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La figura di Cassandra indovina non creduta ha goduto di ininterrotta fortuna nella cultura europea. Se lo status di profetessa è l’aspetto più caraterizzante, Cassandra prima di tutto è donna e vergine, e come vergine promessa sposa compare nell’Iliade, la prima opera che analizzeremo e la prima opera della cultura europea.
L’articolo che qui presento è suddiviso in due parti, che corrispondono a due aspetti: la verginità e la profezia. A Cassandra parthenos è dedicata la prima parte dell’articolo, costruita su tre ambiti: le nozze mancate, l’oltraggio di Aiace, la servitù sotto Agamennone, in ogni ambito vengono considerate le relative testimonianze culturali. Cassandra mantis è l’oggetto della seconda parte, in cui il ruolo profetico del personaggio è studiato non solo nell’ambito dei contesti letterari, ma anche in relazione alla divinazione come fenomeno religioso, storico e sociale.
«La persona non è pensabile senza nome... ma l’uomo ha nome solo nel caso che abbia personalità» Calame, 1985.
E' noto come nell’antichità l’antroponimo sia spesso, soprattutto in letteratura greca, metafora dell’identità del suo portatore; già i poemi omerici testimoniano la coscienza delle possibilità significanti dell’antroponimo ed il ricorso a giochi etomologizzanti.
Attraverso etimologie i Greci videro in molti nomi gli emblemi di qualità, disposizioni, vicende e destini di personaggi del mito: i lamenti di Aiace (aiazein), il contendere di Polinice (polus neikos), le pene di Odisseo (oduromai), il ruolo di reggitore di Ettore (ekein), tutti apparivano prefigurati nei rispettivi antroponimi. L’antroponimo, dunque, fornisce un ideale punto di partenza nell’individuazione degli elementi che, di questi personaggi, furono sentiti come caratterizzanti.
Il nome Cassandra è attestato in varie fonti letterarie; in esse si assiste ad una oscillazione tra la forma Kasandra, presente nella maggior parte dei manoscritti di Pindaro, di Eschilo e di Euripide, e la forma Kassandra con geminazione di s, presente in quasi tutti i manoscritti dei testi omerici. Il medesimo personaggio si chiama Alessandra nell’omonima opera di Licofrone, nome forse corrispondente all’assimilazione, operata in Laconia, tra una divinità appellata Alessandra e la figlia di Priamo.
Del nome Cassandra sono state proposte tre spiegazioni. La prima postula che Cassandra sia un nome non greco e che Alessandra ne sia la grecizzazione: entrambi i nomi della figlia di Priamo significherebbero "colei che respinge l’uomo". La seconda lega Kassandra alla radice kad, che si trova in kekasmai: il nome allora avrebbe il senso di "colei che si distingue tra gli uomini". La terza più recente ed articolata, parte dalla forma del vocalismo – e, considerata quella originale, che riconduce ad una radice indoeuropea dal significato "parlare enfaticamente, fare annunci". Kassandra sarebbe pertanto, "colei che parla in tono enfatico davanti agli uomini".
L’antroponomino, quindi, sembra ancora una volta riflettere gli aspetti del personaggio sentiti come caratterizzanti: la verginità intesa come rifiuto del maschio, la bellezza e infine la profezia. Sebbene nello studio dell’identità di un personaggio del mito possa risultare utile cominciare dal significato del suo nome, per Cassandra non è possibile, in quanto la sua etimologia è tuttora incerta.
Per scoprire che cosa la figura di Cassandra significasse per i Greci, è opportuno focalizzare l’attenzione sulle due valenze del personaggio: la femminilità/parhenia e la dote profetica, due aspetti, questi, strettamente correlati tra loro. La parthenia e la manteia di Cassandra saranno quindi i nuclei tematici attorno al quale si svolge il mio lavoro, nella consapevolezza che il mito fondamentale non è ciò che esiste all’inizio ma ciò che resta alla fine, in grado di soddisfare le ricezioni e le aspettative ("Vernant").
Da un punto di vista semantico il termine greco parthenos non corrisponde precisamente a vergine, non si riferisce cioè in particolare all’integrità fisica del corpo femminile. Il concetto di parthenia rimanda piuttosto ad un periodo della vita, definito dall’età anagrafica e dalla condizione civile, che coincide con il nubilato: è una tappa di un percorso sociale, che implica un avvicinamento e un adeguamento fisiologico alla tappa successiva, quella del matrimonio. Secondo questa prospettiva il modello femminile si basa sulla centalità del gamos e della funzione riproduttiva (Cantarella).
Ma la parthenia non ha solo un significato, per così dire, sociale e la femminilità non coincide solo con il focolare domestico, con il muknos, il luogo della dimora, e il thalamos, scopo e simbolo di realizzazione nella vita di una donna.
L’essere femminile, ai confini tra il noto e l’ignoto pauroso, il civile e il selvaggio, il sacro e il contaminato, la luce e l’oscurità, era percepito dai Greci come il più esposto alla possessione divina e il più adatto ad assolvere alla funzione di medium tra mondo umano e mondo soprannaturale. L’invasamento derivato da un desiderio erotico sembra riservato soltanto alla natura femminile, impressionabile e ricettiva, e la parthenia appare la condizione necessaria per l’accoglimento del dio: paradossalmente è la condizione di vergine a permettere una penetrazione divina che non compromette affatto lo status di parthenos, ma al contrario lo consacra. Sotto questa luce la parthenia coincide con una condizione di purezza e incontaminatezza legata al concetto di sacralità e di consacrazione, che implica la negazione di ogni rapporto sessuale con l’uomo, ma non con il dio.
Se il rapporto tra manteia e parthenia appare strettissimo, è soprattutto nella divinazione apollinea che la verginità sessuale rappresenta un aspetto essenziale.
Cassandra si presenta come kore e parthenos; proprio la femminilità e la parthenia, insieme alla tradizionale bellezza che la rende simile all’aurea Afrodite, sono i caratteri pregnanti che da un lato implicano necessariamente il contatto con il mondo maschile, con la sfera del gamos e dell’eros, dall’altro la rendono oggetto del desiderio e della possessione da parte di Apollo. Ma Cassandra incarna una bellezza e una femminilità ambigue e contraddittorie: non entra mai in quel circolo di scambio rappresentato dalle nozze, non passa mai a far parte di un altro oikos e, d’altra parte, il suo rifiuto di concedersi al dio stravolge gli esiti dell'invasamento divino.
La perfetta conoscenza di passato, presente e futuro induce Cassandra a mettere in guardia gli uomini dalle follie della hybris, ma la sua incapacità a persuadere della veridicità delle sue profezie, risultato della maledizione di Apollo, la isola definivamente dal mondo circostante, le frutta l’ambiguo attributo di mainas (forsennata), la rende presenza scomoda all’interno dell’oikos e dell’intera città, imbarazzante presenza per parenti ed estranei, amici e nemici. Femmina e vergine, ma anche mantis, mainas e phoitas (profeta, forsennata e errante - errante col corpo e con la mente), Cassandra si pone agli antipodi della donna moglie/madre, radicata nel focolare, agli antipodi di una femminilità intesa come incarnazione del punto fermo in un universo maschile in movimento (Vernant), e per questo universo maschile risulta insieme attraente, inconoscibile e paurosa.
