludamento" del mondo degli affetti e dei sentimenti) le nega ogni possibile opzione di scelta e di adesione alla vita.
L'oscuramento del sogno è solo il triste scenario che anticipa il vero dramma che si concretizza nella tragica condizione esistenziale della creatura, cui non resta altra scelta se non quella di vedersi in un'immensa piana deserta e desertificata dall'inconsistenza del tempo oggettivo.
Si conclude così il suo viaggio storico: davanti allo specchio ha vissuto la giovinezza e ora sente il nulla che avvolge il suo essere.
Prima di chiudere questo articolo intendiamo fornire due esempi di "lettura empatica", di cui già si è detto nel blog di Ciro Sorrentino
Magia e misticismo
Il nucleo drammatico ed elegiaco della poesia "Specchio" si condensa nell'inciso "una vecchia, pesce mostruoso", una frase paradigmatica di un evento particolare che, da un lato, segna la fine, dall'altro la rinascita.
Tale "rinascita" si lega alla capacità di Sylvia Plath di esorcizzare i "sintomi" del dolore, scoprendo nella rovina del tempo storico, ben altri segni: un'acredine e un sorriso amaro che la eleva al di sopra di una vita estranea ed oscura.
La donna triste e sola canta la sua pena, la razionalizza, ed esorcizzando il dolore, riconosce in esso i segnali di un futuro ignoto e di un destino altro, in una nuova disposizione a vivere.
Quello che rimane a Sylvia, che la fortifica e la sostiene, è la sua ragione che le vieta di cedere ad una realtà inspiegabile, dove l'assurdità impera e tradisce le attese.
Quantunque la disarmonia della storia, abbia segnato questa sua vita (si ricordino le nove vite del gatto), lei sa che nuove primavere vivrà nei giardini fioriti della sua infinita scienza del tutto.
Il sogno e la ragione
In "Specchio" Sylvia Plath analizza e rivive le esperienze di una realtà che racchiude e incatena la sua vita, una vita che, come un torrente, a tratti rallenta e altre volte impetuosamente tutto travolge.
In questo altalenarsi di sensazioni, Sylvia percepisce e subisce, senza poter nulla fare per cambiare o modificare il corso degli eventi: l'ennesima vita è al suo "limite".
Eppure, sotteso al dolore, è il bisogno di illuminare le buie pareti della realtà con le tinte dei fiori, così da riempire il mondo di atmosfere estatiche e di spazi onirici da riconquistare.
In questo contesto, se la memoria crea "turbolenze" magiche, la ragione ripercorre le fasi storico - cognitive che provocano disagio psicologico ed emotivo.
Sylvia Plath avverte il peso di un dolore che l'accompagna da sempre, una pena intima ed indicibile che si rinnova e si intensifica dinanzi allo specchio, laddove ritrova il suo viso incupito e appassito come petalo di una rosa sfaldata e percossa dal tempo.
Ma ogni tentativo di svincolarsi dall'oscuro presente, fallisce, e per sentirsi ancora viva, per cercare una dimensione che le dia consistenza e fede, si allontana saltando come un "pesce mostruoso".
La chiusa, apparentemente rovinosa, scopre però il desiderio di inseguire il proprio mondo interiore: Sylvia, dopo aver raggiunto il fondo tragico della disperazione, trova dentro di sé l'impulso e lo slancio vitale per emanciparsi e ritrovarsi a vivere con trasparente chiarezza, oltre un silenzio di morte.
Quantunque la disarmonia della storia, abbia segnato questa sua vita (si ricordino le nove vite del gatto), lei sa che nuove primavere vivrà nei giardini fioriti della sua infinita scienza del tutto.
Ciro Sorrentino nasce a Torre del Greco il 08/04/1964. Cultore di studi umanistici, si è specializzato nell'esercizio di una pluriennale docenza. La sua ricerca spazia dalla letteratura moderna e contemporanea alla filosofia teoretica. Recensore e critico pirandelliano, ha pubblicato il saggio Luigi Pirandello. La coscienza della realtà su Letteratour. E' poeta, articolista e collaboratore del sito Le perle del cuore. Attualmente gestisce quattro siti intitolati a Sylvia Plath.
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