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Letteratura e tatto:
Gianbattista Marino, L’Adone: “Il giardino del tatto”

Isabella Fantin

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Un editoriale de “La Stampa” di qualche anno fa in cui si paventa un futuro incerto per l’estetica del tatto nella virtualità del presente, mi ha fatto venire in mente il Marino. Questo pezzo è nato così.

L’Adone di Gianbattista Marino, pubblicato a Parigi nel 1623 e condannato l’anno seguente dalla Chiesa per contenuto e temi trattati, è il poema più lungo della nostra letteratura. Non è semplice fare una sintesi dell’ordito di 5033 strofe che procedono lente per le continue digressioni, preziose come un ricamo, di natura descrittiva.
Mi piace accostare il poema alla tessitura ‘Kinzu’ del kimono giapponese. In questa lavorazione che esige profonda abilità ed esperienza, si intrecciano diversi fili di seta per creare un contrasto tra sfondo e superficie che aggiunge profondità alla stoffa, mantenendone intatta la morbidezza.
Analogamente nell’Adone compaiono numerosissime digressioni, che della seta hanno leggerezza e luminosità, sfondo dell’amore tra Venere e Adone.

Trama del poema

Cupido (avete presente quel bambinello alato che scaglia birichino le frecce dell’amore?) - figlio di Venere e del marito Vulcano - gioca un brutto tiro alla mamma facendola innamorare del giovane e mortale Adone.
Venere, dea dell’amore e della bellezza, come tale non invecchia cristallizzata nello splendore di un eterno presente. Ora forse sarebbe una cougar o meglio milf, poiché il discrimine tra i due modelli femminili consiste nella maternità, con il dono dell’eterna giovinezza. Il soprannome e l’acronimo, è bene ricordarlo, non sono mai usati in senso spregiativo.

I due si incontrano nell’isola di Cipro dove Venere ha la cittadinanza. Per Venere è un colpo di fulmine: love at first sight dicono gli inglesi. Adone, giovane di straordinaria bellezza nel volto e nel corpo, non fatica a ricambiare.

Venere si fa desiderare perché il ‘tronista’ deve essere dirozzato prima del ‘carnal congiungimento’. Ammirevole la pazienza e la docilità di Adone durante la sua educazione perché anche i sensi, il cui principe è il tatto, vanno educati.

Prima Adone viene iniziato alle delizie dei cinque sensi; poi scampa agli agguati di Marte gelosissimo della sua amante; poi vince un concorso di bellezza e viene eletto re dell’isola di Cipro fino a quando non viene ucciso da un cinghiale mandatogli contro da Marte inferocito (verrebbe da dire come un cinghiale).

Marte è l’amante in carica numero uno, il favorito con cui Venere tradisce il marito Vulcano. Questi è il marito ideale: senza grilli per la testa, un lavoro sicuro e di prestigio perché è fabbro degli Dei, stakanovista nella sua officina come lo immagina Rubens.

Nell’intricata matassa della mitologia gli sfizi amorosi di Venere non si contano, anche se questa volta nel poema L’Adone la responsabilità della scappatella è del figlio Cupido.

Tra le numerosissime digressioni non manca il funerale per il cinghiale assassino, coerente con la poetica della meraviglia, cardine di Gianbattista Marino e del Barocco per esteso.

La parola d’ordine è stupire il lettore con effetti speciali.

Secondo Giovanni Pozzi che ha riscandagliato il poema di recente, Gianbattista Marino propone ‘la vicenda di Venere e Adone come un viaggio di progressivo avvicinamento del giovane all’atto d’amore che permette di approdare alla conoscenza’.

Sia chiaro che il poema non affronta il problema della verità, ma della certezza intesa come scelta di un metodo esperienziale che permetta di distinguere il vero dal falso. Secondo Marino il tatto è superiore agli altri sensi perché è l’unico tra loro ad assicurare la certezza della conoscenza:

Di quel Senso gentil questa è la sede
a cui sol di certezza ogni altro cede’

L’esperienza sensibile con la sua immediatezza e corporalità è strumento privilegiato di conoscenza.

