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Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché…
FRANZ KAFKA, Il Processo

di Remo Bromuro

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Il processo sotto... processo
Bibliografia

"Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua padrona di casa, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Ciò non era mai accaduto. K. aspettò ancora un po', guardò il suo cuscino la vecchia signora che abitava di fronte e che lo osservava con una curiosità del tutto insolita in lei, poi però, meravigliato e affamato a un tempo, suonò. Subito qualcuno bussò e entrò un uomo, che egli non aveva mai visto prima in quella casa. Era snello eppure ben piantato, indossava un vestito nero attillato che, come gli abiti da viaggio, era dotato di diverse pieghe, tasche, fibbie, bottoni e di una chiusura e che di conseguenza, benché non fosse chiaro a cosa dovesse servire, sembrava particolarmente pratico. "Chi è lei?", chiese K. sollevandosi a metà sul letto. L'uomo però sorvolò su quella domanda come se si dovesse accettare la sua apparizione e a sua volta disse soltanto: "Ha suonato?". "Anna mi deve portare la colazione", disse K. cercando sulle prime in silenzio, mediante l'attenzione e la riflessione, di stabilire chi mai fosse quell'uomo. Ma questi non si espose per molto al suo sguardo, si volse invece in direzione della porta che aveva lasciato socchiusa, per dire a qualcuno che evidentemente stava appena dietro la porta: "Vuole che Anna gli porti la colazione". Seguì un breve ridacchiare dalla camera accanto, non era chiaro dal suono se non scaturisse da più persone. Sebbene l'estraneo in questo modo non potesse aver appreso nulla che già non conoscesse prima, tuttavia disse a K. col tono di una comunicazione: "E' impossibile". "Questa sarebbe nuova", disse K., saltò fuori dal letto e si infilò rapidamente i pantaloni. "Voglio proprio vedere che razza di gente sta nella camera accanto e come la signora Grubrach giustificherà questa intrusione". Capì subito che non avrebbe dovuto dire questo ad alta voce e che, in tal modo in un certo senso riconosceva un diritto di controllo all'estraneo, ma lì la cosa non gli sembrò importante".

