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I Cenci
tra Shelley e Arthaud

di Gioia Nasti

Nella categoria: HOME | Articoli critici

A. La storia della famiglia Cenci
B. Shelley e The Cenci
Arthaud, Les Cenci e il Teatro della Crudeltà
Shelley e Arthaud a paragone

A. La storia della famiglia Cenci

Il mito dei Cenci ha sempre suscitato un grande interesse tanto negli autori, quanto nell’immaginazione della gente comune.

Verso la fine del Cinquecento, la maggior parte dei componenti di questa famiglia romana morì di morte violenta. Il personaggio più terrificante del casato fu il Conte Francesco Cenci, un uomo sadico e lussurioso, che godeva delle sofferenze altrui, specie di quelle dei propri familiari. Egli utilizzava i privilegi e la ricchezza per rabbonire il Papa e fargli chiudere un occhio sui crimini che commetteva. Francesco Cenci fu ucciso dalla figlia Beatrice per aver commesso su di lei un atto illegale e soprattutto immorale, apoteosi della sua oppressione sui familiari: uno stupro incestuoso.

Beatrice fu aiutata nel parricidio dai fratelli Giacomo e Bernardo e dalla matrigna Lucrezia. Per portare a termine l’omicidio, essi si rivolsero a due assassini, Olimpio e Marzio, che eliminarono il Conte Cenci inscenando un incidente. Fu soltanto l’arresto di Marzio, mentre tentava di uccidere Olimpio, che portò il misfatto alla luce; Marzio, infatti, sotto tortura, confessò tutto. Nonostante si proclamasse innocente, Beatrice fu condannata a morte con tutti gli altri mandanti, tranne Bernardo, che fu graziato per la sua giovane età, sebbene fosse condannato alla confisca di tutti i suoi beni furono confiscati.

Questa storia suscitò un enorme interesse già nel Cinquecento, oltre che per i suoi aspetti criminali e morbosi, anche perché tutte le ricchezze dei Cenci confiscate andarono a rimpinguare le casse del Papato e dello Stato della Chiesa. E fu proprio questo particolare che contribuì a far insorgere il dubbio che Beatrice fosse veramente innocente e che la condanna a morte fosse stata soltanto una macchinazione da parte della Chiesa per potersi impadronire dei beni di famiglia.

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B. Shelley e The Cenci

Shelley conobbe la storia della famiglia Cenci quando era a Roma, grazie ad un manoscritto che verosimilmente gli fu dato da Stendhal. La tragedia The Cenci fu terminata nel 1819; Shelley, però, si discostò dalla sua fonte, cercando di adattare la storia alle sue convinzioni, condensando la storia di un anno in una sola settimana. Omise l’ateismo e l’omosessualità del Conte e trasformò Giacomo e Bernardo da due figure minori in personaggi di una certa statura, che rappresentavano rispettivamente la vittima di un’assurda oppressione ed il simbolo dell’innocenza stravolta, caratteristiche che si ritroveranno anche nel personaggio di Beatrice. Monsignor Guerra divenne, nella finzione teatrale, Orsino, un prelato astuto, egoista e machiavellico, innamorato di Beatrice.

The Cenci può essere letta come un’esplorazione psicologica sulla dicotomia tra bene e male. Questa tema, molto frequente nella produzione di Shelley, gli derivava da una visione manichea del mondo, secondo la quale esso è nettamente diviso appunto tra bene e male. Anche Prometheus Unbound, il suo capolavoro, affronta questa tematica, ma in maniera diametralmente opposta. Mentre Prometheus Unbound, infatti, è costruito su un livello idealistico, The Cenci resta su un livello più realistico. Come Beatrice, anche Prometeo è oppresso da Giove ed è condannato ad una tortura eterna. Le due coppie di personaggi, Conte Cenci-Beatrice e Giove-Prometeo potrebbero formare gli elementi della seguente equazione:

