Jules Michelet,
Il banchetto (o l'unità della chiesa militante)
La festa: una parentesi ideologica tra banchetto e rivoluzione
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Le Banquet (ou l'unité de l'église
militante) è un libro che si situa a metà tra il genere
diaristico e lo scritto politico. Nasce infatti come trascrizione di riflessioni
personali durante un soggiorno in Italia (presso Genova), le quali si
legano immediatamente a temi cari allo storico francese come la povertà
e la rivoluzione. Il testo diventa dunque ben presto denso di considerazioni
politiche sul passato, ma anche di sogni mezzo utopici
sul futuro.
Nella ricostruzione che ne dà l'edizione delle Œuvres
Complètes (Pléiade), esso si compone di tre libri:
1. Le jeûne (Il digiuno)
2. Du banquet socialiste (Del banchetto socialista)
3. Du banquet socialiste et républicain. De la République
du monde. (Del banchetto socialista e repubblicano. Della Repubblica del
mondo)
In questa analisi tuttavia non si terrà conto della suddivisione
in tre libri, quanto piuttosto di un raggruppamento tematico più
funzionale per una ricerca più specifica sul tema della festa.
Per Michelet, il digiuno è l'elemento di unione
tra la riflessione su un'esperienza personale e considerazioni politiche
di portata più ampia.
Sono principalmente tre i filoni che si dipartono dal tema del digiuno:
1. Il digiuno personale: Michelet si trova a dover soggiornare in Italia per motivi di salute. È sofferente e deve controllare le proprie abitudini alimentari.
2. Il digiuno del popolo: Il soggiorno in Italia e il digiuno personale portano Michelet ad interessarsi maggiormente di problemi che da sempre lo hanno occupato, soprattutto durante la stesura di Le peuple (Il popolo) e della Histoire de la Révolution (Storia della Rivoluzione), cioè soprattutto il problema della povertà del popolo. La tesi di Michelet a questo proposito è che il popolo italiano soffre la fame e non ha la mente lucida a causa di un regime indigesto e dell'uso di narcotici quali il tabacco ed il vino, che tolgono la capacità di pensare, e quindi di agire, perché se è vero che il digiuno aiguise l'esprit (acuisce lo spirito), esso non lo può però fecondare. Per questo motivo, secondo l'autore, il popolo italiano è un popolo di sognatori, mentre in passato esso ha agito concretamente (vedi le rivoluzioni del 1830 e del 1848). A Nervi, ad esempio, paesino nei pressi di Genova dove risiede lo storico francese durante la stesura del libro, la povertà sembra paradossale, perché dovuta non tanto alle condizioni ambientali difficili (terreno difficilmente coltivabile, sterile, ecc.), quanto alla cattiva volontà dei governanti che non prendono i provvedimenti adeguati al riguardo. Michelet ferma la sua attenzione sul contrasto tra i coltivatori, magri ed affamati, e gli allevatori fannulloni, le cui mandrie mangiano il bene altrui («les damnables animaux, alléchés par le bien d'autrui, savourent le jeune blé, le trouvent excellent, s'y établissent, s'y vautrent...»).
3. Il digiuno e il Medio Evo: Il Medio Evo è al centro della polemica di tutto il testo; esso rappresenta per Michelet il periodo buio per eccellenza. Il digiuno professato dalla religione in questo periodo è stata una imposizione contro natura che ha avuto per unico effetto quello di formare dei rêveurs (sognatori) o dei disputeurs (litigiosi):
«Contre le banquet fictif qui met sous la dent le vide et jure qu'il est l'Etre même, s'organise et se concentre la puissante réalité»
("Contro il banchetto fittizio che mette sotto i denti il vuoto e giura che si tratta dell'Essere in persona, si organizza e si concentra la potente realtà")
Il tema del digiuno porta Michelet ad allargare le sue considerazioni sul cibo e la nutrizione. Il banchetto intimo rappresenta per lui una tappa importante verso l'idea del banchetto universale, che deve innanzitutto recuperare una autenticità sovente andata perduta. Si tratta, a questo primo livello, di riscoprire una comunione degli animi che solo un pasto tra intimi sa dare, e insieme di ritrovare il rapporto diretto che esiste tra cibo, natura, uomo e donna; la donna soprattutto è il legame naturale e amorevole tra l'uomo e il cibo, quindi tra l'uomo e la natura: è lei che permette all'uomo un rinnovamento quotidiano tramite il cibo, reso ancora più prezioso dal suo amore. Michelet scopre la festa dell'intimità tra marito e moglie, dove gli alimenti, «ces aimables dons de la terre, passant par la main sympathique, par la volonté et le coeur qui y ajoute un infini, s'humanisent pour ainsi dire...» ("questi amabili doni della terra, passando dalla mano simpatica, dalla volontà et dal cuore che vi aggiunge un senso d'infinito, per così dire diventano umani...").
