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Aneddotica dantesca

di Antonio Lagrasta

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Non mi sembra irriverente onorare la figura di Dante nel centenario della sua morte scoprendo anche episodi veri o inventati della sua vita privata che confermano (e da porsi come modello) gli aspetti più rilevanti della sua personalità: onestà, coerenza, orgoglio senza tracotanza.

Gli episodi trattati sono stati da me presi da: Giovanni Papini, La leggenda di Dante, MOTTI, FACEZIE E TRADIZIONI DEI SECOLI X IV –XIX   R. Carabba Editori, Lanciano 1911

 

Aneddotica dantesca

La figura di Dante fu oggetto di chiacchiere, aneddoti, critiche e accuse di eresia e di anticlericalismo, comunque illuminanti sulla visione spesso controversa che i contemporanei del poeta ebbero di lui.

Nel codice 2735 della Biblioteca Riccardiana si trova la seguente novellina di un autore anonimo trecentista i cui protagonisti sono individuati da Cesare Balbo nella “Vita di Dante” nel conte Guido Salvatico, podestà di Siena il 1288 e la moglie contessa Caterina:

Dante Dante sendo in corte d’un signore, et usando spesso familiarmente in casa, s’ accorse più volte che un frate di San Francesco, ch’ era un bellissimo cristiano e valentissimo uomo, e riputato di spiritual vita, usava in detta corte, e andava spesso a visitare la donna del signore, rimanendo con lei molte volte solo in camera, e a uscio serrato. Di che Dante, parendogli questa una non troppo onesta dimestichezza, e portando amore al detto signore, non fe se non che con bel modo lo disse al signore, e marito di costei. E lui gli disse come costui era tenuto mezzo santo. Il perchè Dante, tornato l’ altro dì con lui, e quel frate in quel medesimo dì, e in quella medesim’ ora giunse; e fatta poca dimoranza col signore, andò a visitare la madonna. Dante, come il frate fu partito, veduto dov’ egli andava, s’ accostò al signore e dettegli questi quattro versi, e’ quali feciono che ’l detto signore onestamente dette modo, che d’ allora innanzi al detto frate non andò più a vedere la moglie senza lui.

E que’ versi fece scrivere in più luoghi del palagio. E’ versi son questi:

Chi della pelle del monton fasciasse
un lupo, e tra le pecore il mettesse,
credete voi, perchè monton paresse,
che de le pecore e' salvasse?

Secondo alcuni studiosi Dante tradusse questa quartina dal “Roman de la Rose” che,  cominciato da Guglielmo de Lorris, fu continuato dopo il 1268 da Giovanni Meung. Curioso è il fatto che la stessa quartina si trovi in un sonetto del poeta trecentista Bindo Bonichi da Siena cui si dice sia avvenuto un fatto simile a quello di Dante.

Il sonetto:

Chi della pelle del monton fasciasse
 un lupo, e tra le pecore il mettesse,
credete voi, perchè monton paresse,
che de le pecore e' salvasse?
O la lor carne ch’ei non divorasse
Quando più tosto giunger lo’ podesse,
Pur che ‘l pastore non se n’avedesse,
Qualunque e l’una non se la manasse?
Io prego ognun, che del guardar s’ammanni
Da questi che son frati  ripentuti,
Che per divorare  altrui portan gli panni,
E dicon: “Signor, se Dio m’aiuti”,
Chè la lor santità è pure d’inganni,
E di zò molti exempli n’ò veduti.
Ripentuti: frati pentiti, pentiti d’essersi fatti frati

Bindo Bonichi (Siena 1267- Siena 1337)

Le sue poesie si caratterizzano per una morale filosofica che ha lo scopo di indirizzare i suoi concittadini al corretto comportamento e all'osservanza dei doveri verso lo stato e la moralità. La morale di questi versi è quella ben nota e legata ai proverbi “l’abito non fa il monaco” o “il lupo perde il pelo ma non il vizio”… Anonimo. Cod. Riccardiano, 2735.