Ma se Cassandra appare sempre come vittima, in balia dei voleri altrui, la sua condizione di alienata le permette in realtà di sottrarsi al controllo degli uomini e di godere, nel suo stato di assoluto isolamento, di una sostanziale libertà. Perché la divinazione sia possibile si deve presupporre un destino definitivamente fissato; l’intima conoscenza dell’avvenire fa sì che Cassandra risulti soggetta soltanto al destino immutabile e invece intimamente libera dall’apparente potere umano. Ella si avvia ad una morte inevitabile in tempi e modi che non sono quelli voluti da Clitemnestra, e che non è neppure Cassandra a decidere, ma che sono parte di una successione di eventi già stabilita, nota a lei e soltanto a lei (Vernant 1982).
Tanto la manteia quanto la parttenia, intese come condizione di consacrazione, implicano uno stretto rapporto con la divinità e suggeriscono talvolta uno status sacerdotale che contempla una sorta di "sacre nozze" con il dio. Che Cassandra sia profetessa per merito di Apollo è dato saldamente acquisito dalla tradizione; il suo ufficio di sacerdotessa, invece, appare più complesso da definire. Se nella religione greca il sacerdozio può essere inteso soltanto come "il servizio ad un determinato dio in un preciso luogo sacro" e inoltre è una carica accessoria e onorifica, di quale dio, dove e quando Cassandra è iereia (termine quasi tecnico e titolo ufficiale di sacerdotessa del culto)? Il problema non si pone, in realtà, soltanto per Cassandra, ma per tutti coloro che si trovano ad essere contemporaneamente profeti, per physis e / o techne (natura e o per tecnica), sacerdoti, per nomos. A complicare il caso di Cassandra si aggiunge il fatto che ella è profetessa non creduta, e il suo status, pertanto, talvolta non appare neppure riconosciuto.
Nei poemi omerici non vi è riferimento né alle doti mantiche di Cassandra, né a sue funzioni sacerdotali; anzi la figlia di Priamo appare proiettata, come si vedrà, nella sfera matrimoniale, pur secondo una tipologia del tutto particolare, e sembra pronta, dopo la promessa del padre, a passare dall’oikos di origine all’oikos dello sposo.
Gli attributi ornamentali e la veste che porta la Cassandra eschilea, skeptra, stephe e esthes (bastone o scettro, corona e veste), che in genere sono segni distintivi dello iereus, indicano invece in maniera inequivocabile, in questo contesto, la sua condizione di profetessa, da che le bende sono definite manteia e al veste kresteria (divinatorie e profetica): le une e l’altra alludono pertanto ad una sacralità che non ha attinenza al sacerdozio, ma allo stretto e contrastato legame con il dio Apollo, responsabile della sua condizione di invasata e delle sue doti mantiche. Con lo spogliarsi delle insegne e delle vesti oracolari, operazione in cui è aiutata da Apollo stesso, Cassandra segnala la fine della sua funzione profetica, che coincide con l’imminenza della morte.
Per trovare un riferimento a vere e proprie funzioni sacerdotali di Cassandra bisogna arrivare alle Troiane di Euripide. Qui Cassandra appare estranea all’oikos d’origine e alla polis in quanto considerata "folle", dal momento che è profetessa non creduta, ma, nell’ambito della comunità troiana, svolge invece un preciso ruolo, a lei riconosciuto dalla comunità stessa: quello di scerdotessa di Apollo.
Nel prologo, Poseidone, dopo aver rilevato che in Troia distrutta langue il culto degli dei, chiude la sua resis (discorso) d’esordio, prima del dialogo con Atena, proprio con il riferimento a Cassandra, parthenos (vergine) che Agamennone ha scelto per sé, abbandonando la religione e la pietà. L’Atride non commette asebeia (empietà) perché sposa una profetessa agitata, ma perché Cassandra è sacerdotessa vergine di Apollo ed egli viola la sua agneia (castità) e la allontana dal tempio e dal suo ufficio.
Da questo contesto appare evidente che con parthenia si intende l’assenza di rapporti sessuali con l’uomo: tale status, presentato nelle Troiane come privilegio concesso da Apollo stesso alla propria sacerdotessa, risulta compromesso dal concubinato con Agamennone. Il concetto è riproposto nel momento in cui Cassandra si spoglia di stephe e agalmata (bende e ornamenti) del dio Apollo strappandoli dalla propria pelle "che ancora è sacra", cioè consacrata alla divinità, proprio prima di imbarcarsi sulla nave di Agamennone in qualità di sua concubina, ruolo che risulta dunque incompatibile con la sua funzione di vergine sacerdotessa.
E' evidente che per Cassandra gli attributi di cui si libera sono anche segni delle sue doti profetiche e del suo stretto rapporto con Apollo, che in Euripide è per Cassandra il più amato degli dei, ma di cui ella stessa si definisce anche "ministra" e nel cui tempio compie sacrifici. Una conferma decisiva del suo ruolo di sacerdotessa di Apollo nelle Troiane di Euripide è rappresentata dal possesso delle chiavi del tempio. Con la caduta di Troia e la spartizione del bottino e delle prigioniere tra i Greci il suo ruolo di ministra del culto è finito, con il suo destino di concubina di Agamennone la sua parthenia (verginità) è definitivamente compromessa. A nulla è valsa l’esortazione di Ecuba a gettare le bende e gli ornamenti che ella indossa in quanto sacerdotessa di Apollo, per evitarne la profanazione. E' plausibile che la parthenia di Cassandra sia connessa in ogni caso a un rapporto privilegiato con Apollo, sia esso la manteia o il sacerdozio, cioè la capacità profetica o il suo essere sacerdotessa.
Nell’Alessandra di Licofrone, invece, la parthenia (verginità) si configura come scelta di vita in emulazione di Atena, la dea parthenos (vergine) per eccellenza: è nel suo tempio che la figlia di Priamo, inseguita da Aiace Oileo, cerca rifugio e protezione.
Mi sembra opportuno chiarire, tuttavia, che Alessandra/Cassandra non è mai rappresentata nel ruolo di sacerdotessa di Atena.
Sembra plauasibile ipotizzare che l’immagine di Cassandra protettrice di vergini e negatrice dell’unione matrimoniale, in stretta analogia con la dea Atena, si sviluppi non tanto in concomitanza con la tradizione della verginità sacerdotale apollinea di Cassandra, quanto invece in concomitanza con quella di una sua personle scelta di vita verginale, poi violata da Aiace, come sembra potersi ricavare dalla tradizione affermatasi in epoca ellenistica.
Si può concludere che il personaggio di Cassandra, con la sua femminilità, che è oggetto di desiderio e insieme tramite dell’invasamento, è posto in relazione con tre divinità: con Afrodite per la sua bellezza; con Apollo per le sue doti mantiche e per le sue funzioni sacerdotli; con Atena per la sua scelta della parthenia, della verginità, per il suo rapporto conflittuale con il maschio e, in definitiva per il suo rifiuto di esso.
Ma Cassandra stessa è innalzata al rango di divinità, venerata in Argolide e in Laconia, i luoghi ove è giunta a morire con Agamennone, l’una e l’altro uccisi da Clitemnestra.
Le testimonianze non permettono, tuttavia, di stabilire con certezza se si debba parlare di una dea originaria discesa al rango di eroina o invece, forse più plausibilmente, di un’eroina in seguito identificata con una divinità.