Il "banchetto serio" è per Michelet quello
della Rivoluzione del 1789. È un banchetto che tutti i secoli precedenti
la Rivoluzione hanno aspettato con impazienza: si trattava di sostituire
ad un banchetto di pochi eletti un banchetto universale del genere umano,
qual era stato sognato dallo stesso Danton.
La Rivoluzione francese è nata sotto un ideale di rivendicazione
della libertà del corpo non meno di quella spirituale per l'uomo.
Non è un caso infatti che la prefazione alle leggi votate dalla
Commune del '93 proclamasse: «Le droit de l'homme à la suffisante
vie» ("Il diritto dell'uomo alla vita sufficiente"). Michelet
affronta qui nuovamente il tema del digiuno e delle sue conseguenze negative
sulla lucidità dell'uomo.
Nell'immaginario di Michelet, il "banchetto serio" si pone quindi
agli antipodi rispetto al "banchetto fittizio" del Medio Evo
e rispetto a quello, non meno fittizio, degli utopisti: esso è
un banchetto reale, dove si mangia cibo concreto. Ma è pure un
concreto banchetto spirituale, frutto di uno sforzo disinteressato, di
un lavoro perseverante, di un sacrificio eroico da parte dell'uomo, in
cui il simbolismo falso e ingannevole è sostituito dalla
presenza palpabile della fratellanza e della comunanza. Non è
il banchetto vuoto del Medio Evo, e nemmeno il banchetto facile degli
utopisti: è quello che, riscattato a duro prezzo, dà però
all'uomo la terra ed il cibo.
La festa è uno dei punti principali su cui si ferma la riflessione di Michelet. Essa è il cibo spirituale del popolo, di cui non si può fare a meno nell'idea di banchetto universale del genere umano: «Donnez un vrai pain à ce peuple, le pain mental qui le soutiendra, qui relèvera son coeur» ("Date un pane veritiero a questo popolo, il pane mentale, che lo sosterrà, che solleverà il suo cuore").
L'autore distingue tra quattro tipi di feste
:
• La festa antica, specialmente quella greca, di
Atene: è una festa che rispecchia esattamente la società
dell'epoca e che insegna i valori della vita attraverso la vita pubblica;
è dunque una festa autentica, armonica, che però
è andata perduta nel corso dei secoli.
• La festa del Medio Evo: si tratta piuttosto di
una assenza di festa, in quanto tutti i connotati essenziali
della festa autentica ne sono omessi. Essa infatti, in un periodo in cui
ogni gioia personale e sociale (come il matrimonio o la nascita di un
bambino) è minata da una religione della morte e della penitenza,
appare falsa, paradossale, con "un air double et faux"
("un'aria doppia e falsa").
• La festa rivoluzionaria: dal carattere veemente,
tragico, aspro, ma devoto ed eroico, è una festa che nasce
dal sacrificio ma che trae piacere da questo sacrificio; di essa
Michelet dice: «Si ces temps sont moins harmoniques, ils tirent
une bien autre grandeur du but divin, trois fois sacré, qui glorifiait
notre cause» ("Se questi tempi appaiono meno armoniosi,
essi prendono una tutt'altra grandezza dal fine divino, tre volte sacro,
che glorificava la nostra causa").
• La festa dell'Impero: stordente, rumorosa, ma
incomprensibile, è la festa che Michelet ha conosciuto e che descrive
con i seguenti termini: «grande distribution de vivres, fontaines
coulantes de vin, un somptueux feu d'artifice... C'était bruyant,
grand et lugubre» ("grande distribuzione di viveri, fontane
colanti di vino, un sontuoso fuoco d'artificio.... Era caotica, grande
e lugubre"). È una festa vuota perché ha perso
il contatto con la gente e in essa nessuno trova un significato personale:
«Quel sentiment le jeune peuple trouvait-il en ces fêtes
et en rapportait-il? Rien qu'un mystère inexplicable, l'infaillibilité
militaire de l'Empereur» ("Che sentimento il giovane popolo
poteva trovare in queste feste? Soltanto un mistero inspiegabile, l'infallibilità
militare dell'Imperatore").