CONTE CENCI : GIOVE = BEATRICE : PROMETEO

Nonostante questa corrispondenza, c’è una differenza abissale tra Beatrice e Prometeo. Innanzitutto, Prometeo è l’eroe che rappresenta un mondo ideale in cui le persone riescono a rompere quella catena di malvagità, che altrimenti sarebbe inevitabile, replicando al male ed alla tirannia con il perdono e la sopportazione. Shelley, infatti, nella Prefazione alla sua tragedia The Cenci, afferma che

“the fit return to make to the most enormous injuries is kindness and forbearance … Revenge, retaliation, atonement are pernicious mistakes”

Beatrice, d’altro canto, è un personaggio reale in un mondo reale, che deve lottare con i problemi reali della vita. Prometeo sopporta eroicamente le sue sofferenze e per questo motivo viene ricompensato con la libertà grazie ad Ercole. Beatrice, invece, è costretta a risolvere da sola la situazione di cui è vittima e a sopportarne le conseguenze. Dopo l’uccisione del padre, il legato papale arriva al castello. L’ironia di questo momento è altamente significativa, poiché, se Beatrice avesse aspettato e rimandato l’omicidio, si sarebbe liberata del padre con altri mezzi, leciti questa volta. Ma Beatrice non è Prometeo.

Ciò che viene messo in evidenza in tutta la tragedia è la assoluta infondatezza teologica e legale, su cui, invece, Beatrice ha fondato le sue azioni. Ambedue sono viste come assunti umani, nati con l’unico scopo di opprimere l’umanità. Da qui la costante ironia presente nella tragedia: Beatrice è condannata da una legge ingiusta e tirannica per un’azione che sembra essere, agli occhi del pubblico, l’unica soluzione ad una violenza ancora più grande.

Il tema teologico è presente in più punti come attacco al Cattolicesimo, visto da Shelley come un sistema per creare oppressione. Sia il Conte Cenci che Beatrice sono cattolici, ma la loro relazione con Dio è del tutto particolare: ambedue ignorano le forme usuali del rito cattolico, nessuno dei due fa riferimento ai sacramenti oppure prega per la mediazione dei Santi o della Vergine, ambedue si rivolgono direttamente a Dio, un Dio particolare, secondo Shelley, che il Cattolicesimo ha trasformato da Dio dei Vangeli e dell’Amore a spirito di odio nel quale ogni uomo riesce a trovare uno stimolo per la sua sete di potere.Il Conte Cenci si sente addirittura vicario di Dio e trova in lui una giustificazione alle sue azioni o un appagamento dei suoi desideri. Anche Beatrice si rivolge a Dio, ma il suo Dio non è né il Signore potente invocato da suo padre, né il Dio dell’amore in cui Shelley credeva; è più semplicemente l’unico che la sua religione distorta può offrirle: un Dio giusto ma vendicativo, che arriva perfino giustificare l’omicidio. Inoltre, una nota di peculiare malvagità sembra caratterizzarlo. Infatti, sia Beatrice che il Conte Cenci chiedono a Dio di esaudire i loro desideri, ma pare che Egli ascolti soltanto il Conte; tutto ciò che Beatrice chiede, infatti, resta senza risposta. Sembra quasi come se Dio, come padre, avesse una particolare affinità con Francesco Cenci e, per questa ragione, come se fosse più facile esaudire le sue richieste e perdonare i suoi crimini, da una parte, e punire Beatrice e far fallire i suoi piani, dall’altra.

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Artaud, Les Cenci ed il Teatro della Crudeltà

Les Cenci qui seront joués aux Folies-Wagram à partir du 6 mai prochain ne sont pas le Théâtre de la Cruauté, mais ils le préparent”. Così scrisse Antonin Artaud, parlando della tragedia Les Cenci, nella sua opera Autour du Théâtre et son double et des Cenci. Egli intendeva “crudeltà” non tanto, e non soltanto, come atti violenti da portare in scena, ma soprattutto come “cruda realtà”. Les Cenci fu il primo grande esempio di questo tipo di teatro. Artaud aveva in mente una serie di rappresentazioni, sicuro del successo della tragedia. Sfortunatamente, Les Cenci fu un completo fallimento. La prima rappresentazione si tenne il 6 maggio del 1935, seguita da 16 repliche soltanto, neanche tanto affollate. Da allora, Les Cenci fu portata in scena solo un’altra volta, al teatro Odéon, nel 1981.