Nell’Iliade (13,363-88) Otrioneo giunge a Troia per ottenere la mano di Cassandra; in cambio non reca i tradizionali edna (doni maritali), i doni nuziali, ma promette a Priamo una grande impresa in alleanza con i Troiani. Priamo, a sua volta, promette di concedergli la figlia, ma l’eroe viene ucciso da Idomeneo. In questo contesto la bellezza di Cassandra, altrove connotata in maniera tradizionale, è qualità che la distingue tra le sorelle. La promessa di Priamo di concedere in sposa la figlia in cambio di aiuto nella guerra costituisce una sorta di topos collegato alla bellezza di Cassandra (dalle caviglie sottili, dagli occhi splendenti e dalle trecce amabili) ed è del tutto slegato invece dalla manteia che non compare nei poemi omerici. Di questo tema ricorrente dell’offerta di Cassandra in sposa da parte di Priamo in cambio di alleanze, motivo legato alle doti di bellezza della fanciulla, è presente anche in un discorso di Odisseo.
Dalle fonti omeriche è possibile asserire che per Cassandra parthenos (vergine) il gamos ( il matrimonio) appare un’esperienza verso la quale sembra proiettata, ma che risulta alla fine negata. D’altra parte Cassandra, al contrario della donna greca che vive nella marginalità del focolare domestico, non è mai presentata in un contesto di occupazioni femminili. E' già significativa, nell’Iliade, la sua anomala apparizione sulle mura di Troia, al di fuori dello spazio domestico, in un luogo dove la presenza di una donna non è contemplata e anzi costituisce un’eccezionalità, un’anomalia. Compaiono sulle mura solo donne diciamo anomale, come Elena, o donne che si trovano in uno stato agitato e confusionale, come Andromaca, che Ettore dopo averla ritrovata, rimanda con fermezza e dolcezza tra le mura domestiche.
La fase iniziale della rappresentazione mitica appare sempre la medesima in tutte le fonti letterarie: alla caduta di Troia Cassandra fugge nel tempio di Atena, inseguita da Aiace. La parthenos raggiunge la statua della dea e cerca asilo, l’eroe non se ne cura, la afferra e la trascina. Che cosa accade a questo punto a Cassandra e qual è la natura dell’oltraggio commesso da Aiace, che suscita l’ira di Atena? Per poter trarre delle conclusioni è di primaria importanza un esame cronologico delle fonti e un confronto tra di ese.
Nei poemi omerici non c’è alcuna menzione dell’episodio. Dalla Crestomazia di Proclo sappiamo che essa era presente nell’Ilioupersis attribuita ad Arctino di Mileto; in questo poema del Ciclo l’oltraggio di Aiace consisteva nello strappare a forza Cassandra (dall’altare di Atena?), e nel trascinare via, assieme a costei, la statua di Atena.
In temini giuridico- religiosi l’azione si configura come la violazione del diritto di asilo nel tempio di un dio: il sacrilegio di Aiace consiste nel disprezzo della potenza tutelare di Atena, e si concretizza nell’atto di trascinare la sua statua, somma empietà.
E‘ questo il crimine che gli Achei vogliono punire perché, se non espiato, richiama l’ira divina sull’intera comunità, e richiede la pena pubblica per eccellenza: la lapidazione.
Aiace quindi compie un oltraggio direttamente ad Aena, un atto di hybris nei confronti della dea; Cassandra è vittima secondaria, oggetto di un "trascinamento" non altrimenti precisabile. Da un punto di vista lessicale sono da notare l’uso del verbo elkomai che si riferisce implicitamente a Cassandra, e del termine xonanon per indicare la statua del culto di Atena.
Per l’esemplarità dell’episodio mitico appare funzionale non tanto precisare che cosa accada a Cassandra, quanto invece sottolineare l’esatta natura dell’oltraggio, cioè l’assoluto disprezzo da parte di Aiace di Atena e della sua divinità tutelare.
Nel Prologo delle Troiane di Euripide ciò che risulta evidenziato è l’oltraggio ad Atena; oltraggio che si esplica nel "trascinamento" di Cassandra, e quindi nella violazione del diritto di asilo; si tratta di un atto di hybris specificatamente diretto contro la dea e il suo tempio, e caratterizzato,dal punto di vista lessicale, dal nesso elko bia. La violenza suggerita dal termine bia potrebbe essere stata generica e l’eroina soltanto vittima secondaria.
Nell’Alessandria di Licofrone è la protagonista stessa a narrare, in prima persona, la violenza commessa ai suoi danni. Se al verso 358 compare ancora il verbo elko, il contesto è tuttavia chiaramente erotico e l’atto di Aiace non è più generica violazione di un diritto di asilo: Alessandra emula di Atena e gelosa della propria verginità, verrà trascinata come colomba nel letto dell’avvoltoio, mentre invoca in aiuto la dea.
L’insistenza preliminare sulla parthenia di Alessandra, sinora intatta per una precisa scelta, appare significativa proprio in quanto la sostanza dell’oltraggio di Aiace è uno stupro ai danni di una promessa sposa, rifugiatasi presso Atena.
Nell’interpretazione di questo episodio mitico la critica moderna si presenta divisa tra coloro che sostengono lo stupro ai danni di Cassandra forse presente già nelle fonti antiche, e coloro che lo ritengono, invece, invenzione alessandrina. Ma la questione non va posta in questi termini. Come tutti gli eroi greci, inebriati per la vittoria su Troia, si lasciano andare ad ogni sorta di eccessi, così Aiace si rende colpevole di un atto di hybris nei confronti della dea Atena: spinto da insopprimibile desiderio sessuale, mainomenos per causa di Eros, egli insegue Cassandra fin dentro nel tempio, dove la fanciulla fugge, supplice, per cecare protezione ed asilo. Si può facilmente ipotizzare che il proposito di Aiace, come quello di molti altri eroi greci ai danni delle troiane, sia di violentare la donna: ciò appare evidente in tutte le fonti, che esplicitano le sue intenzioni presentando talora la donna nuda.
Nelle fonti arcaiche, tuttavia, ciò che interessa è che l’atto sacrilego di Aiace consiste nel "trascinamento" di una supplice, e a questo punto il racconto ha termine.
Egli si macchia di una delle colpe più gravi secondo la sensibilità arcaica e classica, cioè della violazione del diritto di asilo offerto dal sacro tempio e dalla sacra divinità tutelare. L’oltraggio si configura quindi, in tutta la sua gravità, direttamente nei confronti di Atena, e il personaggio di Cassandra è assolutamente secondario, né importa, una volta esplicitata l’empietà di Aiace, che cosa accada di lei. Una conferma sembra venire dal fatto che in tali fonti non vi è alcun riferimento alla problematica della parthenia.
Da un certo momento in poi l’accento si sposta progressivamente sull’azione di Aiace, e cioè sulla violenza sessuale. E' forse in età ellenistica e forse, per quanto ne sappiamo a partire da Callimaco, che la violenza sessuale si carica di carattere sacrilego, si trasforma da possibile seguito dell’azione empia, in sostanza dell’empietà stessa, e diventa quindi la vera essenza della colpa dell’eroe, in quanto stupro commesso all’interno di un luogo sacro, di fronte ad una sacra immagine. A ragione Vian ritiene il motivo l’azione della statua che alza gli occhi al cielo "une action dans le gout hellenistique". L’episodio mitico, quindi, rimane il medesimo, ma appare diversamente focalizzato e amplificato nei periodi arcaico e classico e nell’epoca ellenistica, poiché l’empietà di cui si sostanzia è presentata prima come violazione del diritto di asilo, atto di hybris nei confronti di un dio, poi come stupro in un tempio ai danni di una supplce parthenos, che diventa la vera vittima di oltraggio.
