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Il Gattopardo, tra “souffrance” e pessimismo leopardiano

di Anna Lattanzi

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Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un capolavoro che ha come sfondo la trasformazione di dinamiche storiche e sociali obsolete, che svaniscono sotto i colpi del nuovo: una Sicilia borbonica che lascia spazio a quella del Risorgimento. Siamo entrati in punta di piedi nell’opera, considerata una delle maggiori della letteratura del ‘900, partendo dal pessimismo leopardiano insito nell’animo dell’autore, a cui don Fabrizio dà voce, per arrivare agli errori commessi dalla critica, in seguito ad una valutazione sterile e inesatta del romanzo.

Il Gattopardo e il pessimismo leopardiano

Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, oltre che essere un celebre romanzo che conta una famosa riproduzione cinematografica, nata dal genio di Luchino Visconti, è da sempre un libro che offre spunti di riflessione. Nelle varie meditazioni che animano e spesso affollano la critica riservata a tale opera, si può con audace convinzione annoverare la certezza del voluto richiamo di Tomasi al pensiero e alla penna di Giacomo Leopardi e non solo. Sembra quasi che, in questa magnifica opera, gli argomenti leopardiani, acquisiscano maggiore magnificenza e spessore.
Giuseppe Tomasi da Lampedusa, compone Il Gattopardo nel 1956, anno che precede la sua morte: il romanzo narra della vita di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, negli anni compresi fra il 1860, data dello sbarco dei Garibaldini in Sicilia e il 1883, anno della sua morte.
Da sempre l’opera di Tomasi è catalogata come romanzo storico, definizione ad oggi considerata errata. Gli accadimenti storici sono sicuramente presenti, non rappresentando però il filo conduttore del racconto. Gli eventi storici fanno da sfondo alla narrazione e quanto accade si percepisce solo attraverso la vita dei personaggi, attraverso i loro dialoghi e le loro vicissitudini. Sarebbe quindi più giusto definirlo un romanzo di vita, considerando che il protagonista fa della propria esistenza un intreccio di pensieri, domande, dandosi a volte delle risposte, su ciò che gli succede e su come probabilmente si evolverà la realtà che lo circonda. Gli anni vissuti da don Fabrizio costituiscono un periodo di profonda trasformazione. Il protagonista si ritrova a vivere a cavallo tra due tempi, uno vecchio e malandato, quello a cui geneticamente e biograficamente appartiene e l’altro nuovo, che deve accettare, ma nel quale non si riconosce. Don Fabrizio si ritrova a vivere tra due generazioni, una che muore e l’altra che nasce, ma sente di non appartenere né a una né all’altra. La prima, ormai sta morendo e la seconda è così profondamente diversa! L’uomo non riesce a trovare la sua giusta collocazione, pur acquisendo la consapevolezza della decadenza della classe nobiliare, un ceto che viene lentamente e inarrestabilmente sradicato dai nuovi accadimenti sociali e dai nuovi ricchi e che sente di aver perso ogni stimolo e ogni ideale per cui combattere. Don Fabrizio si sente proprio così, come il suo ceto, profondamente apatico, senza più alcuna voglia di reagire. L’artefice della sua infelicità, della sua mancanza di reattività, non si identifica negli avvenimenti storici che accadono in quel periodo, bensì nel suo disagio come persona, nel suo animo travagliato, da cui nasce il pessimismo profondo che è tutto dell’autore e che parte della critica definisce appunto pessimismo leopardiano.
La visione della vita, in tutta la sua negatività e la consapevolezza dell’immensa sproporzione, tra il desiderio di felicità e la difficoltà legata alla realtà e alla possibilità di poterlo realizzare, accomuna Leopardi e Tomasi. Sono svariati gli esempi che si possono fare e che riportano a questo concetto: uno su tutti è la modalità che è propria sia di Leopardi che di Tomasi, di cercare le risposte all’ inquietudine dell’animo interrogando il creato. Un esempio lampante, che conferma l’esattezza dell’accostamento tra il poeta e l’autore, è dato dalle prime pagine de Il Gattopardo, in cui il Principe, all’ora del tramonto si ritrova nel bellissimo giardino del Palazzo dei Salina, circondato dalla meraviglie della natura e dai suoi profumi, ma l’impressione che egli ne sa ricavare è ben diversa: “da ogni zolla emanava la sensazione di un desiderio di bellezza presto fiaccata dalla pigrizia e l’odorato poteva trarre da esso un piacere forte benché non delicato. Persino le piantine di rose acquistate a Parigi e lì trapiantate erano degenerate e per la calura implacabile si erano trasformate in enormi cavoli carnosi e maleodoranti.”
Una descrizione molto similare a quella che si ritrova nello Zibaldone del Leopardi, esattamente ne Il giardino della sofferenza, in cui il patimento della natura è descritto dal poeta recanatese con lo stesso procedimento: “…dove lo spettacolo di tanta copia di vita all’entrare in questo giardino ci rallegra l’anima, e di qui è che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa vista è triste e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale…”. L’attenta osservazione del Leopardi, mette in evidenza forme di violenza, malattia e morte, dove qualsiasi altro occhio vedrebbe solo bellezza e lo stesso fa Tomasi, attraverso le parole del suo protagonista. Una visione negativa del mondo e del creato, che nasce dall’animo travagliato e che nulla ha a che vedere con la storia e gli accadimenti del periodo. Un voler sottolineare le sofferenze dell’esistenza, come inno alla vita, una vita dolorosa e sofferta.