 

Il testo

Giambattista Marino
“Il giardino del tatto”
L’Adone, VIII, 9; 11-12; 19; 21-22
Metrica: ottave

9
 Chiuso ne l’ampio e ben capace seno
 è quel giardin, de la maestra torre,
 degli altri assai più spazïoso, e pieno
 di quante seppe Amor gioie raccorre.
 Un largo cerchio e di bell’ombre ameno
 vien un teatro sferico a comporre,
 che col gran cinto de l’eccelse mura
 protegge la gratissima verdura.

11
Sembra il felice e dilettoso loco
pien d’angelica festa un Paradiso.
[…]

12
Ride la terra qui, cantan gli augelli,
danzano i fiori e suonano le fronde,
sospiran l’aure e piangono i ruscelli,
ai pianti, ai canti, ai suoni Eco risponde.
Aman le fere ancor tra gli arboscelli,
amano i pesci entro le gelid’onde.
Le pietre istesse, e l’ombre di quel loco
spirano spirti d’amoroso foco.

19
 – A Dio, ti lascio; omai fin qui – di Giove
disse là giunto il messaggier sagace –
per ignote contrade, ed a te nove,
averti scòrto, o bell’Adon, mi piace.
Eccoci alfine in su ’l confin, là dove
ogni guerra d’Amor termina in pace.
Di quel Senso gentil questa è la sede
a cui sol di certezza ogni altro cede.

21
 Ogni altro senso può ben di leggiero
deluso esser talor da’ falsi oggetti;
questo sol no, lo qual sempr’è del vero
fido ministro, e padre de’ diletti.
Gli altri non possedendo il corpo intero
ma qualche parte sol, non son perfetti.
Questo con atto universal distende
le sue forze per tutto, e tutto il prende.

22
 Con un cenno cotal di ghigno astuto
si rivolse a Ciprigna in questo dire;
poi smarrissi da lor, sì che veduto
non fu per più d’un dì fino a l’uscire.
Ma pria che desse l’ultimo saluto
ai duo focosi amanti in su ’l partire,
de l’un’ e l’altro in pegno di mercede
giunse le destre, e gl’impalmò per fede.

Le ottave selezionate presentano in prima battuta la descrizione del giardino del tatto, punto culminante dell’educazione di Adone, situato nel palazzo di Venere.
Ha la forma di un teatro circolare, avvolto da una ricca vegetazione che offre ombra, protetto da una cinta di mura altissime. In questo luogo concepito come un Paradiso in chiave laica, Adone termina il suo iter educativo dopo le esperienze offerte da vista, olfatto, udito e gusto nei rispettivi giardini.

Come in ogni locus amoenus che si rispetti non mancano uccelli canterini, un’erbetta morbida e fitta che non conosce insetti, limpidi ruscelli e una leggera brezza che fa danzare i fiori. Tutto sorride all’Amore.
Al termine della visita Mercurio alato, che ha accompagnato la coppia nel tour, argomenta la superiorità del tatto rispetto agli altri sensi.

Prima di congedarsi il dio del commercio e della medicina unisce gli amanti in matrimonio con una semplice cerimonia: congiunge le destre dell’uno e dell’altro in pegno d’amore e di fedeltà. Finalmente Venere e Adone possono abbandonarsi alle gioie dell’amore perché per Marino non esiste altro Paradiso di quello terrestre.

 

Nella dimensione dematerializzata in cui viviamo, il tatto è una specie in via d’estinzione perché l’esperienza del contatto fisico è una forma di comunicazione ad alto rischio. Eppure il tatto coglie dettagli che la vista non può percepire come peso, temperatura, consistenza, resistenza di una superficie.
Forse non ci abbiamo mai pensato.

Lo sanno bene i visitatori del Museo Tattile “Omero” di Ancona fondato nel 1993 per promuovere l’integrazione sociale di chi ha una minoranza visiva.

 

Leggi anche:

  • Letteratura e olfatto
    Alla scoperta del più primitivo tra i sensi e dei suoi significati nel mondo delle Lettere

 

Isabella Fantin è nata nel '61, abita a Milano in piena movida da tormento notturno. Una laurea in Cattolica in Lettere moderne. Docente di lungo corso, vaglia nuove rotte. Il tempo per lei è il vero lusso. Legge da sempre. Conduce una vita anonima. Le piace ricordare una frase che ripete sempre ai suoi studenti: leggere insegna a vivere. Ci crede anche lei.

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