Questo è l'incipit de "Il Processo" di Franz Kafka nato a Praga nel 1883 da un ricco commerciante ebreo; si laurea in legge e dal 1908 al 1923 è impiegato in una società di assicurazioni. Malato di tubercolosi tracheale, vive isolato, la sua compagnia i tormentati rapporti con le donne, fra le quali Felice Bauer, sua fidanzata per due volte, Milena Jesenska, destinataria di un cospicuo epistolario, dal 1920 al 1922, edito nel 1952; e Dora Dymant. Solo nel 1974 sono state pubblicate le lettere alla sorella Ottla, parte di una corrispondenza che doveva essere molto più vasta.I suoi amici furono Urzidil, Kubin, Werfel, Buber e soprattutto M. Brod, biografo, critico e editore degli inediti, tra cui Der Prozess ("Il Processo") scritto dal 1914, al 1915 e edito nel 1925; e Das Schloss ("Il Castello") scritto tra il 1921 e il 1922, ma edito nel 1926; e numerosi racconti che il testamento di Kafka voleva fossero dati alle fiamme. Fino ad allora ha pubblicato soltanto delle brevi prose e Die Verwandlung ("La Metamorfosi"), edito nel 1916; una storia dove un uomo si desta una mattina trasformato in scarafaggio e, aborrito da tutti, sarà alla fine schiacciato dal padre. Ma nel primo decennio del secolo Kafka, aveva composto anche Beschreibung eines Kampfes; ("Descrizione di una battaglia"), in cui domina la figura dell'orante, plurinterpretata. Seguirono "La condanna", in cui il figlio ribelle al padre è condannato al suicidio, e il romanzo "America" scritto nel 1910 e edito nel 1927 che, rimasto frammento, narra la storia di un sedicenne ignaro che, avendo ingravidato una serva, è inviato dalla famiglia in America presso uno zio; lo zio ben presto lo respinge, così come lo licenzia l'albergo presso cui ha trovato lavoro. "Nella costruzione della muraglia cinese", scritto nel 1913 ma edito nel 1931 descrive l'interminabile lavoro di masse guidate da una burocrazia capillare e assurda, si hanno nel 1919 i racconti "Nella colonia penale" e "Il medico di campagna". Ma Franz aveva già abbozzato i suoi capolavori, Il processo e Il castello, congiunti da un'esperienza fondamentale, quella kafkiana per eccellenza: l'uomo si trova, senza colpe manifeste, in stato d'accusa, nelle mani di un'autorità assoluta e temporeggiatrice che non si dà mai a conoscere e i cui ingranaggi, burocratici, incarnano l'assurdo e insieme l'assoluto. Una sorta di divieto alla felicità e all'amore per la donna che grava sulla vittima, che non perde tuttavia mai una sua contraddittoria speranza in una legge superiore che invia ambigui messaggi di grazia al singolo: così come l'autore non cessa mai di credere nella possibilità di dominare l'angoscia con l'esercizio dell'arte.
I nessi fra tale visione della condizione umana e l'uomo vanno ricercati, oltre che nei Diari, in Lettera al padre, in cui hanno il sopravvento: l'esplosione del complesso edipico in un ebreo lacerato fra la disumanizzata società borghese, il morente mondo asburgico e la tradizione mistica dell'Europa orientale. Tra i racconti dell'ultimo anno di vita sono La tana, rantolo d'angoscia di un animale che teme ogni istante l'attacco di un immaginario mostro, che è lo sdoppiamento del suo stesso io, e L'artista del digiuno, dove in un digiunatore di professione che si esibisce in un circo adombra l'artista col suo orgoglio e la sua atroce estraneità alla vita. Insignito di un premio letterario già nel 1915, Kafka divenne famoso soltanto dopo il 1930 e trionfò negli anni Cinquanta, suscitando schiere d'imitatori e un vero e proprio "kafkismo". Attirò su di sé l'attenzione di tutta l'Europa occidentale e degli Stati Uniti d'America, influenzò autori come Sartre, Beckett e Camus, mentre restava relativamente sconosciuto in Germania anche a causa dell'anatema nazista. Nel 1990 sono stati raccolti, nel volume Lettere ai genitori dal 1922 al 1924, trentadue documenti, tra lettere e cartoline, ritrovati quattro anni prima. La loro lettura ha permesso di ricostruire il viaggio in Europa che tra l'estate del 1922 e la primavera del 1924 portò lo scrittore dalla Boemia, passando da Berlino, alla clinica austriaca di Kierling, dove si spense. L'ultimo suo scritto è del 2 giugno 1924, il giorno prima della morte.

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IL PROCESSO SOTTO… "PROCESSO"

Sia per Il processo che per Il castello valgono esteriormente unità di luogo e di tempo; teatro del primo è la Praga storica, del secondo un maniero campagnolo, forse quello del villaggio paterno di Wossek, che Franz conosceva dall'infanzia; l'azione de Il processo, dura un anno, pochi giorni quella de Il castello, al momento in cui il racconto s'interrompe. "Nell'ambito di queste due categorie sottoposte a processi di contrazione e dilatazione che ne richiamano altri, usati da artisti figurativi di quel periodo; nel rifiuto della psicologia e nell'impiego di tecniche che Kafka aveva assimilato da attori jiddish, conosciuti tra il 1910 ed il 1912, l'azione vera e propria appare di scarso rilievo. I due epos della solitudine, della colpa, della verità degradata, dell'impurità, si affermerebbe che procedano solo regredendo, che crescano su se stessi per sottrazione, esaurendo ogni possibilità di sviluppo nel momento in cui si spiegano: come in cerimonie di scongiuro, più che d'assoluzione o di condanna, una liturgia enigmatica, interminabile, intessuta dalla sostanza delle due narrazioni ed al tempo stesso le vanifica".
Ne Il processo, pubblicato postumo nel 1925, Kafka considera l'uomo sempre colpevole perché è condannato da una giustizia misteriosa, amministrata da una burocrazia sordida e meschina.