 

Dante pronto di spirito

Fu ancora questo poeta di maravigliosa capacità e di memoria fermissima, e di perspicace intelletto, intantoché essendo egli a Parigi, e quivi sostenendo in una disputazione de quolibet (discussione a tema libero), che nelle scuole della teologia si facea, quattordici quistioni da diversi valenti uomini e di diverse materie, cogli loro argomenti pro e contra fatti dagli opponenti, senza metter tempo in mezzo raccolse e, ordinatamente come poste erano state, citò poi, quel medesimo ordine seguendo, sottilmente solvendo e rispondendo agli argomenti contrari : la qual cosa quasi miracolo da tutt’ i circostanti fu reputata.

G, Boccaccio, Trattatello in laude di Dante (cfr. A. Pucci, centiloquio ed. 1774)

 

Dante e il buffone

Un  buffone per instizarlo gli disse : Che vuol dir questo, misser Danti, che vui, sì gran valenthomo e savio, setti cussi povero; e io, matto e ignorante son sta fatto richo da questo mio signore ? Danti rispose degnamente : Se tu sei ricco non mi maraviglio perchè tu hai trovato un signore simile a ti : quando ancora io troverò un  simili a mi, lui mi farà richo.

Lodovico Carbone (1435-1482). Facezie, n. 71

 

Dante eretico

Al tempo che Dante fecie il libro suo, molte persone noIlo intendevano, e dicevano ch’ egli era erramento di fede. Et venne caso che Dante fu cacciato da Firenze, et confinato di fuori fra le cotante miglia, et di poi, none osservando i confini, divenne rubello de’ Fiorentini. Dopo molto tempo, andando in più parti del mondo, si fermò a Ravenna, antica città di Romagna, et vi si pose a stare con Guido Novello allora in quel tempo signiore di Ravenna, dove il detto Dante finì la vita sua negli anni del nostro signore Gesù Cristo 1321 a di 14 del mese di settembre, cioè lo dì di santa Croce, dove con grande onore fattoli da quel Signore in detta terra fu seppellito. E a Ravenna era un savio frate Minore ed era inquisitore e udendo ricordare questo Dante, si pose in cuore di volerlo conoscere, con intendimento di vedere se elli errasse nella fede di Cristo : e una mattina Dante istava a una chiesa a vedere nostro Signore : questo inquisitore arrivò a questa chiesa, e fulli mostrato Dante, sì che lo ’nquisitore lo fe chiamare, e Dante reverentemente andò a lui; e lo ’nquisitore li disse: Se’ tu quel Dante, che di’ ch’ andasti in inferno, in purgatoro, e ’n paradiso ? E Dante disse : Io sono Dante Allighieri da Firenze. E lo ’nquisitore iratamente disse : Tu vai facendo canzone, e sonetti, e frasche ; me’ faresti avere fatto un libro in grammatica, e fondadoti in su la chiesa di Dio, e non attendere a queste frasche, che ti potrebbono dare un dì quello che tu serviresti. Et Dante, volendo rispondere allo 'nquisitore, disse lo ’nquisitore : Non è tempo ora ; ma saremo il tale di insieme, et vorrò vedere queste cose. Et Dante allora gli rispose, et disse che questo molto gli piacea, et partissi dal detto inquisitore, et andossene alla stanza sua; e allora fece quel Capitolo che si chiama il Credo piccolino, el quale Credo è affermamento di tutta la fede (di Cristo. Et al dì detto e postosi insieme, che dovea trovare il sopradetto inquisitore, tornò da lui, et poseli in mano questo Capitolo : et allora lo detto inquisitore lo lesse, e parveli una notabile cosa, e non seppe nè che si rispondere al detto Dante : e lo sopradetto inquisitore rimase allora tutto confuso, e Dante allora si partì da lui, et andossene sano et salvo ; et da quel tempo innanzi rimase Dante per sempre grandissimo amico del sopradétto inquisitore. Et questa fu la cagione, per che Dante fece il detto Credo.

Anonimo. Cod. Magliabech. cl. I, 1588.