La festa per Michelet è una necessità di prim'ordine per l'uomo moderno, anche più di quanto lo sia stata per l'uomo antico. Infatti, essa è lo strumento principale e più efficace per combattere l'ennui (la noia). Il capitolo VI del 3° libro si intitola significativamente: "Des fêtes, donnez-nous des fêtes!" ("Feste, dateci delle feste!"): è il grido di Michelet di fronte alla tristezza delle città moderne, fatte di strade umide e monotone, di quartieri industriali dove si respira un'aria malsana, pregna del choléra de l'ennui. La festa permette all'uomo di ritrovare il senso della propria vita attraverso la comunanza con gli altri, soprattutto nell'epoca moderna in cui vive spesso alienato da un lavoro meccanico. Nell'immaginario di Michelet, è la Patria che attraverso la festa offre ai suoi figli il senso della loro esistenza nell'idea di fraternità, cara alla Rivoluzione:
«Assieds-toi, dit la Patrie, reprend la vie à ma chaleur... Non, tu n'est pas une chose... Tu est mon fils, tu es leur frère, utile et secourable à tous... Tu croyais n'être plus homme, et par la vertu puissante du miracle d'association, tu es toute une légion...»
("Siedi, dice la Patria, riprendi vita al mio calore... No, non sei un oggetto... Sei mio figlio, sei il loro fratello, utile e necessario a tutti... Credevi di non essere più un uomo, mentre con la potente virtù miracolosa dell'associazione, sei tutta una legione...")
La festa ha dunque un profondo significato personale per l'uomo, essa in qualche modo gli dà una giustificazione ponendolo in seno al gruppo, alla società in cui vive. A questo riguardo Michelet parla anche della propria esperienza personale: quando ricerca la causa della sua natura nervosa ed introversa allude proprio al fatto che, durante la sua infanzia, non ha vissuto nessuna vera festa dove il suo animo potesse scaldarsi ed espandersi a contatto con "une foule sympathique".
Se Michelet è ben conscio dell'importanza della festa al livello personale, non ignora il suo ruolo essenziale anche ad un livello più generale, sociale e storico. Essa è il mezzo più diretto che una nazione ha per ricordare il suo passato e quindi per ricollegarsi alla tradizione: ha dunque un significato didattico molto forte. È a questo proposito che l'autore esprime la necessità, da parte degli intellettuali e dei pensatori politici, di organizzare le feste popolari, che devono mantenere il carattere dell'autenticità. Sempre nella stessa ottica, lo scrittore auspica la creazione di un teatro popolare, meno letterario del teatro classico, che rappresenti e ricordi al popolo il pensiero rivoluzionario. La festa, con tutti i suoi corollari, è dunque veramente un "moyen d'agir sur le peuple" ("modo di agire sul popolo"), e ciò perché per Michelet essa rimane sempre l'unica e grande "voie vivante des communications" ("via vivente di comunicazione").
Nel capitolo VII del 3° libro, intitolato Le baptême maternel ("Il battesimo materno") ,Michelet elabora, in contrapposizione alla festa del Medio Evo, una sorta di sogno per metà utopico di quello che per lui dovrebbe realmente significare la festa. È un rêve in cui lo storico lascia libera la sua fantasia di immaginare la festa quale sarebbe in una società ideale, fondata sul buon senso. La festa più significativa in questo senso sarebbe per lui quella della maternità, in cui la madre celebra la nascita di suo figlio. Nella sua ottica di partigiano della Rivoluzione e della Patria, questo giorno rappresenterebbe il trionfo della madre che deposita il nuovo nato sull'altare della Patria, davanti a tutta la comunità, unita da questo evento toccante e grandioso. Michelet immagina come tutti i cittadini parteciperebbero alla processione fino all'altare, dove il bambino verrebbe adottato dalla nazione davanti alla madre riconoscente e fiera. Un sogno di questo tipo ha quasi trovato realizzazione concreta nella Storia durante le feste delle federazioni del 1790, in cui il popolo, per ringraziare Dio, mise sull'altare spighe di grano e fiori accanto alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, e per finire vi pose anche un neonato:
«sa mère, versant des larmes de joie, le remit aux magistrats qui représentaient l'autre mère, la Patrie... Et l'enfant fut déposé sur l'autel ; la commune l'adopta, tous jurèrent d'en avoir soin, de le faire homme et citoyen... Tous s'attendrirent et s'embrassèrent... Alors, on crut Dieu satisfait»
("sua madre, versando lacrime di gioia, lo porse ai magistrati che rappresentavano l'altra madre, la Patria... E il bambino fu posato sull'altare; la commune lo adottò, tutti giurarono di averne cura, di farlo diventare uomo e cittadino... Tutti si intenerirono e si abbracciarono... Allora, si credette Dio soddisfatto")
Tutto ciò ci illustra bene quale sia l'ideale di Michelet per quanto riguarda la festa: è una festa dove, secondo il modello antico della festa arcaica, tutto è autenticità e partecipazione, e dove ogni individuo si colloca in una posizione armonica rispetto al suo gruppo sociale; ma è anche una festa che, dopo l'esperienza incancellabile della Rivoluzione del 1789, commemora un passato capace di legare gli uni agli altri tutti gli uomini in nome della Patria e della Fratellanza.
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