"Josef K., un giovane impiegato di banca viene improvvisamente svegliato da alcuni agenti della polizia che irrompono nella sua stanza e lo arrestano, senza fornirgli un valido motivo: K. dovrà essere sottoposto ad un processo. L'assurdità dell'arresto di K. diviene ancora più evidente quando viene condotto per la prima volta davanti alla corte: l'udienza si svolge di domenica, in un malandato edificio alla periferia della città. Già dopo la prima udienza K. cerca di contattare il maggior numero di persone che lo possono aiutare a venir fuori da questa situazione. Contatta un avvocato, un industriale, persino il pittore che ritraeva i giudici, alla fine però decide di soccombere, di non andare contro all'assurda istituzione del tribunale. Una notte viene catturato, condotto da due oscuri individui in un'area deserta e giustiziato".

L'autore narra in modo semplice, il romanzo si legge con una discreta facilità, il linguaggio non è affatto complicato, anche se a volte utilizza alcuni termini propri del linguaggio giuridico. La descrizione di luoghi come il tribunale, e il martellante riferimento ad un reato non conosciuto rendono la lettura angosciante e talvolta asfissiante. Il romanzo rispecchia in ogni caso il periodo temporale in cui è ambientato: l'uomo sta progressivamente perdendo i suoi valori, non è in grado di reagire, può solo soccombere. Leggendo si ha sempre l'impressione che la vera comprensione del testo preceda l'interpretazione che il lettore ne dà. Ed è solo la metafora dell'antagonismo padre/figlio e del declino che il padre, la generazione che deve uscire di scena, subisce inevitabilmente, secondo uno schema edipico molto arcaico, si ribella e lotta, presentando ricorso ad ogni arma per mantenere il potere nei confronti della generazione emergente.
Di grande importanza è la presenza dei residui di colazione non consumata, descritti in termini che saranno ripresi molto da vicino quando si tratterà di suggerire la progressiva rinuncia e i due guardiani del Processo provvederanno invece ad appropriarsi e a consumare anche la colazione dell'accusato Josef K. "L'appetito è percepito cioè come espressione della volontà di potenza degli idonei alla vita, e l'anoressia quindi è l'ideale ascetico di chi rifiuta questa logica di sopraffazione, di chi, rinunciando alla vita, vuole uscire dalla fila degli assassini"; tema questo che verrà approfondito nel Digiunatore, uno degli ultimi racconti kafkiani.
Data la sua ancora momentanea debolezza, il padre presenta ricorso a una capitale benevolenza, accentuata dal successivo elogio retorico e questo ti fa onore. Ma subito in opposizione a questo, il ricorso all'argomentazione esterna cose che non c'entrano intende come prima cosa insinuare la minaccia di un'imprevista resa dei conti.
La colpa di chi resta in vita, però, rispetto a chi muore non viene dimenticata dall'inconscio, che rimane vulnerabile di fronte all'emersione dei rapporti gerarchici antropologici, tanto più radicati di quelli borghesi socialmente riconosciuti. Se il padre retrocede sul piano del potere borghese, acquisisce una forza immensa sul piano del legame mitico padre/figlio. La morte della madre lo ha tanto indebolito sul primo livello quanto lo ha rafforzato sul secondo: e difatti, nel finale, ribalterà questo primo giudizio, affermando che la sua forza deriva da due fonti principali: "Da solo sarei stato costretto forse a cedere, ma la mamma mi ha ceduto la sua forza, col tuo amico ho stretto una magnifica alleanza" Qui invece, attenendosi alla descrizione dei rapporti socialmente condivisi, riconosce l'indebolimento che la morte della madre gli ha procurato, in quanto incapace di elaborare il lutto con la rapidità del figlio.
