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Una lettura storica di Demian

di Alessandro Balzaretti

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Per raccontare la mia storia devo incominciare dal lontano inizio. Se mi fosse possibile, dovrei risalire molto più addietro, fino ai primissimi anni della mia infanzia, e più oltre ancora nelle lontananze della mia origine.

La trama

Copertina della prima edizione

Queste sono le parole di Sinclair, con cui esordisce Demian, il romanzo che valse al quarantenne Hermann Hesse, nel 1919, l’onore di aver risollevato gli animi della gioventù tedesca, sfiancata da una guerra che sembrava non finire mai, definita da papa Benedetto XV “un’inutile strage”. Il giovane Sinclair racconta la sua infanzia nella casa dei genitori: un’esistenza innocente, impregnata di una religiosità convinta e profonda. Questi anni sono definiti da Sinclair “il mondo della luce”. Un mondo che incomincia a scricchiolare con la conoscenza di Franz Kromer, che ricatta Sinclair per una sua ingenuità. A salvare il ragazzo dall’angoscia del ricatto e dal rimpianto della perduta innocenza interviene il nuovo compagno di classe di Sinclair: Max Demian. Di Demian non si sa nulla in paese, se non che vive da solo con la madre, che nessun ha mai visto. Eppure, Demian esercita un fascino irresistibile agli occhi dell’amico Sinclair, che salva dal ricatto di Kromer. I suoi discorsi sono arguti e pungenti, e sfidano l’opinione comune, proponendo un approccio alla vita carico di mistero e problematicità. Il simbolo di questo approccio è Caino: Demian ipotizza che fosse un uomo dall’animo nobile, e il marchio inflittogli da Dio altro non sarebbe che la protezione concessa agli uomini valorosi che, facendo i conti con il male e l’angoscia della vita, svelano il mistero delle cose, e sfidano gli idoli e la tradizione.

Sinclair, con il passare degli anni, perso ormai di vista Demian, vive un’esistenza bestiale di cui prova vergogna, consumata nelle osterie e nelle taverne. Saranno i sogni, la pittura, l’amicizia con Pistorius e, infine, l’incontro con Demian, a salvarlo dal “mondo delle tenebre”, ricongiunto con quello della luce attraverso il riconoscimento che il Divino assume in sé gli opposti, bene e male.
Sinclair è approdato al credo di molte culture antiche, che vedevano in un’arcana divinità, Abraxas, il nume preposto all’armonia fra luce e tenebre. Sinclair passa assieme a Demian e alla madre di lui Eva, in una casa dal giardino idilliaco, gli ultimi giorni prima della chiamata alle armi. La guerra è iniziata.

Luce e tenebre / Ottocento e Novecento

Sinclair racconta in prima persona una storia individuale e personalissima, benché priva di coordinate geografiche e temporali a determinare l’originalità della sua esperienza: non viene citata una sola data, e neppure un toponimo.

È infatti abitudine di buona parte della letteratura europea, dai romanzi picareschi al realismo francese, quella di abbondare in date e dati, nomi di persone e di luoghi, così da definire l’ambiente e il tempo in cui è ambientato il romanzo, e renderne riconoscibile la vicenda. Tale esigenza è la stessa che si presenta a Hermann Hesse: rendere riconoscibile l’esperienza di Sinclair, per farne un simbolo dell’ansia di rinnovamento e di riscatto della generazione che ha perso la guerra. Perché, allora, Hesse evita di fare alcun riferimento ai luoghi e al tempo dell’ambientazione? A malapena il lettore sa che Demian e Sinclair sono tedeschi, e che la guerra è alle porte. Altro, non si sa. Eppure Demian ha captato l’umore di un’intera generazione, che si è riconosciuta in un ragazzo, Sinclair, alla ricerca di ciò che il destino ha in serbo per lui.

Egli è diventato un simbolo proprio in virtù dell’assenza di ogni riferimento storico. Sinclair e Max Demian sono in fuga dalla Storia, e tentano di raggiungere una saggezza a-storica, universale, che somma in sé tutto ciò che l’umanità è stata e sarà. Si noti bene: l’umanità, non la Germania, e neppure il II Reich. D’altronde, era questo il tentativo della gioventù tedesca alla fine della guerra, al crollo dell’impero: tagliare i ponti con un passato ricattatorio, soffocante, benché illuminato dalle borghesi certezze guglielmine, e trovare una risposta alla domanda: qual è il destino del nostro popolo?

Sinclair è alla ricerca del suo destino, perché è crollato il mondo luminoso della sua infanzia borghese. Proprio quel mondo luminoso, guglielmino, rassicurante, è il passato comune in cui si riconobbero i lettori di Demian, quel passato che si sono visti sottrarre in una guerra logorante, che ha rapito più di sette milioni di persone alla patria germanica. Non c’è affatto bisogno di date e luoghi o altre determinazioni, in quanto il giovane lettore dell’epoca comprendeva immediatamente l’atmosfera del romanzo, e si riconosceva in quell’infanzia. Riconosceva che l’infanzia della Germania, l’Ottocento liberale e monarchico, era finita, e il Novecento era alle porte, con il suo fardello di oscurità e frammentazione, riportati alla luce dalle scoperte della psicanalisi e dalle avanguardie del modernismo. L’Ottocento, noto come “il secolo della Storia”, ha avuto proprio in Germania il suo supporto ideologico: lo storicismo hegeliano. Ma l’Ottocento è morto, Dio - scrive Nietzsche, non a caso fra le letture di Sinclair - è morto, e allora, assieme a Dio e alla morale, le “luminose” certezze, è morta anche la Storia.