L’interpretazione della vicenda, che rende la violenza sessuale il fulcro del mito, prende piede soltanto tra il IV e il III sec. La sincronia tra le testimonianze per tale percezione dell’episodio mitico e quelle relative al rito ad esso legato suggerisce di far risalire ad un unico momento storico-letterario il mutamento nell’interpretazione della colpa di Aiace (da violazione di un diritto di asilo a stupro all’interno di un luogo sacro).
Nella spartizione del bottino, dopo la conquista di Troia, Cassandra tocca ad Agammenone come schiava di guerra. Tutte le fonti concordano nel sottolineare che la fanciulla non viene sorteggiata, ma scelta precisamente dal re, che la vuole per sé. Con lui Cassandra arriva nel palazzo reale e con lui condivide il destino di morte, tramato da Clitemnestra insieme all’amante, Egisto. Ma il legame che unisce Agamennone alla sua schiava è complesso, va indagato soprattutto in rapporto a Clitemnestra, all’adulterio di quest’ultima con Egisto, e ai movimenti per l’assassinio del marito e della sua schiava. Si constata che la scelta di Cassandra da parte di Agamennone viene presentata, a partire da Euripide, come scelta d’amore da parte di un re in preda all’eros e il loro rapporto acquista tanto rilievo da costituire una minaccia per l’oikos e da diventare ragione determinante per l’uxoricidio da parte di Clitemnestra.
Non a caso Cassandra compare in tale contesto: una presenza femminile accanto al re si lega strettamente e funge da pendant al ruolo di primo piano che ha acquistato Clitemnestra, qui la vera artefice del complotto. Quando protagonista diventa la regina, figura dominante rispetto ad Egisto, accanto al movente dell’adulterio e della conservazione del potere per lui sembra affacciarsi quello della gelosia per Cassandra.
E‘ questa molla che mette l’arma nelle mani di Clitemnestra e rende anche lei assassina
"nell’uccione Clitemnestra rinfaccia ad Agamennone la faccenda di Cassandra".
Nell’Agamennone di Eschilo il personaggio di Cassandra ha parte rilevante, soprattutto in qualità di veggente che profetizza non solo la morte del re, ma anche la propria.
All’arrivo ad Argo Agamennone mostra la sua benevolenza verso Cassandra che siede sul carro accanto a lui. Cassandra rimane muta per tutto il dialogo tra Agamennone e la moglie. Straniera e preda di guerra, Cassandra è, nelle parole di Agamennone, "fiore scelto tra molte ricchezze, regalo dell’esercito". Alla begninità nei confronti di Cassandra espressa da Agamennone, si contrappone la precisa volontà di Clitemnestra di umiliarla, relegandola tra le schiave comuni. Cassandra continua a rimanere muta, non perché, come rondine, parli linguaggio incomprensibile, secondo l’ipotesi di Clitemnestra, ma perché è del tutto avulsa dal mondo che la circonda, con il quale non stabilisce alcun contatto. Clitemnestra supponendola barbara suggerisce a Cassandra di usare gesti per comunicare, ma quando la regina lascia la scena, Cassandra inizia a parlare e profetizzare. Nel vaticinio Cassandra e Agamennone risultano accomunati nella morte.
L’ipotesi di un amore da parte di Cassandra per Agamennone non è provato dalle fonti, la celebrazione che Cassandra fa del re è funzionale alla costruzione di un’antitesi tra il vittorioso comandante sul campo di battaglia ed il codardo Egisto rimasto a casa, imbelle leone che si ravvoltola nel letto. E' da sottolineare che Cassandra non giudica Agamennone responsabile delle sventure proprie e della patria, come accade invece nelle Troiane di Euripide. Manifesta invece più volte pietà nei confronti del suo padrone, ma a ciò non va attribuito ulteriori significati: Cassandra ed Agamennone stanno semplicemente dalla stessa parte.
Nel contesto dell’Agamennone il movente per l’uxoricidio è senza dubbio il sacrificio di Ifigenia: Clitemnestra è in primo luogo una madre che vendica sua figlia, in secondo luogo una moglie che, ucciso il marito, non si cura di velare il suo legame adultero con l’amante, Egisto; legame che si avvia ormai a trasformarsi in nozze. Proprio e soltanto in concomitanza con la menzione di Egisto, e quindi con l’allusione ad una forma di adulterio, Clitemnestra rimprovera ad Agamennone i suoi rapporti extraconiugali e, in particolare, quello, supposto, con Cassandra, che giace morta con lui, come con lui giunse. In tali espressioni, non scevre di pesanti allusioni erotiche, non va vista una dichiarazione di gelosia come motore scatenante la vendetta; l’uccisione di Cassandra ha luogo in concomitanza con quella del suo padrone, gradito condimento, per Clitemnestra, della sua voluttà (così sembra), un di più che si viene ad aggiungere ad un malefico disegno, già ben predisposto prima dell’arrivo della schiava ad Argo insieme ad Agamennone. La presenza di Cassandra e la gelosia nei suoi confronti appaiono un motivo del tutto secondario nel contesto dei motivi addotti da Clitemnestra a giustificazione dell’uccisione del marito.
L’uccisione della schiava, che dimostra di godere di particolari attenzioni, è stata un’aggiunta all’uxoricidio. Nella tragedia, d’altra parte, non si trova alcun accenno alla parthenia violata: la sessualità di Cassandra appare piuttosto rilevante nel contesto dei suoi rapporti con Apollo.
In Eschilo come in Seneca, il motivo della gelosia è del tutto secondario. Gli studiosi (Winnington e Ingram e Heubner) cercano di dimostrare che Clitemnestra non uccide il marito per vendicare la figlia, né perché gelosa dei suoi amori extrconiugali, e nemmeno spinta dal suo amore per Egisto, ma per desiderio di libertà personale.
Del tutto divesa è la presentazione dei rapporti Agamennone/ Cassandra da parte di Euripide e i sentimenti dell’uno verso l’altra sono espliciti: coerentemente con l’accentuazione dell’elemento erotico, assumono rilevanza da un lato la sacra parthenia di Cassandra, che Agamennone viola, dall’altro la gelosia di Clitemnestra, che uccidendo gli amanti, mira a vendicarsi.
Nelle Troiane nella spartizione delle prigioniere di guerra tra i capi Argivi, Cassandra è stata scelta da Agamennone, che l’ha presa per sé sottraendola al sorteggio del bottino, ma la prima novità euripidea consiste nel fare dell’Atride una vittima di Eros, che resta affascinato da Cassandra invasata, in preda al delirio, e si piega all’amore, violando la sacralità della sacerdotessa di Apollo.
La seconda novità nella presentazione dell’episodio mitico da parte di Euripide è lo statuto che acquista Cassandra presso Agamennone. Cassandra non andrà in Grecia per servire Clitemnestra, la sposa spartana, ma per condividere il talamo del re come moglie illegittima, nella configurazione di concubina.
Ma qual è l’atteggiamento di Cassandra nei confronti di Agamennone? In Eschilo non si è trovata avversione per il padrone, ma anzi si è evidenziata la pietà per il valoroso condottiero ucciso dalla moglie infedele. Qui invece è detto da Cassandra con sarcasmo: Agamennone è caduto sotto il suo potere, ella sarà per lui sposa peggiore di Elena. Se nell’Agamennone eschileo Cassandra si sentiva vicina al suo padrone nella condivisione della morte e della vendetta da parte di Oreste, qui ella predice con macabra ironia una "unione maritale" con lui nell’Ade e la condivisione di un ignobile rito di sepoltura e di una tomba preda delle fiere.
