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I Balcani, un pezzo di terra gentile

Quando la cultura non passa solo dai libri

di Anna Lattanzi - Sabato 31 Ottobre 2020

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Il concentrato di emozioni che sto vivendo mi fanno sentire come se fossi a Belgrado non da giorni, ma da mesi. Mi sento un contenitore delle più vive sensazioni, una spugna del profumo di questa città e della sua cultura. La vivo attraverso la voce di Virgjil Muçi, attraverso i racconti della gente che incontro e attraverso gli occhi di chi, per qualche motivo, incrocia i miei. Sento la stessa semplicità e la stessa musicalità che mi arriva dai libri, perché il cuore della cultura, in fondo, batte all'unisono con le suggestioni e soprattutto non sbaglia mai.

 

Vule Žurić

É sabato mattina, Belgrado è coperta da una coltre di nuvole e dopo la mia fantastica colazione a Pane Rosso, (il mio primo impegno quotidiano a Belgrado, che mi regala almeno mezz'ora di felicità ogni giorno), ci dirigiamo, con Virgjil e Oli, verso Pančevo, dove ci attende Vule Žurić. Pančevo è una cittadina a poco più di venti minuti da Belgrado, dedita all'agricoltura, pur rappresentando molto bene anche l'artigianato e il commercio. Rimango infatti stupita dal grande agglomerato di negozi e attività commerciali che mi ritrovo davanti.

La mia attenzione, naturalmente, si concentra unicamente su Žurić, che considero da subito un personaggio davvero singolare. Parla l'italiano in maniera più che discreta, Vule, quindi ci capiamo alla perfezione. Simpatico e disponibile, ha lo sguardo di chi la sa lunga, quello della determinazione e della voglia di fare e di chi, comunque, nella vita ne ha viste tante. Ci fermiamo nel giardino di un bar, che profuma di romantico e qui iniziamo la nostra chiacchierata.

Vule Žurić è uno degli autori più prolifici e importanti del panorama letterario serbo. Scrittore di romanzi e di racconti, dallo stile variegato e decisamente interessante, meriterebbe un'attenzione in più da parte dell'editoria italiana (è quello che spero di ottenere). Presidente dell'Associazione Letteraria Serba, Vule si definisce un "musicale":

Quando scrivo un racconto corto, cerco di trovare sempre il capo della storia, da dove cominciare, voglio sentire il ritrmo -io sono molto musicale-, perché credo che tutto si trovi nella sonorità.

Sono decisamente d'accordo con l'affermazione di Žurić: una delle qualità che apprezzo negli scrittori balcanici è la musicalità che caratterizza i loro scritti. Chiacchierare con lo scrittore serbo è da subito piacevole e interessante. Quando esprime i suoi concetti e le sue idee, Vule guarda dritto negli occhi e dal suo sguardo trapela tutta la passione e tutta la grinta di chi ci crede. Ha scritto diversi romanzi, ma la sua più grande predilezione rimane il racconto breve:

Il racconto è una "prova di mestiere", se non riesci a scrivere una narrazione di tre o quattro pagine e a non inserire tutto il mondo in queste poche righe, credo che mai potrai essere uno scrittore.

Žurić ricorda il suo soggiorno a Pontedera, a cavallo tra il 1999 e il 2000, grazie a una borsa di studio del Parlamento Internazionale degli Scrittori. Lo ricorda come un'importante tappa di formazione, in un periodo interamente dedicato alla scrittura, senza altri impegni e oneri. Qui scrive un romanzo, usando il computer che gli viene gentilmente concesso dal Comune:

Ho scritto il mio primo romanzo lì, utilizzando il computer che mi è stato offerto dal Comune. Questa è stata la mia prima esperienza legata a uno scritto che ho impiegato sei mesi a redigere. Io ho sempre scritto racconti di tre o quattro pagine, o al massimo di dieci pagine.

