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Nell'interpretazione dell'opera
letteraria di Franz Kafka sono partita dalla considerazione che fosse
necessario sfatare una convinzione generalizzata su cui
si basa gran parte della critica attuale, e cioè che essa sia un
puro esercizio intellettuale privo di contenuto reale, un gioco letterario
o un mosaico di parole e immagini a sé stanti, staccate da ogni
possibile contenuto e da considerare come pura forma, contenitori vuoti
o significanti solo di se stesse, simbolo di per sè dell'alienazione
del pensiero e della parola. Per questo presunto "vuoto comunicativo"
l'opera di Kafka è stata spesso accomunata alla profetica negativa
delle avanguardie, o considerata come critica implicita del suo tempo.
Le interpretazioni di tipo psicanalitico o esistenzialistico che in un
qualche modo si ricollegano a tale ricezione sono a mio avviso troppo
aprioristiche e astratte, e poco adatte alla comprensione di questo autore.
Le interpretazioni 'classiche' di Kafka hanno tuttavia avuto il merito
di avere prodotto un'imponente mole di lavori critici,
che hanno tenuto desto l'interesse intorno a questo autore. Il "caso
Kafka", ossia la sua fama - che esiste se non altro in senso
negativo come esempio paradigmatico di incomprensibilità e astrusità
- è la diretta conseguenza del fatto che del suo mondo immaginifico
ed ermetico l'interpretazione resta veramente oscura.
I suoi stessi amici e biografi (tra cui in primo luogo Max Brod che ne
fu amico e promotore in vita, biografo e primo redattore delle opere inedite
dopo la morte) non hanno chiarito i misteri della sua scrittura, anche
se non potremmo fare a meno delle ricostruzioni biografiche che ci hanno
lasciato. Né la chiave della sua opera è facilmente desumibile
dagli scritti autobiografici, non meno criptici dell'opera letteraria.
Kafka sembra aver creato nelle sue
opere un mondo parallelo: a differenza della maggior parte degli
scrittori, che si limitano a descrivere il mondo che li circonda o ciò
che è dentro di loro, in lui la parola sembra segno di
qualcosa che, altro dalla comune esperienza della vita, si percepisce
come ineffabile e concreto al tempo stesso (pensiamo alla descrizione
- tanto più assurda quanto più realistica - dell'insetto
della Metamorfosi), ma dotata di tale pregnanza da accentuare
il mistero, e creare nel lettore tensione, curiosità e domande
senza fine.
Però oltre queste considerazioni è difficile andare: spiegare
qual è l'oggetto della sua scrittura è la scommessa di chi
si è cimentato con le sue opere - e le ipotesi sono innumerevoli
- ma alla fine molta critica si è orientata a considerare il suo
mondo come un insieme di significanti senza significato, tracce solo apparenti
di qualcosa che sembra non esserci.
Per parte mia ho sempre avuto la sensazione
che si dovesse e si potesse trovare un punto da cui partire per tentare
di individuare, almeno in parte, un "contenuto" presente nella
sua opera, e che questo non fosse impossibile - a patto di non restare
legati a giudizi a priori, ma attenendosi solo a ciò che Kafka
effettivamente dice nei suoi scritti, cioè alle sue stesse parole,
confortata in questo da un'opinione illustre, quella di Adorno, secondo
cui "L'autorità di Kafka è l'autorità dei testi"
(Appunti su Kafka, in: Prismi, Einaudi, 1972).
Unica premessa certa e incontestabile, desumibile in modo quasi intuitivo
dalla lettura della sua opera, è il suo autobiografismo
intrinseco, cioè il fatto che le sue immagini e le sue
metafore hanno un rimando personale direttamente collegato alla sua vita
ed alle sue percezioni.
Questo, che era il punto di partenza, è stato alla fine - meglio
definito e precisato - anche la conclusione cui sono pervenuta dopo un'attenta
analisi dei racconti di Kafka, il cui percorso è oggetto del saggio
Franz Kafka. La scrittura immanente. Non ho
condotto tuttavia un'analisi di tipo biografico, ma un'analisi puramente
letteraria, cui solo in secondo piano sono venuti in ausilio dati e riferimenti
biografici. L'indagine formale è sempre stata di fondamentale importanza,
poiché nella poetica kafkiana la forma è non solo mediazione
di contenuti, ma essa stessa significativa rispetto a ciò che comunica.
Nelle sue opere ritroviamo allora in gran parte una trasposizione della
vita, resa possibile e assurta a dignità letteraria grazie alla
mediazione del gioco narrativo e ai mezzi che esso mette a disposizione.
A titolo di esempio voglio portare il racconto La verità intorno
a Sancho Panza (analizzato nell'introduzione del saggio sopracitato),
in cui l'identificazione dell'autore con quest'ultimo risulta chiara se
abbiamo presenti alcune caratteristiche e abitudini di Kafka: come il
personaggio del suo racconto Kafka scriveva di notte, come lui esorcizzava
con la scrittura i suoi incubi e i suoi tormenti, come lui aveva bisogno
di tenersi ancorato alla realtà attraverso la scrittura. Una volta
stabilito il parallelismo, il racconto si rivela particolarmente interessante
perché ci dà la chiave del metodo d'elaborazione letteraria
del nostro autore: le figure della sua narrativa nascono come estrinsecazione
di un'emozione o di una percezione, ma si distaccano poi da questa assumendo
vita autonoma e, comportandosi come personaggi autonomi e a se stanti,
danno vita alla "trama", all'insieme degli avvenimenti, spesso
strani e sorprendenti perché frutto di fantasia creativa.
Se teniamo presente questa breve 'illustrazione'
della sua poetica come criterio interpretativo di fondo dei racconti molti
di questi diventano analizzabili e comprensibili, almeno nella loro struttura
di base. Ulteriore ostacolo lo si incontra nel dover distinguere
il piano della finzione letteraria e il piano della realtà ad essa
sottesa, ma anche questo non è stato un problema insormontabile.
Terzo momento "interpretativo" è la comprensione
delle metafore,
di cui la sua opera è quasi interamente costituita, perché
la metafora ha un 'punto di partenza' (l'immagine letteraria) e un 'punto
d'arrivo' (la situazione o il concetto cui rimanda). Comprendere quest'ultima
è il punto più delicato e difficile dell'intero lavoro,
anche perché ci si può scontrare con tante, già esistenti,
teorie interpretative, o interpretazioni a priori che rifiutano un significato
reale e concreto dei suoi scritti. Eppure di racconto in racconto, applicando
il metodo di cui ho fornito un esempio, la loro comprensione è
stata possibile. Il concetto che ho potuto focalizzare, e che è
in essi ricorrente e onnipresente - magari non l'unico, ma il più
ripetitivo e insistente - è la corrispondenza esistente
tra le immagini della letteratura kafkiana ed episodi, momenti ed emozioni
legati alla malattia da
cui l'autore era affetto, e che lo porterà a morte nel 1924, la
tbc polmonare, a cui egli allude descrivendone in forma criptica sintomi
e timori, speranze e disperazione. Malattia che ha influito sui suoi scritti
anche nei primi racconti, quelli dei primi anni del '900, poiché
essa, ritenuta comunemente presente solo a partire dal 1917, era invece
in atto già da allora - cosa che credo di aver saputo dimostrare.
Spero così di essere riuscita nel mio saggio a fornire un quadro
plausibile ed esauriente rispetto a tale tematica, ma saranno poi i lettori
a decretarlo.
Elisabetta
Bertozzi http://www.scritturaimmanente.it/
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