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Se ami le storie romantiche dalla passionalità intensa e drammatica, ricche di colpi di scena.
Se credi nell’amore per sempre o pensi di esserne vaccinato, sei nel posto giusto.
Questo articolo, infatti, propone l’analisi de La storia del cavaliere des Grieux e di Manon Lescaut dell’abate Antoine-François Prévost, il più grande romanziere francese della prima metà del Settecento.
L’intento è risalire alle origini del mito di Manon, più noto nella versione pucciniana del 1893, che conosciuto in quella di Prévost del 1731.
Donna affascinante, avida e corrotta, capace di condurre alla perdizione. Dalla personalità sfumata come i colori delle tele di Watteau. Civetta e ritrosa come le dame delle sue “Feste galanti”. Emblema del mistero insondabile dell’animo femminile e della donna fatale.
Però, l’aggettivo “bella” non compare mai in relazione alla sua fisicità il cui tratto distintivo è la grazia, categoria estetica del primo Settecento che dal Barocco vira al Rococò.
A mio parere Manon Lescaut non è indipendente e anticonvenzionale, come ha scritto qualcuno, poiché tale non può essere una donna la cui sopravvivenza materiale e psicologica dipende dal maschio, in una società in cui anche il sottobosco del demi-monde è regolato da leggi non scritte e consuetudini altrettanto ritualizzate.
Il romanzo è articolato in due parti, ambientate in Francia e in Louisiana, precedute dall’Avvertenza dell’autore che ne precisa lo scopo oraziano.
“Miscere utile dulci”, insegnare dilettando con una storia di caduta e redenzione: l’eroina muore, il protagonista inizia una nuova vita. Nel drammatico finale si riscattano entrambi.
Con un’impostazione che Dumas e Verga adotteranno un secolo dopo ‐ rispettivamente ne La signora delle camelie del 1848 e in Eva del 1873 -, il protagonista non coincide con l’io narrante. Questi, infatti, è il depositario dell’ampia confessione del protagonista che occupa quasi l’intero romanzo. Frequenti prolessi inchiodano il lettore.
L’io narrante, un gentiluomo riservato in viaggio per una questione di eredità e per affari non specificati, si imbatte in due occasioni nel cavaliere des Grieux.
La prima volta nei pressi di una locanda a Pacy, Bassa Normandia, incuriosito da un gruppo di locali assiepati davanti a un carro con dodici prostitute in catene da imbarcare per le Americhe. Il gentiluomo è colpito da una giovanissima che spicca per “mitezza”, “modestia”, portamento “da principessa” e per la presenza di un giovane accompagnatore beneducato che non esita a corrompere le guardie, pur di stare al suo fianco.
Il gentiluomo dona addirittura una somma consistente al giovane per assecondare, con la liberalità propria del suo rango, un’inclinazione amorosa di cui coglie l’eccezionalità.
Nel secondo incontro fortuito a Calais, a distanza di due anni, il giovane decide di raccontargli la sua odissea sentimentale iniziata quattro anni prima. È spinto da una forma di “riconoscenza” accompagnata dall’intima necessità di sfogare il suo dolore, perché è “il più infelice di tutti gli uomini.”
Il cavaliere des Grieux, questo il suo nome, innamoratosi 17enne della quasi coetanea Manon, decide di fuggire a Parigi insieme a lei per convolare a nozze.
Per lui un colpo di fulmine.
Per lei un’occasione, forse, di evitare il convento cui è stata destinata dai familiari “per correggere la sua inclinazione ai piaceri.”
Una volta a Parigi, però, la coppia vive more uxorio.
Grandiosità ideativa, scarsa concretezza nell’immediato. Molteplici gli esempi a riguardo, talvolta di irritante velleitarismo.
Ha inizio una girandola di incomprensioni, liti, tradimenti, riappacificazioni, distacchi e ricongiungimenti che, insieme a un robusto drappello di comprimari, generici e figuranti, infittiscono la trama.
Ecco la prima di numerose separazioni, imposte dall’esterno, che ostacolano il loro sogno d’amore. Il tema è moderno: solo l’amore permette di raggiungere la felicità, ma a questa meta si oppongono numerosi ostacoli sociali, tra cui in primis il bisogno di denaro.
Il fratello e il padre, simbolo dell’ordine costituito, riportano a casa con la forza il giovane dopo averlo informato dell’infedeltà dell’amante.
Un’infedeltà che des Grieux non vede, fuorviato dagli stessi inganni della coscienza con cui Orlando allontana da sé l’odioso sospetto divenuto certezza del “tradimento” di Angelica con Medoro, perché per il paladino di Carlo Magno, in soggettiva, di un tradimento si tratta. Analogamente, lo sveviano Emilio Brentani si ostina a proiettare la sua infedele Angiolina nel firmamento stilnovistico della periferia di Trieste. Angiolina: nomen omen solo agli occhi di chi la ama, più prosaicamente un nome antifrastico. Anche Antonio Dorigo nel romanzo Un amore di Buzzati rimuove, fin che può, le menzogne snocciolate dalla giovane amante Laide che a sorpresa diventerà sua moglie.
