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Cent’anni di scritture servili
Italo Calvino ancora molto racconta e consiglia

di Silvia Rodiṇ

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«Sono nato nel 1923 sotto un cielo in cui il Sole raggiante e il cupo Saturno erano ospiti dell’armoniosa Bilancia»

Una volta scrissi su carta: da grande voglio essere Italo Calvino. E poi l’ho riscritto su diversi post-it sparsi tra libri, armadietti, scrivanie. Ho lasciato che quella segreta ma distratta ambizione mi accompagnasse per anni, quasi per gioco, fino a quando non è diventata l’unica risposta che accontentasse la domanda dei vent’anni: perché lo sto facendo?

Affascinata dalla sua scrittura, ho passato gran parte della mia vita a leggere i suoi testi e mi è sempre parso curioso che Calvino abbia invece passato gran parte della sua a leggere per gli altri. Di certo è stato un “non mestiere” riuscito: a cento anni dalla nascita del poliedrico redattore ancora molto egli racconta e consiglia, i suoi giudizi ancora molto incidono sul nostro immaginario di lettori, inevitabilmente affascinati dal mito Einaudi, dalle sue collane, da quell'affare magico che sembra essere stata l'editoria artigiana. Vissuta nelle più intime implicazioni intellettuali, espressione di un sentire umano prima che commerciale, l’editoria tra gli anni Trenta e Settanta ha avuto il merito di porre le basi per un’Europa della letteratura, una biblioteca ideale condivisa per gusto e appartenenza. In Italia questo fondo comune si deve ad autori, funzionari e, soprattutto, a chi ha ricoperto entrambi i ruoli: Cesare Pavese, Elio Vittorini, Natalia Ginzburg e Italo Calvino per Einaudi.

Secondo Cesare Pavese, suo primo lettore e mentore, la scrittura di Calvino è animata «da una materia spessa e opaca, caotica e tragica, passionale e totale»; i due amici, autori e funzionari si conoscono nel 1942, ma Calvino inizia a collaborare per Einaudi solo dal 1947. Qui resta fino al 1983, svolgendo diverse mansioni per la filiera. Dapprima in ufficio stampa, sviluppa una naturale propensione per le scritture editoriali che accompagnano in paratesto le pubblicazioni degli autori. Si tratta di scritture anonime, definite da Calvino stesso servili, ma mai prive di eleganza e sapienza.

I primi sono anni di intensa scrittura per i libri degli altri, ma anche drammatici per l’editrice torinese: Cesare Pavese si suicida nell’agosto 1950, lasciando un posto vuoto alla tavola rotonda di Einaudi e negando ai compagni la sua disincantata visione del mondo. Tocca a Calvino scrivere nel 1952 il rivolto per Il mestiere di vivere, così cominciando: «Sono passati due anni dalla morte di Pavese: e molto si è scritto di lui, e ciascuno ha cercato di spiegarsi la sua figura e il suo destino. Alle domande che ciascuno s’è posto, questo diario risponde introducendoci nell’animo stesso di Pavese»; quasi come volesse congedarsi definitivamente dal suo maestro, usa il risvolto come saluto ultimo, scrivendo della «lotta che per anni egli ha condotto contro la sua terribile inclinazione al dolore» presentando il volume come «la storia d’una vita interiore» ma soprattutto «la ricerca del “mestiere di vivere” che si fa sempre più disperata». Una scrittura che restituisce al lettore le ultime parole di Pavese -che chiudono il risvolto- e tira le somme di ciò che egli è stato, come compagno in casa editrice e come scrittore. Una pagina dolorosa ed elegante, la cui finezza risiede, come tutto in Calvino, nel taciuto. Nello stesso anno scrive la scheda bibliografia einaudiana per Tutti i nostri ieri di Natalia Ginzburg, anche lei amica e collega. Del futuro premio strega mette in luce la capacità di raccontare «in un ritmo assorto e agitato» i suoi personaggi che «il vento della vita» non tarda «a spingere in direzioni inattese». Si concentra poi sul sottotesto che accompagna le pagine: «Il cielo è carico di nuvole di guerra; negli animi covano drammi torbidi e volontà ardimentose», concludendo con un richiamo ai temi cari all’autrice, impegnata a ripercorrere «anni ben determinati, vicini a noi ma già consegnati alla storia» tratteggiati, per la prima volta, «in un quadro unitario attraverso una molteplice trama di personaggi e ambienti».