Parliamo poi del suo stile, unico e alquanto strano, se pur di grande efficacia. Comicità, gergo e slang caratterizzano la sua penna, fortemente influenzata dai grandi scrittori, ma anche da quelli che grandi non sono e che possono dare un altro tipo di lezione, cioè quello che non si deve mai fare. E poi arriva il tasto dolente, ma anche quello di una forza straordinaria. Parlare di guerra, con Vule, è parlare di vita, di un pezzo molto importante della sua esistenza, che lo ha profondamente segnato e che caratterizza da sempre la sua scrittura. L'autore serbo vive appieno la guerra civile di Bosnia-Erzegovina e descrive i conflitti quasi in ogni suo scritto, non parlando di battaglie e di armi, non menzionando politica e non schierandosi dalla parte di nessuno, se non di chi ha realmente sofferto:

Io ho guardato alla vita della gente comune in quei giorni: la gente non aveva niente da mangiare, non c'era l'acqua, non c'era il riscaldamento, tutte le aspettative di vita dei giovani erano bruciate.

Sì, narra di tutto questo Vule, cercando di non essere patetico, descrivendo momenti in cui tutto fondamentalmente lo era. La critica locale lo accusa di non voler prendere una precisa posizione sulla guerra e in qualche modo è così. Forse, però, a Vule questo non interessa, forse lui ha voluto solo esprimere il dolore della gente nella sua quotidianità. Noto un certo fastidio quando gli chiedo della Società Letteraria Serba. Sì, mi parla di gente di qualità, di scrittori di una certa levatura, ma si inasprisce quando mi narra delle assurde polemiche che da sempre la animano e di cui lui non ha mai fatto parte. Peccato, penso tra me, ma non vado oltre, perché sento che si rovinerebbe quell'atmosfera di totale rilassatezza che si è creata, con Vule e grazie a Vule, che non vuole sentirsi chiamare serbo-bosniaco:

Io sono nato in Bosnia, da un matrimonio misto, ma mi sento serbo.

Si sente serbo a tutti gli effetti, Vule, e orgoglioso di questo suo pensiero, ed è talmente tanta la convinzione che traspare nelle sue parole e nel suo sguardo, che non vado oltre con le mie domande. Ed è così che saluto uno scrittore che spero di riuscire a "portare" in Italia, che spero possa trovare il suo giusto riconoscimento anche presso il nostro Bel Paese. Saluto Vule, con l'augurio e la speranza reciproca di rivederci l'anno prossimo alla Fiera del libro di Belgrado. Saluto Vule, sentendomi arricchita e con qualche insegnamento in più.

 

Zemun

La cultura non passa solo attraverso i libri, ma anche attraverso i luoghi e lo sguardo del popolo. Ed è così che la domenica mattina siamo a Zemun, che oggi è la maggiore municipalità della città di Belgrado. L'amico Virgjil, dalla preparazione storica invidiabile, mi racconta di come Zemun abbia subito l'influenza degli Unni, degli Ungheresi e poi dei Turchi e degli Austriaci, sino ad essere liberata definitivamente dalla Monarchia di Serbia, nei primi anni dell'800 ed essere poi annessa a Belgrado nei primi del '900. A Zemun, il mercato è caratteristico e molto frequentato. Si vende di tutto e la coppia di amici si ferma davanti alla bancarella di due giovani ambulanti, che hanno davanti a loro tante leccornie. Mi colpisce lo sguardo del giovane, poco più che ragazzo, che mi saluta cordialmente e quando Virgjil gli spiega il motivo della mia presenza a Belgrado, lui mi guarda e mi ringrazia. Per cosa, vorrei dirgli, perché mi piace Belgrado o perché penso che gli scrittori balcanici debbano ricevere più riconoscimenti? Non importa, in quel "hvala" c'è tutto l'amore di un giovane per la sua terra, in quello sguardo pieno di riconoscimento, per qualcosa che per me è scontato e che penso che così debba essere, c'è tutta la gentilezza che giorno dopo giorno sto vivendo e sentendo, di questa terra, di questo popolo.