 

Dante e i francescani

Poi che l’autore, cioè Dante, ebbe compiuto questo suo libro e publicato [la Divina Commedia] , e studiato per molti solenni uomeni e maestri in Tolosia, e in fra gli altri di frati Minori, trovarono in uno capitolo del Paradiso, dove Dante fa figura che truova san Francesco, e che detto san Francesco lo domanda di esto mondo, e sì come si portano i suoi frati di suo ordine, de’ quali gli dicie, che istà molto maravigliato, però che à tanto tempo che è in Paradiso, e mai non  ve ne montò niuno, e non ne seppe novelle. Di che Dante gli risponde sì come in detto capitolo si contiene. Di che tutto il convento di detti frati l’ ebano molto a male, e fecero grandissimo consiglio, e fu commesso ne’ più solenni maestri che fossono ne l' ordine, e studiassono nel suo libro se vi trovassono cose di farlo ardere, e simile lui per eretico. Di che gli fecero gran prociessi contro, et accusarollo a lo ’nquisitore per eretico, che non credeva in Dio, nè osservava gli articoli della fè. E’ fu dinanzi al detto inquisitore, essendo passato vespero, di che Dante rispose e disse : Datemi termine fino a domattina, e io vi darò per iscritto com’ io credo Idio : e s’ io erro datemi la punizione che io merito. Di che lo ’nquesitore gliel diè  fino la mattina a terza. Di che Dante veghiò tutta notte, e rispose in quella medesima rima ch’ è il libro, e sì come si seguita apresso, dove dichiara tutta nostra fè, e tutti gli articoli, che è una bellissima cosa e perfetta a uomeni non litterati, e di bonissimi assenpri (esempi) e utili, e preghiere a Dio e alla Vergine benedetta Maria, sì come vedrà chi lo legierà, che non fa bisogno avere, nè ciercare altri libri per sapere tutti detti articoli nè i sette pecati mortali, che tutto dichiara sì bene e sì chiaramente, che sì tosto come lo ‘nquisitore gli ebe letti con suo consiglio in presenzia di XII maestri in Tolosia, li quali non seppono che si dire e nè alegare contro a lui: di che lo ’nquisitore licenziò Dante, e si fe beffe di detti frati, i quali tutti maravigliarono come in sì picolo tenpo avesse potuto fare una sì notabile cosa in rima.

Anonimo, Cod. Riccardiano 1011

 

Dante e il fabbro

... passando per porta san Piero, battendo ferro fabbro su la ’ncudine, cantava il Dante, come si canta uno cantare, e tramestava i versi suoi, smozzicando appiccando che parea a Dante ricever di quello grandissima ingiuria. Non dice altro, se non che s’accosta alla bottega del fabbro, là dove avea di molti ferri che facea 1’ arte : piglia Dante il martello, e gettalo per la via :piglia le tanaglie e getta per la via ; piglia le bilance e getta per la via ; e così gittò molti ferramenti. Il fabbro, voltosi con un atto bestiale, dice Che diavòlo fate voi ? siete voi impazzato ? Dice Dante: 0 tu che fai ? Fo l’ arte mia, dice il fabbro, e voi guastate le mie masserizie, gittandole per la via. D Dante : Se tu non vuogli che io guasti le cose tue, tu non guastar le mie. Disse il fabbro: O che vi guast’io? Disse Dante : Tu canti il libro, e non lo di’ com’ io feci; io non ho altr’arte e tu me la guasti. Il fabbro gonfiato, non sapendo rispondere, raccoglie le cose, e torna al suo lavorio : e se volle cantare cantò di Tristano e di Lancellotto, e lasciò stare il Dante.

Franco Sacchetti Novelle, ediz. cit. I, p. 274.

Dell’ avventura di Dante col fabbro c’ è una versione tedesca del 1808 in A. von A rnim.

 

Dante e il seccatore

Stava l’ istesso Dante nella chiesa di Santa Maria Novella, appoggiato ad uno altare tutto solo, forse col pensiero vólto alle sue leggiadre poesie. Al quale accostatosi proesuntuosamente un ser sacciuto, et avenlo più volte indarno tentato di tirarlo seco a ragionamento : avendo finalmente Dante perduta la pazienzia, volto a quel cotale, gli disse : Avanti che io risponda le tue dimande, vorrei che prima tu mi chiarissi, qual creda che sia la maggior bestia del mondo. A cui subito quello uomo rispose, che per l’ autorità di Plinio, credeva che la maggior bestia terrestre fusse l‘elefante. << 0 elefante, adunque non mi dar noia >>, gli soggiunse Dante ; e, senza dirgli altro, si partì.