Come osservano Molière e Lucio Battisti, l’uomo si fa ingannare facilmente da chi ama.
Purtroppo a nulla vale l’intervento a gamba tesa della famiglia – affiancato dall’affetto dell’amico Tiberge, modello di buon senso e fede sincera –, per distogliere da una passione disdicevole, insana e degradante un giovane morigerato di belle speranze.
Infatti des Grieux, dopo l’allontanamento forzato da Manon abbandona la via del seminario, scelta con una vocazione più desiderata che sentita, con la stessa facilità con cui l’ha imboccata. Basta che la fanciulla lo intercetti, decisa a riconquistarlo con promesse di eterna fedeltà. La stessa invocata da Catullo ora con l’amarezza del rimpianto, ora con la speranza nel futuro, poiché Lesbia sembra dimenticare la parola fides.
Anche le parole di Manon sono “scritte nel vento”, ma il giovane cavaliere non possiede la consapevolezza della vacuità di tali promesse che invece angustia il poeta latino.
Per soddisfare il bisogno di denaro e l’amore per il lusso dell’amante, pronta ad abbandonarlo in caso di ristrettezze - ne è certo –, il giovane ricorre ad ogni espediente in preda ad una sorta di cupio dissolvi, in questo caso complementare alla passione.
Secondo la critica più accreditata Prévost sarebbe stato influenzato da Cartesio che, Nel trattato sulle passioni del 1649, presenta l’amore come una forza travolgente.
Prévost non può certo immaginare che nel 1979 la psicologa americana Doroty Tennov avrebbe coniato il termine limerence, tradotto con ultrattaccamento, per indicare il comportamento ossessivo-compulsivo proprio dell’amore romantico, di cui lo scrittore francese è antesignano.
Il progetto di vivere alle porte di Parigi grazie ad una gestione oculata delle risorse, in un ambiente bucolico che invita alla frugalità, viene disatteso.
Sobrietà e modus sono ignoti a Manon che, per appagare un’indole volubile e superficiale, ha bisogno di svaghi e sollecitazioni esterne continui.
Il denaro, per una come lei abituata a spendere senza un fondo d’emergenza, è un dettaglio ma è l’unica cosa che conta, tanto che des Grieux si priva del necessario per garantirle il superfluo. Con l’atteggiamento vittimistico di chi ritiene di essere vittima di un incantesimo d’amore.
Queste le tappe dell’abbrutimento morale del giovane cavaliere, presentate in accelerazione.
Diventa un baro professionista a carte in società con il fratello di Manon, un farabutto che dopo avergli insegnato i trucchi del mestiere, gli presenta i polli da spennare.
Accetta che la fanciulla diventi l’amante di un vecchio signore per derubarlo.
Scoperto e denunciato viene condotto in seminario come sorvegliato speciale. Privo di rimorsi e pentimento, patisce solo la vergogna di essere stato smascherato.
Immorale per fatalità, delinquente per necessità - lui dice -, per me irrimediabilmente guasto quando, costretto alla clausura, affetta una vocazione ritrovata nell’attesa di ricongiungersi con la padrona del suo cuore che si trova in stato di arresto.
Nel frattempo, riesce a farsi prestare una somma consistente dall’amico Tiberge il quale, con il candore tipico dell’uomo perbene, si augura che l’amico scavezzacollo possa riacquistare la serenità interiore, una volta sollevato dalle preoccupazioni materiali.
Fugge dal seminario con risvolti drammatici, perché uccide a sangue freddo un domestico venuto in soccorso del padre Superiore, da lui tenuto in ostaggio per portare a termine l’evasione. Il fratello di Manon gli ha procurato la pistola. Un episodio illuminante: des Grieux attribuisce la responsabilità dell’omicidio a Lescaut, a suo dire colpevole di avergli consegnato una pistola carica.
Liberata Manon in modo rocambolesco con la complicità di terzi, i due riparano in campagna.
Montesquieu non ha in parte ragione quando, lapidario, liquida il testo come la storia di un mascalzone e di una sgualdrina?
Ad accogliere il lettore è uno scenario campestre in cui la coppia, dopo mesi di separazione, sembra ritrovare la felicità. Il cavaliere des Grieux continua a mantenersi col gioco delle carte ma in circoli prestigiosi, dove prudenza e decoro suggeriscono di non barare. Aspetta insofferente di raggiungere il 21esimo anno, per esigere parte dei beni materni che gli consentirà di vivere di rendita.