Quel che Clitemnestra non potè davvero tollerare fu che Agamennone fosse ritornato con una menade invasata e l’avesse introdotta nel letto, e che si tenesse contemporaneamente due spose nella stessa casa. Fu solo allora che la moglie tradita si cercò un amante: il suo comportamento rispose e deve ora corrispondere, in termini di valutazione, a quello di Agamennone; è possibile qui avvertire un diverso ingiusto giudizio sociale su uomo e donna adulteri. Elettra rinfaccia alla madre di avere accolto Egisto ben prima dell’arrivo di Agamennone con la sua concubina, per riprendere poi il motivo del sacrificio della sorella e smontarlo come possibile movente, senza tuttavia arrivare a giustificare il padre per l’azione commessa. Nella tragedia sofoclea non compare il motivo di Cassandra e della gelosia nei suoi confronti, che pure bene avrebbe funzionato in quel contesto, visto che il sacrifico di Ifigenia è presentato come inevitabile e quindi Agamennone risulta innocente sotto questo profilo.
Nella tragedia euripidea, invece, tutto l’agone tra madre e figlia ruota intorno ad amanti e ad adulteri, a infedeltà e a vendette amorose, e il continuo paragone tra Clitemnestra e la sorella Elena mira a denunciare l’indole più intima della prima.
Nelle parole di Clitemnestra non si evidenzia la madre che si vendica, ma la moglie che si è vista tradita e colpita esattamente tra le mura domestiche, dove si trova a svolgere il proprio ruolo; nelle parole di Elettra è proprio in questo ruolo che ha fallito, moglie infedele e madre snaturata, perchè rimpiazzò il marito legittimo e riservò ai figli un misero trattamento relegandoli l’uno, Oreste, in esilio, l’altra, Elettra stessa appunto, nei recessi della casa.
Da questa analisi della tragedia euripidea si può dedurre che l’amore di Agamennone per la schiava e il loro concubinaggio, sotto forma di illegittime nozze, sono dati acquisiti. Nel contesto dei moventi di Clitemnestra per l’uxoricidio, il sacrificio di Ifigenia ha perso di significato, mentre l’adulterio è diventato motivo decisivo.
Il personaggio di Cassandra si trova pertanto a rivestire un ruolo determinante, non più gradito condimento alla voluttà di Clitemnestra, come nella tragedia eschilea, ma come motore della vendetta.
Nell’Alessandra di Licofrone la protagonista stessa predice il proprio assassinio e quello di Agamennone. E' da notare che nelle parole di Alessandra sembra di cogliere la volontà di precisare e giustificare in un qualche modo la propria posizione accanto al re. Se ella dà grande rilievo alla gelosia come movente di Clitemnestra per il suo assassinio, motivo ormai entrato nella tradizione, cerca poi di dimostrarla infondata, rivendicando per sé il semplice ruolo di schiava, bottino di guerra, scambiato dalla moglie legittima per quello di amante- concubina. Agamennone, il suo padrone, in realtà si imporrà come suo sposo, ed ella si troverà ad essere nella contraddittoria posizione di sposa prigioniera; sicura della propria innocenza ne rimarrà vittima; nella bocca dell’innocente moribonda resta il nome di Agamennone, invocato con l’ultima voce, ma ormai incapace di udirla. Dalla trattazione licofronea dell’episodio si deduce che il rapporto di concubinaggio e le nozze illegittime tra la schiava e il suo padrone erano ormai tradizionali ed entrate a far parte della versione corrente del mito.
Dalla tradizone riceviamo conferma che i rapporti tra Agamennone e Cassandra, sacra parthenos, sono andati cristalizzandosi come legame amoroso e sono stati posti all’origine del tragico epilogo della saga degli Atridi.
Attraverso le varie interpretazioniche dell’episodio mitico in esame sono state offerte e si possono ricostruire le diverse configurazioni di Cassandra accanto ad Agamennone e le conseguenze che ne sono scaturite nell’ambito della saga familiare dell’Atride.
Nella sua qualità di schiava di guerra Cassandra fino all’Agamennone di Eschilo non è presentata come motivo di tensione in seno all’oikos e non sembra rappresentare una minaccia per Clitemnestra; i sentimenti di Agamennone nei suoi confronti non sono
soggetti d’indagine e non sembra sentita l’esigenza di una precisazione.
Tra Clitemnestra e Cassandra non vi è una rivalità, Cassandra è frutto di una vittoria di guerra e, in tal senso, rappresenta la normalità. Sarebbe fuorviante fare del concubinaggio il movente della moglie legittima per l’uxoricidio; motivazione non percepita nella società arcaica. Non deve stupire che una volta che si decreti l’uccisione di Agamennone, anche la sua concubina venga eliminata.
Nell’Agamennone di Eschilo sono di scena lo stravolgimento dei valori morali e il rovesciamento dei ruoli maschio/ femmina. Proprio in quest’ottica vanno interpretate le accuse di Clitemnestra, donna che rivendica per sé il ruolo dell’uomo, accusando e quindi lancia al marito per la sua infedeltà. Non è il concubinaggio ad essere messo in discussione e non è la gelosia ad essere la chiave interpretativa. Le parole di trionfo di Clitemnestra sui cadaveri di Agamennone e Cassandra tradiscono quel sentimento di rivincita che anima la donna-uomo, non obbligata finalmente ad accettare passivamente la schiava preferita in casa: la possibilità di liberarsi di lei rappresenta il culmine della soddisfazione.
Se nell’Elettra di Euripide Clitemnestra può invocare l’infedeltà del marito a giustificazione dell’uxoricidio, e ciò ha forza argomentativa, e se è proprio la gelosia ad essere addotta come suo movente (marginale è, invece, che vi sia il suo legame con Egisto come vero motore) c’è da chiedersi se il concubinaggo fosse allora pratica ordinariamente accettata, soprattutto quando la concubina entrasse realmente a far parte dell’oikos e fosse oggetto d’amore da parte del padrone, come per Cassandra ed Agamennone a partire proprio da Euripide. E c’è da interrogarsi sui veri sentimenti delle mogli legittime, che forse sentivano il ménage à trois come dura imposizione, minaccia al loro ruolo e origine di una potenziale concorrenza per i loro figli, che, soli, godevano della legittimità. Una donna non aveva altra scelta che essere tollerante nei confronti del marito e delle sue relazioni, ma purché la distinzione tra le donne nell’ambito dell’oikos fosse ben chiara e lo status di moglie legittima riconosciuto (Vernant).
Euripide coglie i cambiamenti sociali della sua epoca e si fa fine interprete nella scelta e nel trattamento dei miti.
Non è un caso che a partire da Euripide i sentimenti di Agamennone verso Cassandra siano definiti come irresistibile eros. Appare significativo che il motivo di Ifigenia, incombente fino all’Agamennone di Eschilo come movente per l’uxoricidio perda forza e funzionlità. Nelle Troiane Cassandra sa benissimo che sarà proprio lei, con la sua presenza, a scatenare le stragi a catena e la rovina della casa dell’Atride.
La diversa presentazione di Cassandra come concubina di Agamennone è quindi uno specchio di un certo cambiamento dei rapporti sociali tanto nella polis, quanto nell’oikos, di nuove problematiche che si affacciano in questa seconda metà del V secolo.
Ci si allinea con Euripide nel fare dell’amore tra Cassandra e Agamennone causa maggiore dell’uxoricidio. Anche la coesistenza di due donne nel medesimo talamo è argomento di dibattito in epoca classica e sembra ricevere assoluta e definitva condanna.