Marcantonio Nicoletti. (1536- 1596). Vite degli Scrittori Volgari illustri libri IV

 

Dante e Giotto

Narra il già nominato Benvenuto da Imola nel suo comento sopra la commedia di Dante, che mentre Giotto dipigneva in Padova una cappella, dove già e l’ anfiteatro, pervenne esso Dante in quella città, che per essere a Giotto molto amico, fu da lui in casa amorevolmente ricevuto, dove a prima vista s’incontrò in alcuni figliuoletti di Giotto, e vedutogli più che ordinariamente brutti, cioè in tutto e per tutto simile al padre, il quale quanto fu più bello nell’animo, tanto fu deforme nel volto, disse a Giotto : Egregio maestro, io molto mi meraviglio, che avendo voi fama costante per lo mondo di non aver pari nell’ arte della pittura, così belle facciate ad altri le figure, ed a voi sì brutte: al che Giotto sorridendo rispose (per usar le parole dell’ autore) : quia pingo de die, sed fingo de nocte (cioè scolpisco, faccio figli di notte): risposta che a Dante molto piacque, non già perchè nuovo tal concetto gli arrivasse, avendosi ancora un simile ne’ Saturnali di Macrobio, ma per vederlo rinato dall’ ingegno di tant’ uomo.

* Filippo Baldinucci (1624-1696). Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua.

 

Dante all’inferno

Il colore suo era bruno, la barba e i capelli neri e crespi. Onde ridicula cosa fu a Ravenna, che passando Dante ove erano donne, e dicendo una d’ esse : « Questo è ito allo inferno e tornato ; » rispose la propinqua : Io lo credo, perchè è diventato nero per la obscuritài e fumo dell’ inferno e pel fuoco ha e’ capelli abbronzati.

* Cristoforo L andino (1424-1504)

 

Dante torna dall’ Inferno

Fu adunche questo nostro poeta di mediocre statura, e iché alla matura ètà fu pervenuto, andò alquanto curtto, ed era il suo andare grave e mansueto ; di onestis­simi panni sempre vestito, in quello abito ch’era alla maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e ’l naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, ed al labbro di sotto era quel di sopra avanzato ; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso. Per la qual cosa avvenne un giorno in' Verona (essendo già divulgata per tutto la fama delle opere, e massimamente quella parte della sua Com- media, la quale egli intitola Inferno, ed esso conosciuto da molti, e uomini e donne), che passando egli davanti a una porta dove più donne sedeano, una di quelle pianamente, non però tanto che bene da lui e da chi con lui era, non fosse udita, disse all’ altre donne : Vedete colui che va nell’ inferno, e torna quando gli piace quassù reca novelle di coloro che laggiù sono ? Alla quale una dell’altre rispose semplicemente : In verità dèi dir vero ; non vedi tu com’ egli ha la barba crespa e ’l colore bruno per lo caldo e per lo fummo che è laggiù ? Le quali parole udendo egli dire drieto a sé conoscendo che da pura credenza delle donne venivano, piacendogli, e quasi contento ch’ esse in cotale opinione fossero, sorridendo alquanto, passò avanti.

Boccaccio, Trattatello in laude di Dante

 

Antonio Lagrasta (Corato, 01/10/1940) è vissuto al nord e si è trasferito nel 1992 a Monterotondo. Laureato in filosofia, ha insegnato nelle scuole statali. Si occupa di narratologia e di critica letteraria e cinematografica. Per alcuni anni ha condotto corsi di scrittura creativa presso l'Università Popolare Eretina con la speranza di diffondere un maggior rispetto della lingua. Continua a collaborare con l'università affrontando temi come "Il mito e le sue riattualizzazioni", "Fare filosofia attraverso i film", "Un'idea dei Balcani".

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