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La memoria, "figlia indiscreta della noia", come la definisce Ungaretti, riserva all'uomo, al pari del sogno, una illusione ipnagogica: retrocedendo, a grandi passi, in un attimo, recupera dall'ingombro adulto l'obliata immagine del bambino.Eppure, invano, essa può raccordare il placido respiro del presente con quello accelerato, spasmodico del ragazzino che, come caricato a molle, strepita di gettarsi nelle braccia lusinghevoli del mondo. Il cardiopalma della gioia sparata a mille pare, definitivamente, perduto, vittima dell'eccessiva padronanza dei ruoli o di esacerbanti convenevoli.
I grandi impeti, che traboccavano all'esterno con esagitate movenze, hanno lasciato, gradualmente, il posto ad un freno temperamentale, ad una speranza grigia.
Ingraziandosi il passato, eletto da Russo a dimensione temporale privilegiata, la sua memoria intimistica è abilitata a ritrovare non solo l'imago, l"[...] esile corpo di dieci anni", ma quello stesso tumultuoso anelito che soffia, a ritroso, verso ingigantiti appigli di allegria.
 Stefano, mi guardi dal luogo in cui dimora la  bellezza 
		   da sopra l albero di albicocche,  
		   nel campo che raggiungemmo il giorno  della licenza elementare 
		   io ti vedo attraverso lo specchio deformante della memoria in equilibrio sui rami 
		   nella luce impetuosa di giugno,  
		   tu racchiudi con i capelli ondulati 
		   il mio esile corpo di dieci anni,  
		   stai per cadere con il bottino di frutta,  
		   senza esitare ti corro incontro 
		   per non farci male. 
La poesia inizia con un cortocircuito sentimentale. Il poeta richiama l'attenzione dell'amico trafugandola da quella che, un tempo, gli veniva rivolta "amico mi guardi". La contemporaneità del ricordo è puntellata dall'impiego massiccio del presente storico che, attualizzando il reincontro, esorcizza, pure, il timore della dissolvenza, del fatale dileguamento.
La miracolistica apparizione si compie con lo schiocco sillabare della evocazione nominativa:."Stefano". Col tono urgente di un appello, il nome si propaga, ed esso, incarnatosi, si concede vivo, immerso in una sorta di museo naturale che stabilizza la fugace bellezza nella fissità eterna della dimora.
L'amico di Russo non è certo il nobile Barone rampante che si rinchiude tra le fronde dell'albero per protesta, ma un vivace e popolare ragazzino che, tra scalmanate rincorse e arditi salti, si gusta l’innocenza estetica del vivere, ma che come il prestigioso personaggio calviniano adotta una prospettiva nuova per assecondare la scoperta di un'individualità che, affrancata da bieche regole, è libera, persino, di sbagliare.
La ricostruzione dettagliata della mimica sembra irridere alla stessa dichiarazione del poeta"io ti vedo attraverso lo specchio deformante della memoria".
L'alterazione visivaè completamente risucchiata da una minuziosità’ descrittiva che colma i distanziamenti temporali e le regressioni imperfette.
 Dal varco della scuola sino ai campi sparsi  si estende l'agognata terra di conquista. Il 
		   piccolo mondo prorompe e con esso balzano le cime dell’albero,  le vertiginose vette a cui 
		   depredare i succulenti frutti. La notizia del congedo scolastico sembra rigonfiare i due glabri 
		   toraci di ossigeno e di intimo vanto.La vittoria, similmente ad un'impresa erculea,  si festeggia 
		   con la libertà ed essa con uno tonfo sfrontato nella fiorente natura di giugno. 
		   Il grezzo e selvatico  profilo dell'amico si ingentilisce. L’ondulata criniera e la prestanza 
		   atletica nascondono una angelicata  indole difensiva che si riversa  sulla gracile corporatura 
		   del poeta come un insfondabile scudo protettivo. Il verbo " racchiudi" dalla forte valenza icastica plaude la  concava ricettività degli spazi affettivi. 
		   
		   Ed incavo è, altresì,  Il paniere improvvisato da briganti manine.Esso contiene ricolmo il "bottino di frutta" da spartire con l'amico- poeta rimasto a terra, a suo modo, complice e 
		   guardingo. 
		   L’immagine di Russo è teneramente eclissata dalla travolgente vitalità di Stefano,  ma come 
		   in una geometrica simmetria le parti si invertono senza scomporre il quadro. 
		   Improvvisamente, ad essere in difficoltà è il compagno spigliato ed incauto del viaggio 
		   campestre. Ed è, in tale insospettabile frangente,  che il verso cambia rotta puntando dritto 
		   alla elaborazione di un'allegoria amicale che verticalizza  l'area semantica della 
		   rappresentazione verbale. 
		   Il poeta scrosta lievemente l'intonaco rubesto dell’amico,  restituendogli  la giusta  fragilità dell'umano e del suo debole equilibrio non si scandalizza,  ma ne appronta un tempestivo 
		   quanto caloroso salvataggio. 
Col tempo, la partecipazione marginale di Russo si rivelerà pregnante, perché con la creazione dell'adulto verso, calera’ l’attimo simbiotico in una epica antieroica di incalliti e impacciati sognatori del vero.
Ora come allora, dalla rischiosa arrampicata di Stefano allo scatto protettivo del poeta che, anzitempo, lo ripara dalla scomoda discesa, le anime sono terse e disinvoltamente felici.
Nell'oggi maturato, i bambini di ieri tornano ad impastare la gestualità esemplare dell'amicizia, appresa tra i banchi della vita, nel frammezzo di euforiche rampate e di pericolose cadute.
 Il movente psicologico con cui il poeta spiega il suo istintivo slancio "per non farci del male" sublima con il semplice uso della particella pronominale l’affiatamento umano conchiuso in 
		   un "noi"  di aurorale candore. 
		   L'amicizia, come l'amore, induce a rivolgere sull'altro  lo stesso riguardo cortese e attento 
		   che ogni essere indirizza a sé per preservarsi, come può, dal dolore. 
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