Le testimonianze letterarie relative a Cassandra profetessa attribuiscono al personaggio una divinazione connotata in maniera precisa e coerente. Si tratta di una divinazione intuitiva: la parola divina, percepita dall’intelligenza umana, si trasforma in una rivelazione interiore e dall’incontro tra ispirazione divina ed intelletto della mantis, attivo e cosciente, deriva l’intuizione mantica. L’ispirazione divina della veggente, posseduta da Apollo, e l’ispirazione che ne risulta sono la condizione primaria per la pratica di questo genere di divinazione, rispettivamente la causa e l’effetto di una "follia divina", manifestazione di un invasamento da parte di un dio (Brisson). La specificità della divinazione di Cassandra risiede nella individuazione nel processo divinatorio di due fasi principali che ora si alternano ora si combinano: l’una verticale, che coincide con la trasmissione della conoscenza profetica dalla divinità alla màntis, l’altra, orizzontale, rappresenta il momento del contatto tra la màntis e l’ascoltatore del messaggio. Vi sono quindi una fase percettiva, durante la quale la veggente si trova in una condizione di vera e propria estasi ed è investita da visioni che trasmette verbalmente senza mediazione razionale e una fase comunicativa, quando la razionalità della profetessa interviene per tradurre ed organizzare le visioni inviate dal dio in parole intelleggibili e in espressioni sintatticamente organizzate.
Nel primo caso (veggenza) l’espressione verbale è una mera descrizione da parte del veggente di quanto inviato dal dio e appare ai suoi occhi, e, dal momento che la sfasatura tra linguaggio divino e linguaggio umano non è attenuata in alcun modo, essa risulta oscura e ambigua al massimo grado.
Nel secondo caso, invece (profezia) la profetessa, grazie ad un processo di interpretazione razionale, può comunicare un messaggio accessibile alla comprensione umana. Nella tradizione letteraria esistono, come probabilmente esistevano nella realtà storica, sia esempi di veggenti (prima fase della divinazione di Cassandra), sia esempi, più numerosi, di profeti ispirati, ma non in condizioni estatiche e quindi nel pieno controllo delle proprie facoltà razionali (seconda fase della divinazione di Cassandra).
Nel caso di Cassandra, però, anche quando la formulazione del messaggio oracolare raggiunge il massimo grado di chiarezza, e quindi di intelligibilità, la maledizione di Apollo impedisce che esso sia creduto (Vernant).
Le fonti letterarie relative alla divinazione di Cassandra sono di due tipi. Alcune si riferiscono, talvolta anche solo marginalmente, a interventi profetici della màntis nell’ambito della saga troiana: si tratta di momenti chiave nello snodarsi della vicenda mitica (il sogno di Ecuba, il riconoscimento di Alessandro/Paride, la partenza per la Grecia, l’arrivo di Alessandro/Paride ed Elena a Troia, l’accoglimento del cavallo di legno dentro le mura della città). Altre fonti, invece (in particolare l’Agamennone di Eschilo; le Troiane di Euripde; l’Alessandra di Licofrone), non si limitano ad accennare ad interventi oracolari, ma offrono dei veri e propri saggi di divinazione e costituiscono degli strumenti privilegiati per un’indagine delle modalità divinatorie di Cassandra. Scrivono Pellizer e Vernant:
la storia di Cassandra porta alle estreme conseguenze la paradossale ambiguità del sapere profetico: il messaggio divino comunica un sapere reale, spesso nascosto sotto le apparenze mutevoli delle visioni oniriche, o sotto l’incerta formulazione dell’enunciato oracolare. Ma perfino quando tale enunciato è più esplicito, è la volontà capricciosa e beffarda dello stesso dio che invia il messaggio a far sì che esso non sia creduto, in modo che il destino possa compiere il suo corso senza che gli uomini possano porvi rimedio.
Le tradizioni sul dono della divinazione a Cassandra sono due: secondo l’una, caratterizzata dai tratti della persecuzione amorosa e quindi strettamente legata alla femminilità e alla parthenia, è il dio Apollo a concederle la capacità di prevedere; secondo l’altra, Cassandra, insieme al gemello Eleno, diventa màntis grazie all’intervento dei serpenti.
La prima, la più famosa e che ebbe maggiore diffusione, trova la sua prima e compiuta narrazione nell’Agamennone di Eschilo: Cassandra stessa racconta di essere stata oggetto dell’amore di Apollo, di essersi a lui negata e di essere stata punita con la condanna a non essere mai creduta. Il caso di Cassandra è una vera e propria maledizione che la isola a priori, dalla società familiare e civile.
Cassandra, dopo aver affermato che le sue rivelazioni sono un tèlos (dono), impostole da Apollo màntis, prosegue confessando come prima provasse aìdos, cioè un pudore da vergine, nel parlare di tale argomento. E' proprio il termine aìdos a far intravvedere al coro la natura del rapporto tra Apollo e Cassandra, cui allude la profetessa e a suggerire la dmanda: "forse perchè colpito dal desiderio, benché fosse un dio, Apollo profeta ti propose questo ufficio?". Il coro, con una sentenza a carattere generale che riflette e fa riflettere su una comune opinione, chiarisce: Apollo, pur essendo un dio, è colpito dal desiderio e anzi, proprio perché dio ha successo, si mostra sicuro di sè, non contempla fallimenti. Cassandra afferma con forza che Apollo fu un vero e proprio lottatore "che soffiava la sua grazia su di me", il dio cioè la incalzò con aggressività, e intanto le ispirava la manteìa. Il coro allora domanda la conclusione di tale relazione: "e siete giunti forse a quell’atto che dà poi figli, secondo la legge?". "Avevo acconsentito, ho ingannato", risponde Cassandra. La vicenda quindi si è sviluppata in due fasi successive: dapprima l’ìmeros (il desiderio) di Apollo seguito da un tronfio e violento corteggiamento, dal conferimento della manteìa e dalla promessa di Cassandra di concedersi, poi, al momento conclusivo, l'inganno della profetessa che era già preda dell’arte divinatoria ispiratale dal dio e che gli si nega. Il coro manifesta sorpresa, tanto di fronte all’ammissione di Cassandra di essere rimasta in possesso delle doti mantiche, quanto soprattutto al vederla viva, lei che ha ingannato un dio. La professa rivela però la punizione subita per il suo errore, una punizione ancor più dura dell’essere privata del potere divinatorio: "non convincevo nessuno di nulla". La pena risulta pertanto commisurata alla colpa: all’inganno corrisponde la fama di ingannatrice.
Il rapporto tra Cassandra ed Apollo nella tragedia eschilea è un legame fatto di odio; la divinazione è presentata deinòs pònos ( tremenda lotta), effetto del doloroso e reiterato tentativo di possesso da parte del dio non solo della mente, ma anche del corpo di una Cassandra vergine che si è negata una volta e che tenta sempre di resistergli: la sua sofferenza è fisica e psicologica. La maledizione del dio, inoltre, che impedisce agli interlocutori di Cassandra di credere alle sue parole profetiche, ha una fondamentale funzione nello sviluppo dell’intera tragedia.