 

Novi Sad

Ed è in tarda mattinata che approdiamo nella città di Novi Sad, situata sulle rive del Danubio. Grande crocevia di popolazioni, per ragioni storiche e politiche, è per questo conosciuta anche con nomi differenti. Rimango affascinata dalla bellezza della Fortezza di Petrovaradin, un luogo maestoso, nella sua magnificenza, dal panorama mozzafiato. Mi spiega Virgjil, che è il luogo da cui l'impero austro-ungarico vigilava l'altra sponda del Danubio, che è di origini medievali, ma sono stati gli austro-ungarici a conferirle l'aspetto odierno. Un posto di un fascino unico, dal quale si può apprezzare tutta la bellezza e la grandezza del Danubio. La mia immaginazione corre, va oltre, in questo regno di pace meraviglioso e non posso non pensare a tutta quella espressione ed esplosione di sentimenti, sensazioni, tenerezza e amore, che un posto così meriterebbe dall'umanità. Mi stupisce nei suoi monumenti, nella sua magnifica piazza, nel suo ordine e nella sua pulizia e di come siano ancora evidenti i segni della dominazione austriaca. Un centro storico di notevole fattura ed è qui che ci fermiamo a pranzo: una pizza a Novi Sad.

 

Zaccaria

Perché la cultura non passa solo dai libri, ma anche dagli occhi di un uomo che da trent'anni fa il proprio lavoro, con fermezza e dedizione e un pizzico di amarezza nel cuore. Sono grandi amici Virgjil e Zaccaria, il loro abbraccio quando si vedono racconta anni di vita vissuta e condivisa, se pur da lontano. Ci fa compagnia quest'uomo dal volto stanco, ma pregno di determinazione e di quella preoccupazione che questo periodo storico sta elargendo con una spietata arroganza:

Ho venti persone che lavorano per me, come faccio a tenerle tutte?

Le persone per lui non sono numeri, ci terrebbe a garantire uno stipendio a ognuno di loro, "ma lo spazio dentro è piccolo, fuori si sfrutta grazie alla temperatura, ma fino a quando?" Ha una pizzeria Zaccaria, albanese, trapiantato in Serbia da più di trent'anni, che fa domanda di cittadinanza nel 2005 e riceve una risposta nel 2020, dopo ben quindici anni. Finalmente, penserete... ma quella lettera tanto agognata, contiene un sonoro no! Non accusa Zaccaria, non punta l'indice accusatore contro nessuno, è dispiaciuto, non capisce, eppure paga le tasse, eppure non ha mai preso una multa, eppure... Il dispiacere scompare presto, quando si parla dell'Italia, della tradizione culturale, culinaria e libraria italiana, si parla de La Piramide degli Spiriti di Muçi, mentre si mangia la pizza (sono davvero affamata) e mentre si beve il caffè categoricamente italiano, perché quello italiano, vuoi mettere? Altra storia. E si parla, mentre ci alziamo, mentre mi alzo e saluto un uomo pieno di valori e di valore, che si inchina e mi ringrazia e così vado via, ma una parte di me rimane lì, con un uomo semplice, che non rinuncia a lottare, dallo sguardo vispo, che pensa ai suoi dipendenti, che pensa a come farà.

Ce la farai Zaccaria, vedrai.

Ed è con il pensiero di Zaccaria, che saluto Novi Sad, splendida città, in cui so che sto lasciando un pezzo di cuore.

 

Dimitar

Torno a parlare di libri, ma di chi li cura, non di chi li scrive. É a Belgrado che incontro Dimitar. Ha settant'anni, due occhi azzurri, grandi  mani e una voce squillante nella sua stanchezza. Dimitar rilega libri, dona loro nuova vita. Incolla, cuce, sistema, rattoppa:

Sono come figli, come figli che hanno bisogno di essere coccolati, curati, sono affamati d'amore.

Restaurare libri è la sua passione, la sua vita, lo fa da sempre.

Sai che non ho mai studiato? Mai aperto un libro su queste storie! Io ho imparato tutto dal mio maestro, mio padre. Adesso fanno corsi, studiano, mettono sul mercato prodotti chimici, ti dicono quello che devi e non devi fare. Te la dico io l'unica cosa da fare: amarli! Loro hanno bisogno d'amore. Il tempo li distrugge, l'uomo li disfa e a noi cosa rimane se non amarli e curarli? Ma tu lo sai, no?