L’incesto è, ovviamente, il centro della tragedia e tutta l’opera gira ovviamente intorno al Conte Cenci, presentato come personaggio demoniaco. Tre furono le scene sulle quali Artaud concentrò la sua attenzione: la scena del banchetto, la scena dell’assassinio e la scena della tortura. La scena del banchetto è una scena carica di tensione; l’attenzione è concentrata sul personaggio del Conte, che decide di organizzare un banchetto per festeggiare qualcosa che tiene segreto. La tensione cresce sempre più fino ad arrivare al suo acme quando egli rivela finalmente il motivo della sua gioia: i suoi figli ribelli sono morti. L’affermazione suscita meraviglia e disgusto, incredulità e paura allo stesso tempo, eppure nessuno osa contrastare il Conte oppure opporsi a lui.

La scena dell’assassinio si presenta terrificante fin dall’inizio. Artaud fa scegliere ad Orsino due assassini muti, che devono uccidere il Conte durante il viaggio da Roma a Rocca della Petrella. Questa scelta permette all’autore di rinnovare la tecnica dell’assassinio in teatro: le scene violente non vanno più espresse a parole ma semplicemente rappresentate, perché da sole riescono ad esprimere tutta la drammaticità che devono trasmettere. La scena prosegue mostrando Beatrice con i due assassini, avvolti in impenetrabili mantelli, da cui il pubblico riesce a scorgere solo le mani. Esitano ed è solo la fermezza della ragazza a spingerli al delitto. La scena termina con la fuga degli assassini e l’apparizione del Conte Cenci, una mano sull’occhio destro in cui è stato conficcato il chiodo per ucciderlo; la tensione della scena è sottolineata dalla fanfara, la cui intensità cresce man mano che il sipario cala.

La scena della tortura, infine, mostra Beatrice appesa alla ruota per i capelli, le braccia torte all’indietro da una guardia. Suoni tipici di chiavi e chiavistelli e di urla di prigionieri fanno da sottofondo. Beatrice è angosciata da ciò che le accadrà dopo la morte, la cosa che teme di più: incontrare di nuovo suo padre. È qui che il Teatro della Crudeltà, inteso come modo di rappresentare la “cruda realtà”, da il suo ingresso a pieno titolo: la Beatrice di Artaud, a differenza di quella di Shelley, è una ragazza fragile, quasi isterica, come dovrebbe essere effettivamente dopo aver compiuto un simile gesto.

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Shelley e Artaud a paragone

Si è detto prima che Shelley conobbe la storia della famiglia Cenci mentre era a Roma. Egli vide in Beatrice le sofferenze di un’anima oppressa dalla crudeltà di un padre tirannico e dall’incomprensione della società riguardo i motivi che l’avevano spinta al parricidio. Artaud rinnova il mito dei Cenci, inserendolo nella disperazione esistenziale e nella crudeltà del suo tempo. La sua scelta è chiara: aveva bisogno di un’opera che potesse permettergli di mostrare le sue teorie sul Teatro della Crudeltà. Da una parte, la tragedia di Shelley stava guadagnando sempre più popolarità in Francia dopo le rappresentazioni dirette da Lugné-Poe, dall’altra la corrispondenza tra la storia dei Cenci e le sue idee sul Teatro della Crudeltà, spinsero Artaud ad adattare l’opera di Shelley e a portarla in scena.