Da ciò la necessità di trovare una via di fuga in una prospettiva a-storica, a-nazionale, cosmopolita. A tal proposito sarà più chiaro al lettore di oggi il seguente passaggio, la descrizione che Sinclair fa di Demian.

Ci doveva essere un che di femminile, e per un istante quel volto non mi parve né maschile o puerile, né vecchio o giovane, ma in qualche modo millenario, fuori del tempo, con l’impronta di secoli diversi dai nostri. Così possono essere animali o alberi o astri, non avrei saputo dire; non sentivo esattamente ciò che ne dico ora da adulto, ma qualcosa di simile. […] non so com’era, ma era diverso, incredibilmente diverso da tutti noi.

Per comprendere a fondo il contrasto Ottocento-Novecento, su cui si fonda in ultima analisi l’intero romanzo, il lettore può dare un’occhiata al discorso che Demian fa a Sinclair.

Tutti sentono che le loro leggi di vita non sono più giuste, che vivono secondo antiche tavole, che le loro religioni, la loro moralità, nulla insomma è adeguato a ciò che ci occorre. Per cento e più anni l’Europa non ha fatto che studiare e costruire fabbriche. Sanno benissimo quanti grammi di polvere ci vogliono per ammazzare un uomo, ma non sanno come si prega Dio […] Stanno attaccati a ideali che non lo sono più e lapidano chiunque ne eriga uno nuovo. [..] Ciò mostrerà quanto poco valore abbiano gli ideali odierni e servirà a spazzar via gli dei dell’età della pietra. Il mondo com’è oggi vuol perire e perirà.

Il mondo nuovo e la guerra

Il mondo che si affaccia sull’Europa post-bellica è un mondo nuovo, diverso e pertanto conturbante, come la diversità di Demian. È un mondo oltre la Storia, oltre le ideologie, gli “ideali”, la morale e la religione tradizionale. In Siddharta, l’opera più nota di Hesse, questo mondo si identifica con la cultura orientale e buddhista, che d’altro canto è quella più affine al pensiero di Hesse e del suo personaggio Demian, fra le cui letture figurano proprio i Veda. Non ci dovrebbe stupire: il mondo dell’estremo Oriente, a differenza di quello europeo, è difatti privo della prospettiva storica che caratterizza noi europei, figli dell’Ottocento.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare - ahimè - che Hesse è tedesco, figlio di una cultura belligerante la quale vede nella guerra lo sbocco naturale di uno Spirito strabordante, che ha raggiunto nella filosofia dell’Ottocento le più alte vette dell’intelletto. Perciò, il mondo nuovo post-bellico non arriverà senza dolore, o con l’allontanamento pacifista del Buddha dalla realtà mondana, bensì con la violenza e il furore. Il lettore che per tutto il romanzo ha seguito le rilassate speculazioni di Demian, e ha respirato con autentica commozione la convivenza edenica nel Paradiso terrestre di Eva, e ha visto nell’esperienza di Sinclair la lotta contro la violenza e la barbarie, non può che rabbrividire leggendo le ultime pagine, che sembrano uscite da certi discorsi roboanti di D’Annunzio o altri interventisti, venati, inoltre, di una retorica proto-nazista piuttosto stridente.

In fondo in fondo qualche cosa stava nascendo, qualcosa come una nuova umanità. Infatti potei vederne parecchi, e taluno di loro cadde al mio fianco, che col solo sentimento avevano intuito come l’odio e il furore, la strage e la distruzione non fossero legati all’oggetto. Tanto l’oggetto quanto lo scopo erano fortuiti. I sentimenti primordiali, anche i più feroci, non investivano il nemico, ma la loro opera cruenta era soltanto emanazione dell’intimo, dell’anima in dissidio, la quale voleva infuriare e uccidere, distruggere e morire per poter rinascere. Un gigantesco sparviero lottava per uscire dall’uovo, e quest’uovo era il mondo, e il mondo doveva andare in frantumi.

La guerra diventa lo strumento con cui la nuova umanità può superare la frammentazione della propria anima e in un urlo di furore rompere il guscio che la teneva imprigionata. Hesse va perdonato: non è certo un guerrafondaio, e in altri passi, come nell’incipit, lancia un’accusa convinta contro la guerra. In un periodo in cui “si uccidono uomini in gran quantità”, scrive, “che cosa sia un uomo realmente vivo si sa meno che mai”. Eppure Hesse è fortemente influenzato dall’opinione e dall’umore del popolo tedesco nel 1917, anno in cui Demian venne scritto: la guerra veniva concepita come l’occasione di attuare una volta per tutte la rivoluzione. Un anno dopo, la rivolta dei marinai di Kiel diede inizio a una lunga serie di sconvolgimenti popolari che culminarono nella cacciata del Kaiser e nella nascita della Repubblica.

Eppure, l’ansia di rinnovamento di Hesse e della gioventù tedesca venne disattesa proprio dai fondatori della Repubblica, che non esitarono a reprimere nel sangue le rivolte dei comunisti, e a fare gli interessi delle potenze vincitrici e dei grandi gruppi industriali, aprendo così la strada alla vittoria dei nazionalsocialisti nelle elezioni del ’32 e ad una seconda, sanguinosa, guerra mondiale.
Il mondo nuovo tardò ancora a venire.

 

 

Alessandro Balzaretti vive fra Novara e Parma, dove studia Psicologia dell'intervento clinico e sociale. Fra una lezione e l'altra si dedica alla letteratura.

 

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