Sì Dimitar, io lo so, ma ho seguito un corso, io non ho avuto un grande maestro come il tuo o come te. E intanto continua...

Da questo laboratorio sono passati tanti personaggi importanti e libri di un certo livello, ma non te li dico, se no pensi che mi monto la testa. No, io non me la sono mai montata la testa e non sono mai diventato ricco, perché ho vissuto. No, non come pensi tu. Ho viaggiato e acquistato libri, tanti libri. Cara mia, leggere è fondamentale, ti leva quell'ignoranza e quella voglia di fare e ascoltare necessariamente gli altri. Tu leggi, tu impari, tu così non hai bisogno di nessuno.

Le parole di Dimitar sono sacrosante. Quanto è importante leggere, quanto è importante avere a che fare con la corretta informazione, quanto è assolutamente imprescindibile quella cultura formata non dalla parola, ma dalla scrittura. Virgjil Muçi dice che scrivere per i media è una cosa, scrivere un libro è un'altra. Quando si scrive un libro, si dice la verità, si è se stessi. Sto facendo sempre più mia questa convinzione.

Quando prendi in mano i libri da curare, quando li accarezzi, quando cerchi di capire come restituire loro nuova vita, senti tutto l'amore che hai per loro e la passione che ti lega. Sai qual è la mia paura più grande? Non vederci più.

Comprendo i timori di quest'uomo, ma penso anche che se davvero esiste un'entità superiore, non può abbandonarlo, non può togliergli la luce che guida le sue mani. Ed è così che il piccolo laboratorio di Dimitar diventa in qualche modo parte della mia quotidianità. Finalmente, dopo diverso tempo, contribuisco a donare nuova vita a un libro. Colla di coniglio, carta di riso, guanti, occhialini, rattoppa un buco, non mettere troppa colla... Dimitar mi aiuta, insegna, mi dice dove sbaglio. Quanto sono fortunata? Un maestro tutto per me. Quanta cultura passa da questi libri, usati, usurati, letti, passati di mano in mano, di epoca in epoca e di mente in mente.

"Da questi libri passa il mondo" dice Dimitar:

è da questi libri che passa l'umanità. Sono come noi vecchi. Un contenitore di sapere, chi più, chi meno, tutti conosciamo, tutti sappiamo, ma in pochi ci ascoltano. Un vecchio che non ha studiato, saprà raccontarti sulla terra che ha arato, sugli oggetti che ha venduto, su come è riuscito a vivere senza la cultura scolastica, ma questo non significa che la sua non sia cultura. Il suo è il sapere del lavoro, il sapere delle mani che profumano di fatica. E così sono alcuni di questi libri. Sono carichi di umanità, di vita vissuta, di parole che sono un dono per chi le legge. Poi ci sono i libri storici, i saggi, sì sono importanti, ma l'umanità che passa per gli scritti, è unica.

Ascolto affascinata Dimitar, mentre le mie mani scorrono sulle pagine perdute di un libro, che non sono state accuratamente conservate.

Sai qual è la difficoltà più grande del nostro lavoro? Riparare i danni fatti dai clienti!

Ha ragione! I fogli staccati non vanno conservati a casaccio, ma ben chiusi nella comunissima carta di riso. E così vedo Dimitar e così parlo con lui ormai ogni giorno, mentre accarezza, disfa, cuce, rammenda, borbotta e spera che la luce dei suoi occhi lo possa sempre accompagnare.

Ed è così che si conclude la mia seconda settimana a Belgrado. Tra incontri interessanti, posti meravigliosi, curiosità e soprattutto immersa nella cultura, tra libri, storie di vita, amicizie nuove e consolidate e tanta voglia di scoprire e vivere sempre di più Belgrado e i Balcani, tutti.

Non vi ho parlato de La Casa di Aga, perché l'evento è saltato.

Al prossimo speciale.

 

Anna Lattanzi (classe 1970) è nata a Bari, dove ha frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia. La passione per i libri e la scrittura hanno da sempre guidato il suo percorso di vita e professionale. E' amante dei viaggi e delle passeggiate nella natura, prediligendo su tutto la montagna, che sembra permetterle di toccare il cielo con un dito.

 

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