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La letteratura del miracolo

di Alessandro Balzaretti

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Il santo bevitore

“Perché a niente gli esseri umani si abituano più facilmente che ai miracoli, se sono capitati loro una, due, tre volte”.

Questa affermazione è il manifesto programmatico di un brevissimo romanzo misterioso, che ha consacrato a una fama prevalentemente postuma lo scrittore austriaco Joseph Roth: La leggenda del santo bevitore.

Andreas, clochard etilista, riceve un incarico da un uomo che incontra sotto un ponte della Senna: consegnare alla ”piccola Teresa”, la santa Teresa di Lisieux, duecento franchi, come offerta alla chiesa di Sainte Marie des Batignolles. Andreas sperpera il denaro ricevuto in donne e bottiglie di Pernod, ma riesce a guadagnare la medesima cifra attraverso miracoli altrettanto improvvisi, la spende nuovamente e se la ritrova, prima duecento franchi, poi mille, nella tasca di un portafoglio comprato in negozio e in un altro consegnatogli da un gendarme che aveva creduto di averglielo visto cadere dalla giacca.

E così via, fra vagabondaggi alla ricerca di piaceri che giungono come doni insperati, bottiglie di rhum, donne, locali notturni. Sino al finale dolce e tragico, naturale. Andreas muore infatti sotto gli effetti di una sbronza più intensa del solito, e gli viene data l’estrema unzione proprio nella chiesa di Sainte Marie des Batignolles, dinanzi allo sguardo di una bambina che per elemosina gli aveva consegnato duecento franchi. A lei Andreas, come ultimo gesto prima di morire, ridà quei soldi: è lei la piccola Teresa che attendeva da tempo.

Die Legende vom heiligen Trinker, apparso nel 1939 e soltanto anni più tardi, nel 1975, pubblicato nell’edizione italiana, è forse l’opera più rappresentativa di un genere letterario che potremmo denominare, non senza coraggio e originalità ma con sicura correttezza, “letteratura del miracolo”. Gli stilemi sono quasi archetipici: il vagabondaggio nella vita della città, solitamente notturna, introduce il protagonista nel fluire della vita, e il pellegrinaggio nei luoghi della depravazione -dalle vinerie ai bordelli- è il cammino del desiderio alla ricerca di risposte. Risposte a un “vuoto di significato”, per usare la celebre espressione dello psichiatra Viktor Frankl, che assale l’esistenza e viene colmato dalla vita stessa, lasciando intatto un mistero che non trova spiegazioni al di fuori di sé. È, questo, il “miracolo” posto al centro di tale letteratura.

All’aspetto esistenzialista appena enunciato si aggiunge poi una riflessione sull’uomo, considerato in se stesso oltre i confini delle barriere sociali ed etniche: Andreas è un clochard polacco a Parigi, ultimo perché vagabondo e perché straniero, e ciononostante il primo -l’archetipo- a poter rappresentare eloquentemente il genere umano, in una storia tanto più emblematica e significativa quanto più è scarna, narrata nel linguaggio ingenuo e ripetitivo della leggenda.

Il barone annoiato

Gli stessi stilemi coinvolgono un’altra opera rappresentativa della letteratura del miracolo, ossia Notte fantastica dello scrittore, anch’egli austriaco, Stefan Zweig. Il suo Andreas si chiama K. ed è un giovane barone, annoiato dalla vita altoborghese, che in una sola notte imprime una svolta alla propria vita. E però il miracolo ha il suo prezzo. Il giovane deve infatti immergersi nel metaforico “fango” che la sentina della società gli fa scorrere fra le mani, cioè una prostituta e una coppia di delinquenti. È proprio in essi, tuttavia, che K. ravvisa il miracolo, una scintilla di umanità che lo fa presto ardere di un misterioso amore per la vita e per gli uomini, purificato dalle ipocrisie e dalle convenzioni. A tal proposito il gesto di K., che conclude la novella, è estremamente simbolico: getta al cielo e fra le mani dei poveri che incontra per strada fiumi di denaro, moneta sonante.

Il “cercatore”

Insomma, è senz’ombra di dubbio una letteratura antiborghese, in quanto fuori dall’ordinario, o meglio un po’ “esotica”. Siddharta di Hermann Hesse ne è l’esito naturale. In particolar modo la sezione del romanzo dedicata al viaggio di Siddharta in città, dove fa conoscenza dei piaceri mondani e della bella Kemala. Ma l’esperienza di Siddharta si compie soltanto a posteriori, pervasa com’è dal sentimento del peccato, e il “miracolo” avviene soltanto alla fine del romanzo, nel raggiungimento del Nirvana. La fenomenologia di quest’ultimo è d’altronde molto simile allo stato di grazia che s’infonde nel barone K., in Notte fantastica, finalmente ricongiunto con l’essenza della vita.

Potremmo ritenere, ma a torto, che la letteratura del miracolo sia una forma di letteratura religiosa, e tale impressione potrebbe avvicinarsi al vero nel caso sui generis di Siddharta. Tuttavia, persino nel romanzo di Hesse è ravvisabile il timbro e il tono di un “misticismo laico” che imprime il senso della narrazione, una spiritualità immanente che trova nella vita il suo stesso movente etico. Essa -la vita- si rivela a sé medesima, si mostra senza dogmatismi o rassicuranti rifugi in un altrove che stabilizza, pur de-responsabilizzando. L’uomo si fa allora protagonista, e da apparente antieroe -il clochard e l’annoiato barone- diventa eroe degno di una leggenda.

 

Alcuni passi scelti...

Notte fantastica di Stefan Zweig

Mi avviai da solo nella notte verso l’uscita del Prater. Ogni senso di oppressione era scomparso, sentivo che con una pienezza a me ignota mi stavo espandendo nell’intero universo infinito – e ciò capitava proprio a me, quell’essere fino allora quasi assente a se stesso. Mi sembrava che ora tutto vivesse soltanto per me, e a mia volta mi sentivo unito al fluire universale. Neri mi circondavano gli alberi, mi frusciavano incontro, e io li amavo.

Siddharta di Hermann Hesse

In quell’ora Siddharta cessò di lottare contro il destino, in quell’ora cessò di soffire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, di cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità.

La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth

Anche il signore ben vestito svanì nell’oscurità. Aveva ricevuto il miracolo della conversione. E aveva deciso di vivere la vita dei poveri fra i poveri. E perciò viveva sotto il ponte.

 

Alessandro Balzaretti vive fra Novara e Parma, dove studia Psicologia dell'intervento clinico e sociale. Fra una lezione e l'altra si dedica alla letteratura.

 

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