Sebbene Euripide, nelle Troiane, presenti una Cassandra non creduta, egli non si riferisce mai a questa tradizione del dono della veggenza associato alla maledizione. Snell arrivò ad affermare che la rappresentazione euripidea di Cassandra è incompatibile con la maledizione divina, eppure la profetessa troiana resta incapace di persuadere della veridicità delle proprie profezie e questa sua tipicità è sviluppata da Euripide in modo del tutto originale con una caratterizzazione molto specifica e molto marcata. Nel testo euripideo la tradizione era la stessa ed era operante, anche se in modo latente. Nella tragedia euripidea non vi è alcun cenno alla tormentata relazione tra Apollo e Cassandra, e anzi la profetessa non dimostra ostilità nei confronti del dio, che è presentato come il garante della parthenìa fino a che Agamennone, con la sua hybris non la possederà. Dal momento che l’associazione tra mantica e relazione amoroso/ sessuale tra dio e uomo è normale nella divinazione apollinea di mànteis femminili così come la punizione da parte degli dei di quanti non rispettano i patti, si possono ipotizzare nell’ambito del mito di Cassandra un accostamento e uno sviluppo originali, non databili con sicurezza, di motivi mitici comuni e diffusi.
La distruzione di Troia è messa dalla poetessa in rapporto al trionfo e alla contemporanea sconfitta, o viceversa, dell’elemento femminile. La prima persona utilizzata in "La storia non si affanna" viene ripresa in Monologo per Cassandra, dove a parlare è la Profetessa.
Sono io Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri. E questi i miei nastri e la verga di profeta. E questa
è la mia testa piena di dubbi.
Così comincia il testo dedicato alla figlia di Priamo. I primi due versi chiariscono inequivocabilmente chi parla e da dove lo fa. E tuttavia, creano subito una distanza col titolo sopra: si tratta del Monologo per Cassandra e non del monologo di Cassandra (come sarebbe lecito aspettarsi dopo la lettura dell’incipit). Con la preposizione "per", la poetessa manda un messaggio al lettore: dietro a Cassandra che parla ci sono io. Io, autrice, che con questo testo voglio supportare la causa di tutte le Cassandre del mondo, in particolare delle donne escluse e discriminate. Non è sufficiente, in questo caso, fermarsi a cogliere il messaggio, del tutto evidente, dell’emarginazione sociale di tutti i profeti, di coloro che vedono oltre, che hanno il coraggio di evidenziare verità scomode.
La Cassandra di Monologo per Cassandra pur se collocata sullo sfondo della propria "città sotto le ceneri", simboleggia il destino di emarginazione riservato a tutti i profeti inascoltati. Ciò che ha predetto si è ogni volta puntualmente avverato e tuttavia lei si chiede se davvero sia valsa la pena di aver concepito come propria missione la predizione delle sventure senza aver mai potuto goder della vita, nutrire qualche illusione, lasciarsi andare ad assaporare la gioia dell’attimo (Bremer).
Nel testo di Szymbroska c’è di più. La poetessa, come al solito, "gioca" con l’ultimo verso rivelatore, quello in cui il senso del testo dovrebbe erompere in maniera inequivocabile, quello che di solito capovolge il significato costruito fino a lì. In questo caso, tuttavia, il sapore della vittoria e il gusto amaro della sconfitta si rincorrono lungo l’intera durata del componimento, intrecciandosi fino a far perdere le tracce di quel che pensi davvero l’autrice. I simboli della condizione profetica di Cassandra ("E questi i miei nastri e la verga di profeta") vengono subito ridimensionati dalla sua condizione umana, colma di incertezza: "E questa è la mia testa pien di dubbi". Tale è il sentimento che ella prova nei confronti delle proprie doti divinatorie e tale è il dramma che vive per la ragione delle sue profezie, che i versi finali, riprendendo anaforicamente l’inizio con la costruzione verbale ("e questo è") risultano ormai spogli di ogni sfumatura positiva.
E’andata come dicevo io. Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata. E questo è il mio ciarpame di profeta. E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
I nastri e la verga di profeta, i simboli della sua presunta superiorità, messi in crisi dal dubbio già in apertura del testo, si trasformano in immagini ormai irrimediabilmente negative: la veste bruciacchiata, il ciarpame del profeta, il viso stravolto. Prima di riflettere sul significato dell’ultimo verso allora, sul "viso che non sapeva di poter essere bello", occorre analizzare come si è giunti dal presunto trionfo ad una sconftta apparentemente definitiva. La seconda strofa dovrebbe essere quella della rivincita di Cassandra che rivendica la giustezza di quanto prediceva a dispetto di chi, invece, non le ha creduto:
E‘ vero trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceaso il cielo. Solamente i profeti inascoltati godono di simile viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato, e tutto potè compiersi tanto in fretta come se mai fossero esistiti.
L’ipotetica rivincita viene mitigata dalla consapevolezza di essere una profetessa inascoltata, di quelle che hanno previsto una tragedia così grande, e così immediata, da non aver lasciato traccia di sé, come se mai fossero esistite. Il "dono" fattole da Apollo, dunque, si disvela in tutta la sua tragicità.
Vi sono differenti versioni sul dono profetico concesso dagli dei a Cassandra. Secondo quella più famosa, Apollo per conquistare il suo amore le offrì appunto la capacità di prevedere il futuro; dopo che Cassandra, ottenuto il regalo, si rifiutò di concedersi a lui, Apollo le sputò sulle labbra e la condannò a restare per sempre inascoltata.
Crudeltà : simbolo di rancore e di emarginazione sociale. Proprio quelle che restituisce la terza strofa del testo:
Ora rammento con chiarezza:
la gente al vedermi si fermava a metà.Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi. E quella canzoncina sulla foglia verde, nessuno la finiva in mia presenza.
Viene evocata l’ostilità di tutte le persone nei suoi confronti, che si fermano a metà strada o cessano di ridere al suo cospetto; in particolare, viene evocata l’ostilità delle categorie che dovrebbero essere più inclini all’accoglienza e all’inclusione: quella degli amanti le cui mani intrecciate si sciolgono e quella dei bambini, che spaventati corrono dalle loro madri. A tal punto che Cassandra neanche riesce a carpire i loro nomi. Così come non riesce mai a sentire la conclusione della filastrocca infantile sulla foglia verde. In questa srofa vengono fuori con vigore tutte le conseguenze di una condizione di esclusione, una condizione vissuta in quanto annunciatrice di sventure e di donna.
Non è un caso, infatti, che il riferimento a quelli spaventati particolarmente dalla presenza di Cassandra, converga sugli innnamorati e i bambini posti infine, ma attirando ancor più l’attenzione del lettore. Come ad immaginare una vita, così come effettivamente sarà, senza amore e senza famiglia. Christa Wolf, nelle sue Premesse a Cassandra, ha sottolineato proprio l’importanza del genere (femminile) abbinato al ruolo del profeta, attrbuendogli la vera origine dell’esclusione di Cassandra dalla società.
Se la terza strofa è di autocommiserazione rispetto alla realtà circostante, quella successiva rappresenta una presa di coscienza rispetto alla propria condizione interiore, non già rivendicata, ma pur sempre da perdonare in qualche modo:
Difficile dire quale sia la canzone cui la poetessa fa riferimento. Certamente l’elemento del colore verde introduce la negazione di ogni speranza di superamento della condizione vissuta dalla Profetessa.
Li amavo. Ma dall’alto. Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto e nulla è più facile che vedere la morte.Mi spiace che la mia voce fosse dura, guardatevi dall’alto delle stelle, gridavo, guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Qui Cassandra riflette sulla distanza creatasi con chi la circonda. Lei amava i propri concittadini, ma comprende perché non potesse esserne ri-amata a sua volta. E si scusa: "Mi spiace che la mia voce fosse dura". Costretta com’è ad una condizione di superiorità, in cui tutte le visioni convergono verso il futuro e verso la morte, la lontananza con chi vive la quotidianità si rivela incolmabile. Eppure i suoi ammonimenti si fanno pressanti, ostinati. Benché sappia che nessuno le crederà, a dimostrazione di quanto sia legata alla sua città e ai suoi abitanti, Cassandra indurisce la voce, urla e strepita: "Guardatevi dall’alto delle stelle". Ancora una volta la Profetessa rimane inascoltata ed esclusa: la gente attorno a lei ascolta e abbassa gli occhi.