La prima differenza, la più evidente, è la lunghezza della tragedia e la trasformazione da opera in versi ad opera in prosa. Artaud eliminò deliberatamente la versificazione, poiché credeva che il tempo dei capolavori pieni di retorica e magnificenza fosse ormai finito. Ovviamente, l’assenza di versificazione non significava affatto assenza di teatralità. Più semplicemente, mentre Shelley preferiva, attraverso molteplici espedienti, alzare il tono del dramma, Artaud voleva arrivare dritto al centro della questione ed affidarsi ad effetti scenici per aumentarne l’intensità.

I primi tre atti sono sostanzialmente identici, mentre si diversifica la restante parte, innanzitutto perché Artaud condensa in meno battute ciò che Shelley espande invece in due atti. Inoltre, egli sminuisce la figura di Orsino, che invece in Shelley ha una grande importanza. In The Cenci, infatti, è Orsino che fondamentalmente provoca quella catena di avversità che si verificheranno nel corso della tragedia. Egli dovrebbe consegnare la petizione di Beatrice al Papa, ma non lo fa per paura di perdere il potere che ha su di lei; spinge Giacomo e Beatrice a ribellarsi contro il padre tiranno; propone i due assassini per uccidere il Conte; coordina l’intero delitto fino all’omicidio e poi, cautamente, se ne tiene fuori finché, scoperto l’assassinio, fugge.

Per alcuni versi, è simile al personaggio di Iago nell’Otello shakespeariano; anche questi spinge i personaggi a compiere cattive azioni ed organizza una trama perfetta contro Otello e Desdemona. La diversità tra i due, a parte le loro vittime (al contrario del Conte Cenci, Otello non merita ciò che gli accade), risiede nel motivo che li spinge ad agire: mentre Orsino è sollecitato dalla necessità di eliminare l’ostacolo frapposto tra lui e Beatrice, Iago non ha alcuna ragione per accanirsi contro Otello se non la gioia di vedere gli altri soffrire.

Anche la Chiesa viene attaccata in maniera diversa, attraverso le connotazioni del personaggio di Camillo. Shelley pone l’accento sulla avidità del Papa, il quale chiede parte dei beni o del denaro del Conte per chiudere un occhio sui suoi misfatti; nella tragedia di Artaud, non è nemmeno tanto l’avidità che spinge la Chiesa a chiedere una sorta di “risarcimento” quanto l’opinione pubblica: il Papa si preoccupa essenzialmente non di rimpinguare le casse del suo Stato, bensì della “facciata pubblica” di ciò che accade, mostrando una ipocrisia senza eguali. In pratica, tutto è lecito purché si salvino le apparenze.

Se fino al parricidio il personaggio di Beatrice è più o meno simile nelle due versioni della tragedia, dopo l’assassinio del Conte Cenci, il comportamento cambia in maniera diametralmente opposta. La Beatrice di Shelley, convinta di aver compiuto il volere di Dio, si sente soddisfatta, ha acquistato nuovo vigore, è quasi spavalda; niente a che vedere con la tenera fanciulla degli atti precedenti. Artaud, invece, che voleva semplicemente mostrare un personaggio eroico, la dipinge completamente sconvolta da ciò che è accaduto; Beatrice sembra perfino pentita dell’omicidio compiuto ai danni di suo padre, e quindi sarà più facile, per lei, confessare durante la tortura.

Queste differenze riscontrate, sebbene non siano numerose, evidenziano come le due tragedie, benché procedano di pari passo nella narrazione e siano grosso modo simili nella costruzione dei primi atti, in realtà si distacchino l’un l’altra nelle parti fondamentali (l’assassinio, la costruzione di determinati personaggi, lo stile). Artaud, parlando della sua tragedia, aveva ammesso di aver preso spunto da Shelley e da Stendhal per la stesura della trama, ma aveva tenuto a puntualizzare che ciò non voleva significare aver adattato l’uno o imitato l’altro. The Cenci e Les Cenci, infatti, furono scritte plasmando la storia sulle intenzioni degli autori, che, vuoi per appartenenza a secoli diversi, vuoi per ispirazione, vuoi ancora per convinzioni personali, non potevano che essere differenti.

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