Il Gattopardo: la trama

La narrazione ha inizio con la recita del rosario in una delle bellissime sale di Palazzo Salina, abitato dal principe Fabrizio, il Gattopardo, da sua moglie Stella e dai loro sette figli. Don Fabrizio è un signore dotato di grande fascino, studioso di astronomia, uomo molto riflessivo e osservatore della ormai progressiva e inevitabile decadenza del proprio ceto. Lo sbarco di Garibaldi e dei Garibaldini sta dando vita, infatti, a un nuovo ceto sociale, quello borghese, a cui Fabrizio guarda con disprezzo e preoccupazione, in quanto simbolo di una novità che sta invadendo la Sicilia e le sue consolidate abitudini. Il nobile Fabrizio ha un nipote, Tancredi, a cui è molto affezionato. Il giovane è alla continua ricerca del potere economico e per questo non esita a combattere al fianco di Garibaldi, cercando di dare allo zio delle rassicurazioni sul corso degli eventi che tanto lo preoccupano. Secondo Tancredi, tutto si svolgerà a loro favore e a favore del loro ceto sociale. Il ragazzo è particolarmente esuberante ed è innamorato, ricambiato, di sua cugina Concetta. Il principe trascorre le vacanze, in compagnia della sua famiglia, nella residenza estiva di Donnafugata, il cui sindaco è un uomo ambizioso e scaltro, che cerca subito di entrare nelle simpatie della nobile stirpe. La sua merce di scambio più preziosa è sua figlia Angelica, che non può competere per bellezza e portamento con Concetta, ma ha sicuramente molte più ricchezze e per questo Tancredi decide di cedere al suo fascino e sposarla. Arriva il momento del voto, quello che deciderà l’annessione della Sicilia al Regno di Sardegna, dove il sì, se pur in qualche modo non esente da inganni, vince. In seguito all’annessione, arriva a palazzo Salina il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, un funzionario piemontese che offre al principe la carica di senatore del Regno, prontamente rifiutata da don Fabrizio, che si definisce legato al vecchio regime. Il principe decide così di condurre una vita solitaria, circondato dall’affetto dei suoi cari, tra pensieri e riflessioni, guardando la morte lenta del suo ceto sociale e di pari passo la propria.

Il Gattopardo: temi e chiavi di lettura

Abbiamo già parlato della non storicità de Il Gattopardo e della necessità di non poterlo definire esclusivamente romanzo storico, ma tale elemento non costituisce l’unico tema e l’unica chiave di lettura dell’opera, che ne consta diversi. Elenchiamo di seguito alcuni dei più importanti:

  • Don Fabrizio è la figura emblematica, attraverso la quale Giuseppe Tomasi di Lampedusa, vuole esprimere un incoerente adattamento alla novità e la mancanza di capacità di modificare se stessi. Una chiave di lettura, drammaticamente attuale, almeno fino a un decennio di anni fa, dove lo spirito siciliano e di popolo del sud, soccombeva al potere anche dell’illecito, pur di non modificare il proprio animo e le proprie abitudini culturali.
  • Il pensiero della morte e quindi del decadimento non solo del ceto sociale, ma anche dell’anima, sono fortemente presenti nel romanzo. L’autore li esprime attraverso i pensieri e i discorsi del Principe.
  • La natura, nonostante sia bellamente rappresentata, porta con sé un alone di negatività e mistero: nulla è bello come sembra, ormai tutto ciò che è negativo è ben radicato.