Quel che la definisce nello specifico, è la comprensione che Cassandra nutre nei confronti di chi pure la esclude e la allontana. Questa comprensione sembra trsformarsi in invidia per la condizione di poter vivere l’istante, di non portarsi appresso il peso di un destino già scritto. La Profetessa capisce, in fondo, che i propri concittadini hanno diritto di vivere il loro percorso lontani da chi, invece, vorrebbe indicare loro i pericoli e il futuro prossimo, imminente. Tale comprensione che si spinge fino all’invidia sono colmi i versi della quinta strofa:
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento. Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.Ma c’era in loro un’umida speranza, una fiammella nutrita del proprio luccichio.Lo sapevano cos’è davvero un istante oh, almeno uno, uno qualunque prima di...
Prima della strofa conclusiva, in cui Cassandra si spoglia definitivamente di tutti gli attributi positivi da abbinare alla figura del vate o del Profeta, la sottolineatura della differenza con chi, invece, non ha capacità straordinarie da vantare se non quella della normalità è preparata da questi versi. Qui si manifesta quasi una sorta di invidia della quotidianità, di un percorso inconsapevolee felice da parte di chi ha avuto in dote una capacità straordinaria, dal momento che la straordinarietà conduce all’esclusione. Insomma parrebbe una poesia di denuncia e di rassegnaione per la condizione di donna caratterizzata inoltre dalla dote tragica della preveggenza, se non fosse per quel verso: "Un viso che non sapeva di poter essere bello".
Queste parole, più che mirare al rimpianto per un’occasione perduta, sembrano essere utilizzate come monito: ricordatevi che si può essere belle anche nella condizione di donne emarginate rivendicando il proprio ruolo e il diritto a dire cose scomode.
Sebbene la società proceda secondo modelli precostituiti e s’intenda felice soltanto nella ripetizione di quegli schemi secolari, per essere belle e felici occorre realizzarsi come persone e, nello specifico, come donne. Non soltanto all’uomo è concesso di divinare, senza per questo essere escluso dalla comunanza con gli altri uomini; anche alla donna è dato di esercitare le proprie doti; quand’anche straordinarie, a patto che acquisisca la consapevolezza di poterlo e volerlo fare. Ecco che il monologo per Cassandra, dopo essersi lungamente protratto come rimpianto per la proppria condizione pur nel trionfo delle proprie visioni, si trasforma in un monologo per tutte le donne: un invito ad insguire la vera bellezza nell’affermazione delle proprie capacità. Il mito di Cassandra viene accolto e riproposto nella sua pienezza: non solo come simbolo di una diversità esclusa e perseguitata, ma anche come simbolo di una donna che viene ridotta ad oggetto dal potere maschile e femminile (non dimentichiamo che è stata uccisa da Clitemnestra) condannata ad un ruolo eterno da svolgere, e che si rende conto, nel momento estremo, di poter tornare ad essere soggetto autonomo.
L’immensa creatività di Fabre con la sua "Resurrexit Cassandra" si cala nell’anima mitologica della veggente. Le battute entrano con forza ed estro nell’estetica, nella bellezza e nella vanità femminile.
Il testo del dramaturgo Ruggero Cappuccio e le musiche di Arthur Lavandier esaltano la figura dell’eroina inascoltata, inesaudita. Cassandra nella mitologia venne punita da Apollo ad esternare verità nefaste ma inascoltate perchè l’avvenente giovane rifiutò le avance del dio. Sonia Bergamasco, che rappresenta Cassandra, propone il personaggio configurato in più stazioni che rappresentano vari elementi esoterici. I molteplici cambi di colore degli abiti della brillante attrice esaltano i vari stati d’animo che magnificamente interpreta. Sonia Bergamaco sul palco grida, piange: veste gli abiti di una donna che, come la natura, è violata denunciando una umanità che cieca assiste alla sua stessa distruzione senza far nulla che impedisca l’infausto futuro.
L’attrice domina il palcoscenico come un’esperta sacerdotessa che ha il potere di aiutare il mondo ma rimane inascoltata. L’uomo è consapevole dei propri disastri ma sembra quasi ignorarli celandosi dietro l’alibi del progresso. Nessuno ascolterà la voce di questa moderna Cassandra che resuscitata è considerata dai più non una voce autorevole, ma una pazza o una donna orgasmica che vive in un mondo di orrori (vorrei far notare che Fabre nella sua libera ed originale interpretazione di Cassandra moderna, trascura completamente un aspetto che connota il personaggio nelle fonti classiche: la verginità).
Jan Fabrecosì si esprime:
la sacerdotessa troiana Cassandra è un personaggio mitologico che acquista particolare interesse nei tempi di crisi o di catastrofe imminente. L’umanità sta affrontando un’incredibile quantità di problemi: la pandemia globale del coronavirus, le isole di plastica nei mari, la distruzione della foresta amazzonica, il riscaldamento globale.
Cassndra è nota per il suo dono profetico quello che in greco è definito manteia. Quando rifiutò l’amore di Apollo, il dio le lanciò una maledizione: Cassandra avrebbe predetto gli incubi del futuro ma nessuno avrebbe mai creduto alle sue profezie. Secondo una versione meno popolare del mito, Cassandra era una neonata quando nel tempio di Apollo ricevette le sue doti profetiche dai "serpenti sacri".
Sonia Bergamasco così si esprime riguardo allo spettacolo:
Cassandra è una donna che propone un viaggio nel tempo, parte dal dolore all’origine della sua disgrazia e arriva ad affacciarsi al presente, dove ritrova le stesse antiche ragioni per cui urlare, pregare e cercare di convincere gli uomini ad aprire occhi e cuore rispetto al disastro circostante: in lei c’è un fortissima carica di empatia e un desiderio di essere ascoltata.
La traduzione scenica è di un artista visionario come Fabre; infatti è un’incredibile giostra di visioni che offre questa figura di donna in un deserto bianco, con un fondale bianco su cui, per tutta la durata della rappresentazione, è proiettato una sorta di doppio di Cassandra, che sul palco è circondata da sedici serpenti ignei. Anche la musica e i costumi fanno parte della drammaturgia.
Una drammaturgia simile ad un incantesimo che solo l’originle e geniale Fabre può creare. Il pubblico partecipa alla grande prestazione artistica di Sonia Bergamasco che entra nell’anima dell’eroina mitologica e ne trasmentte l’essenza, la drammaticità interiore.
Bibliografia:
Maria Barchiesi è nata a Cremona nel '53; si è laureata in Lettere Classiche e perfezionata in Storia della Filosofia Antica presso l'Università di Pavia, sempre con il prof. Mario Vegetti con il quale ha collaborato presso lo IUSS pavese. Da sempre ama viaggiare e la cultura in tutte le sue manifestazioni e saperi è la sua scelta di vita prioritaria. Nell'insegnamento presso le scuole superiori e lo IUSS ha vissuto il rapporto con i giovani di età diversa sempre con entusiasmo e desiderio di vederli culturalmente crescere. Il principio che la guida nelle ricerche è: kalos kai agathos, ciò che esprime bellezza è anche buono eticamente, fa bene all'anima e alla mente.
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