"Vi è dunque coincidenza simbolica fra queste due forze, che sono provenienti da sponde opposte - padre e figlio - ma coagenti nei loro obiettivi: la proibizione edipica del matrimonio e il desiderio rimosso di un ideale ascetico incompatibile con il matrimonio e il prodotto della condensazione di queste due direttive è la figura dell'amico, che riemerge dall'inconscio come un dotato di forza moltiplicata". In questo senso dunque l'amico è il collegamento fra padre e figlio: è l'aspetto della personalità del figlio che è maggiormente consonante con la funzione sessualmente repressiva del padre, con il suo atteggiamento più duramente edipico.
Mentre America si interrompe all'improvviso e non offre alcuna coerente soluzione narrativa, Il processo, anch'esso incompiuto, rivela una struttura più organica e un capitolo considerabile senza dubbio come quello conclusivo. Non appena a Josef K. quasi senza alcuna spiegazione, viene notificato che a suo carico sta per iniziarsi un procedimento penale, prende il via la sua contesa con l'effimera sostanza di quel tribunale invisibile che dovrebbe giudicarlo. Pur proclamandosi innocente, egli ammette infatti di non conoscere gli estremi della legge che lo chiama in causa e questo è palesemente contraddittorio. In realtà, sin dalle prime battute la trama si precisa nella contrapposizione di due ambiti diversi e assolutamente antitetici: quello serio e rispettabile di Josef K., funzionario di banca e onesto cittadino, e quello misterioso e ambiguo del tribunale, domanda giudicante che ha sede in soffitte buie e inospitali di quartieri popolari, che sembra presieduta da autorità incompetenti, e che sempre appare inflessibile e disumana. Con l'ausilio della terza persona, in modo asciutto, quasi registrazione di una semplice cronaca, Kafka descrive i molteplici contatti del protagonista con l'organizzazione del tribunale. Tutto sembra far credere che Josef K. sia vittima di un oscuro disegno, di un atroce inganno; eppure l'innocenza più volte ribadita non nasconde nient'altro che la sua colpa profonda, la colpa di chi ignora la natura carismatica della legge. È vero, Josef K. non ha fatto nulla, non ha fatto nulla per entrare nella legge, per comprenderne l'effettivo carattere, per adeguarsi ai suoi inderogabili dettami, e si ostina a continuare su questa strada. Il rifiuto di qualsiasi rapporto con l'universo giuridico e con quei personaggi che in qualche modo potrebbero aiutarlo, il pittore Titorelli, l'avvocato Huld, aumenta, anziché diminuirla, la distanza che separa il protagonista dall'ambito della legge. Ogni volta che riesce ad avvicinare il mondo del tribunale, Josef K. lo trova ambiguo e degno di repulsione, e questo perché continua a voler applicare il proprio ostinato razionalismo. Il motivo centrale del romanzo risiede sicuramente nell'episodio in cui il sacerdote del duomo narra al protagonista la parabola del campagnolo e del guardiano della legge. Estrema possibilità concessagli di incontrare la legge e con essa una dimensione trascendentale, la parabola viene creduta dal protagonista un inganno e ciò finisce per condannarlo in modo inappellabile. Se la verità suprema non sembra mai poter essere compresa, si scopre poi che, in pratica, è l'uomo stesso a rifiutare ogni dialogo e a lasciarsi ingannare. Di fronte alla domanda metafisica e alla purezza della legge, occorre lasciare da parte ogni interpretazione razionalistica e accettare il mistero in quanto tale, come parte integrante del rapporto con la verità. Proprio per questo motivo, Josef K., possibile simbolo della crisi di un'anima ebraica lontana dalle chimere della secolarizzazione ma anche dai dogmi dell'ortodossia, nella sua sterile esistenza solitaria può essere considerato nel torto.