Gli anni in via Biancamano corrono veloci, dopo il primo decennio di febbrile partecipazione alle scritture servili queste si diradano, al contempo impreziosendosi. Nel 1960 scrive un risvolto per Memorie d’una ragazza perbene di Simone de Beauvoir, pubblicato in Italia nei Supercoralli. Dalle prime righe pone il punto su «chiarezza e intensità di pensiero», «lucida sincerità», «potere di ritrarre vividamente un ambiente», quel «mondo lustro e ordinato dell’alta borghesia francese conservatrice», dal quale l’autrice si dichiara fuori, disillusa nella «lotta per strapparsi ai vincoli d’un monopolio spirituale che l’ha irretita fin dalla nascita». Sebbene oggi de Beauvoir rimanga una lettura utile ma non più imprescindibile per l’evolversi del dibattito ai temi dalla stessa sollevati, è interessante la capacità del redattore di cogliere la lotta, l’insubordinazione e l’urgenza di mettere sul banco la questione femminile. L’anno dopo, nel 1961, scrive un risvolto per un volume comprendente tre racconti di Ernest Hemingway, Fiesta, Avere e non avere, Verdi colline d’Africa. Infaticabile lettore di narrativa straniera, Calvino riconosce nella scrittura di Hemingway la volontà di «intentare un processo a tutta una società: ma la sua polemica non è mai esplicita o insita: essa affiora dai fatti», attraverso le sue figure umane «rozze ed elementari, ma semplici e nette». Il grande pregio dello scrittore è descrivere il cammino umano con «novità e immediatezza di rappresentazione che costituiscono i maggior fascino della sua arte». Con aggettivi essenziali Calvino offre al lettore uno dei tanti, possibili percorsi per avvicinarsi alle letture proposte, anche nei suoi giudizi “con riserva”, come accade nel 1962 per il risvolto di L’incubo ad aria condizionata, di Henry Miller, che Calvino definisce «di tutti i libri di critica alla civiltà americana, questo forse il più spietato e fazioso, ma anche in qualche modo il più barbaricamente, appassionatamente americano».

Negli anni sono le quarte di copertina a diventare il suo prediletto campo di esercizio; firma, per Cuore di tenebra, quella dell’edizione inserita in Centopagine, collana da Calvino stesso ideata e diretta. Molto legato a Joseph Conrad, che era stato oggetto della sua tesi di laurea, Calvino scrive nel 1974: «Un racconto che può ben dirsi profetico, perché ci introduce nel nodo dei problemi che dominerà la cultura del Novecento». L’opera ha, infatti, quasi settanta anni ma Calvino ne rimarca l’indispensabile valore per le «innovazioni formali che sconvolgeranno le strutture narrative» a venire. In chiusa, definisce il racconto un «capolavoro». Maestro nell’esercitare il criterio dell’esattezza, è chiaro il peso che ha per il redattore tale definizione.

Vale poi la pena soffermarsi sulla quarta scritta nel 1980 per Il gioco dei quattro cantoni di Gianni Rodari. Calvino pone l’attenzione su come, «scomponendo e ricomponendo», il più famoso scrittore e poeta italiano per ragazzi metta in moto «la giostra delle sue invenzioni». In chiusura, Calvino ammette che sia «una gran pena» dover annettere al nome di Gianni Rodari «due date: 1920-1980, per segnare un cammino compiuto e concluso»; avvertendo i lettori che «questo libro, che Rodari ha consegnato all’editore pochi giorni prima di lasciarci, non è un commiato ma la conferma che il suo sorriso continuerà a farci compagnia»; perché l’editoria è per Calvino non solo un servizio culturale, ma l’espressione di una propria visione di letteratura e la promozione di una biblioteca ideale da preservare.

Chiude questa rosa di proposte la quarta di copertina per Lo stadio di Wimbledon di Daniele Del Giudice, firmata nel 1983; è uno degli ultimi lavori per la casa editrice nella quale Calvino è nato e cresciuto come scrittore e funzionario. Sessantenne ancora infinitamente curioso, presenta l’«occhio freddo attento ai dettagli» dell’esordio di Del Giudice rivolgendosi poi al lettore: «Cosa ci annuncia questo insolito libro? La ripresa del romanzo d’iniziazione d’un giovane scrittore? O un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto, secondo un nuovo sistema di coordinate?»
Con questa breve e selezionata disamina ho voluto mettere in luce non tanto il lavoro editoriale di Italo Calvino, quanto le tracce indelebili -sulle quarte, le prefazioni, i risvolti- di quell’amore profondo per le parole degli altri, dell’impegno a trovar per loro spazio e vie di crescita. Come ricorda Davico Bonino: «Non ho conosciuto altri che come lui considerasse la scrittura il principio e la fine, il tutto insomma dell’esperienza».
Promotore di un canone letterario, presosi la briga di stabilire cosa valesse la pena leggere, Italo Calvino ha lasciato in eredità non solo la sua prosa, ma anche quella di molti altri.

 

[Le scritture editoriali sono state consultate dal volume Italo Calvino, Il libro dei risvolti. Note introduttive, quarte di copertina e altre scritture editoriali, a cura di Luca Baranelli, Chiara Ferrero, Mondadori, Milano 2023, pp. 80, 81, 209, 210, 214, 215, 356, 357, 406, 407, 420, 421.]

 

Silvia Rodinò, classe '98, si laurea in Lettere scoprendosi incerta sul da farsi. Da sempre instancabile lettrice, allora, decide di combinare assieme i suoi studi e la sua più grande passione: ottiene un Master in professioni editoriali e continua quel sentiero che le è sempre parso l'unico percorribile. Spera che la fine conduca al Cimitero dei libri dimenticati per vedere, finalmente, com'è fatto.

 

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