L’idillio nell’hortus conclusus non è destinato a durare. In primo luogo, viene minato dal tarlo della gelosia per un principe italiano, a danno del quale Manon organizza una farsa grossolana volta, stando alle sue parole, a convincere della sua fedeltà un cavaliere des Grieux sempre più disorientato. Non è la prima volta che l’amante gli appare “strana” e “bizzarra”, di fatto inafferrabile.
Ancora di più quando la fanciulla costringe il suo amante a guardarsi alla specchio, mentre lo pettina con civetteria. Un episodio altrettanto illuminante dell’avvilimento morale dell’uomo, compiaciuto di tanta attenzione. Non possiamo certo aspettarci la statura morale che permette a Rinaldo, segregato nel giardino di Armida, di avere contezza della perdita di sé, messo di fronte ad uno scudo che funge da specchio.
In secondo luogo, la relazione subisce una battuta d’arresto con la scoperta di un tradimento, orchestrato da Manon con subdola crudeltà, dopo che un ricchissimo gentiluomo le promette una vita da regina.
A seguire un’altalena di accuse, rimproveri, ripensamenti, scuse e lacrime fino alla riappacificazione, invocata da des Grieux con credulità donchisciottesca.
Per Manon conta la fedeltà del cuore, non quella del corpo, di cui dispone a proprio piacimento dopo averne scoperto il valore commerciale. Come Moll Flanders di Defoe, contemporaneo di Prévost. Entrambe colpevoli: la nostra eroina, per natura; la giovane intraprendente e pragmatica, creata dall’autore di Robinson Crusoe, per natura e per necessità.
Il duello verbale tra i due amanti ricorda su scala ridotta l’episodio di Didone abbandonata. È proprio des Grieux a paragonare se stesso a Didone, con un rovesciamento di genere e ruolo rispetto a Virgilio.
La corsa autodistruttiva volge al capolinea.
Scoperti per avere tentato di derubare il signore ricchissimo, i due vengono arrestati e separati. L’intercessione paterna, se assicura al figlio un trattamento privilegiato, non salva Manon dalla deportazione forzata in Louisiana per la sua condotta immorale. De Grieux decide di seguirla nel Nuovo Mondo.
Ancora un carosello di peripezie tra nuovi pretendenti, guai con la giustizia e l’ultima fuga in una landa desolata in Louisiana dove Manon muore di stenti, non senza ammettere le proprie colpe. La descrizione della sua sepoltura, a mani nude in un terreno sabbioso fuori dal tempo, possiede una precisione che, paradossalmente, smorza il realismo a vantaggio del macabro dai tratti morbosi.
In prossimità della morte, Manon ammette di condividere l’aspirazione al matrimonio con una sincerità che palesa per la prima volta.
Rimasi più di ventiquattr’ore con la bocca attaccata al viso e alle mani della mia cara Manon. Decisi di sotterrarla e di attendere la morte sulla sua fossa.(…) Non era difficile scavare la terra nel luogo dove mi trovavo. Era una campagna coperta di sabbia. Ruppi la spada per servirmene, ma facevo meglio con le mani. Aprii una larga fossa. Vi deposi l’idolo del mio cuore, dopo averla avvolta nei miei abiti per impedire alla sabbia di toccarla. Ma, prima, l’avevo abbracciata mille volte con tutto il trasporto del più profondo amore. Mi sedetti ancora presso di lei.
Di lì a poco il cavaliere des Grieux è pronto a ricominciare una nuova vita, all’insegna di una fede ritrovata, anche con il supporto di Tiberge che, a sorpresa, lo ha sempre tenuto d’occhio e tallonato nel circuito delle sue peripezie.
Tra gli estimatori del romanzo non sorprende la presenza di de Sade, Alfieri e Verga. Al primo non sfugge – presumo - la componente sadica di Manon e masochista di de Grieux in una relazione disfunzionale. Il secondo probabilmente condivide la natura esclusiva del loro amore. Il terzo avrà apprezzato il dominio della logica economica su quella affettiva, la stessa che sostiene I Malavoglia e Mastro don Gesualdo.
Penso che Petrarca, mutatis mutandis, avrebbe sentito vicino alla sua sensibilità la scena del seppellimento. Alcuni aspetti quali caducità, morte, sepoltura, fugacità della bellezza e una vena macabra costellano testi del Canzoniere, sebbene in una prospettiva fantasmatica e consolatoria. Perché è il poeta ad immaginare di essere sepolto in luoghi dettagliatamente vaghi, finalmente allietato dalla presenza della donna amata.
Isabella Fantin è nata nel '61, abita a Milano in piena movida da tormento notturno. Una laurea in Cattolica in Lettere moderne. Docente di lungo corso, vaglia nuove rotte. Il tempo per lei è il vero lusso. Legge da sempre. Conduce una vita anonima. Le piace ricordare una frase che ripete sempre ai suoi studenti: leggere insegna a vivere. Ci crede anche lei.
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