Josef K. e il tribunale con le sue leggi sembra passino "per un punto del piano esterno ad una retta, ed una soltanto che non incontra la retta data". In sintesi, analizzando "Il Processo" è come rappresentare il profilo diretto di Escher, tanto il parallelismo dei personaggi è colpito dal rapporto esistente tra le dimensioni. Per rilevare questo antagonismo, Escher crea dei "conflitti", sottomette le leggi della prospettiva a ricerche critiche e trova nuove leggi che sperimenta direttamente sulle sue stampe. La suggestione spaziale di un'immagine piana può essere così forte che si possono suggerire su di essa dei mondi che, in tre dimensioni, non potrebbero assolutamente esistere. L'immagine che ne risulta sembra la proiezione di un oggetto tridimensionale su una superficie piana, ma guardando bene ci si accorge che non è vero: quella figura non potrebbe mai avere un'esistenza spaziale: questo viene fuori dopo aver letto e sopportato l'angoscia struggente che Kafka crea nel suo scritto.
Dicevo. "Il Processo", per chi conosce le teorie di Escher, si realizza nella prima litografia dedicata alle costruzioni impossibili. La stessa scala che porta al secondo piano dell'edificio inoltre è contemporaneamente all'interno e all'esterno di esso, cioè si tratta di una scala impossibile. Escher capì che "la geometria dello spazio determina una sua logica e allo stesso modo la logica dello spazio spesso determina una sua geometria". Ed è proprio ciò che il critico fa, dopo aver letto "Kafka", soprattutto "Il Processo", uno dei modelli di logica dello spazio che poi applica sul gioco di luci e ombre applicato alle parole e alle situazioni, come è per gli oggetti concavi o convessi.
Tra i tanti elementi che hanno contribuito al successo dell'opera kafkiana va annoverato il linguaggio. È quindi importante soffermarsi su questo problema, ben messo in luce da studiosi quali L. Mittner e R. Fertonani. Scopriamo innanzitutto una non piccola difficoltà di approccio al problema linguistico per connotazioni anche geografiche: Kafka proviene dalla tradizione ebraica ed è legato, seppure in modo problematico, ad essa; pur parlando correttamente il ceco, sua lingua madre, si forma, secondo i modelli della borghesia ebraica di Praga, "nell'ambito della cultura tedesca, cioè della cultura della classe dominante. Il risultato che consegue a questa necessaria fusione di elementi diversi e persino opposti è un tedesco in cui si sommano caratteristiche di grazia e di eleganza, che però è facilmente traducibile in qualsiasi altra lingua con, estrema efficacia".
È proprio nel riconoscimento dell'illusorietà del mondo in cui l'uomo è calato che dobbiamo cercare la grandezza di Kafka, l'universalità e nel contempo l'attualità del suo messaggio. "Egli ha lasciato alla cultura e in particolare alla letteratura del nostro secolo la scoperta di un mondo che è allo stesso tempo concreto e assurdo, poiché è incomprensibile, e impenetrabile". Kafka, per primo ha esplicitamente detto che reale non è soltanto ciò che l'uomo può conoscere e spiegare razionalmente, ma anche, e forse soprattutto, ciò che è al di là del razionale, il sogno, l'inafferrabile, il trascendente. Di fronte a questo tipo di realtà l'io dell'uomo contemporaneo si scinde e si perde in una crisi senza soluzione. Il mondo, nella sua duplice realtà razionale e trascendente, rimane incomprensibile al soggetto, perché egli non riesce neppure a comprendere se stesso, lo scorrere della sua esistenza, cristallizzato com'è nei suoi schemi razionali. "L'io e la vita sono grandezze e quindi il significato dell'esistenza sfugge alla ricerca conoscitiva". È dunque inutile pretendere di fornire risposte ultime e sicure, di possedere illuminanti certezze sulla vita, che sappiamo essere inesauribile flusso di contraddizioni.

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Bibliografia
A. Camus, in Le mythe de Sysiphe, Parigi, 1942
R. Rochefort, Kafka ou l'irréducible espoir, Parigi, 1947
W. Emrich, Kafka, Bonn, 1958
H. Politzer, Kafka, Parabel and Paradox, New York, 1962
G. Baioni, Kafka, romanzo e parabola, Milano, 1962
J. Bauer, Kafka und Prag, Stoccarda, 1971
L. Lombardo Radice, Gli accusati, Bari, 1972
E. Canetti, L'altro processo: le lettere di Kafka a Felice, Milano, 1973
M. R. Franzoi Del Dot, Kafka, Siena, 1990
Richter: appunti e note a Il Processo, Biblioteca Adelphi, 1973
Escher, Conflitto fra superficie e spazio.

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