Il Gattopardo: la storia del dattiloscritto

Non è stato semplice pubblicare Il Gattopardo per Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore presenta il dattiloscritto alle case Editrici Mondadori ed Einaudi nel 1957, ed entrambe ne rifiutano la pubblicazione. Il romanzo, infatti, è stato pubblicato nel 1958, un anno dopo la morte di Tomasi, per volere di Giorgio Bassani editor della Feltrinelli e rivisto successivamente (confrontando bozze ed integrazioni) per l’edizione del 1969 che è quella definitiva.
Il Gattopardo è ad oggi considerato uno dei più grandi  classici della nostra cultura e della Letteratura del ‘900. Vincitore del Premio Strega 1959, conosce una meravigliosa trasposizione cinematografica nel 1963, diventando nel 1967 anche opera musicale.
Quali possono essere stati i motivi ad aver spinto le case editrici a un simile e netto rifiuto e quelli che hanno scatenato critiche negative dopo la pubblicazione? Probabilmente il clima del dopoguerra impone tacitamente agli autori di documentare la realtà delle classi meno abbienti e dei danni provocati dal secondo conflitto mondiale, o di assumere nei loro scritti un impegno politico-sociale, rivolto alla ricerca di soluzioni. Effettivamente il testo presentato da Tomasi si allontana da queste tacite direttive: l’autore è esordiente e non narra di fatti contemporanei e non propone soluzioni ai problemi, anzi dà una visione negativa della realtà. Per fortuna negli anni’50  le cose cambiano e il romanzo di Tomasi può godere del giusto successo e dei giusti riconoscimenti, segnando l’inizio di una nuova cultura del ‘900 che abbatte l’ormai inadeguato Neorealismo.

La natura del romanzo

Giuseppe Tomasi quando decide di dedicarsi alla stesura del suo famoso romanzo, ha tutta un’altra idea a riguardo. Il suo intento, infatti, è quello di descrivere una giornata di vita di un nobile siciliano, Don Fabrizio Corbera, Principe Salina di Lampedusa, il Gattopardo, che avrebbe ricalcato la figura del bisnonno Giulio Fabrizio, nel giorno dello sbarco dei Mille in Sicilia. Così l’autore inizia a scrivere e così come succede quando si scrive e quando le idee sono tante, la sua penna si lascia andare alla narrazione della vita di tutta la famiglia, snodando il racconto su un piano temporale di ben cinquant’anni(1860-1910).

Brevi riflessioni

Un capolavoro, Il Gattopardo, dalla trama se vogliamo scarna e semplice, che sin dalla sua prima uscita ha suscitato clamore, entusiasmo e non poche perplessità. La sua prima pubblicazione, che risale al 1958, avviene proprio negli anni in cui la letteratura impegnata politicamente conosce il suo declino e Tomasi, andando controcorrente, propone nel suo scritto la figura di un nobile, il Principe di Salina, che di fronte ai cambiamenti sociali che coinvolgono il suo ceto di appartenenza, non fa altro che trascorrere il tempo nel suo osservatorio astronomico, pensando a come salvare la sua classe sociale, ipotizzando soluzioni non attuabili. “Bisogna cambiare tutto perché non cambi niente” è la celebre affermazione del Principe che fa pensare a una sorta di rinuncia. Una figura quella del protagonista che in quel momento storico-letterario, sembra arretrata e obsoleta. A questo ha portato una visione distorta del romanzo, il fatto di averlo visto e considerato d’impatto un romanzo storico e aver dato un rilievo decisamente troppo importante alla trama. Il punto di forza de Il Gattopardo sta proprio nei fili conduttori dell’intreccio (non nella storia in sé) e nel senso che l’autore ha voluto dare all’opera. La Sicilia, infatti, fa solo da sfondo alle riflessioni del protagonista sulla distruzione e la morte. La solidità del libro risiede prevalentemente nella scrittura, che a tratti può rendere la lettura impegnativa, ma è talmente ben studiata nella sua perfezione, da regalare tutti gli elementi per una giusta interpretazione. Una penna abile quella di Tomasi, nell’esaltare e sottolineare le emozioni e le più vive sensazioni dei personaggi, attraverso i loro dialoghi e i pensieri. Belle le descrizioni dettagliate della natura e dei luoghi, capaci di far arrivare al lettore i profumi e i colori, se pur nella loro mestizia.

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