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I Balcani, un pezzo di terra gentile

Quando la cultura indossa il vestito dell'Anima

di Anna Lattanzi

Nella categoria: HOME | Balcanica

 

Sono da tre settimane a Belgrado e ogni incontro si sta rivelando singolare, ogni angolo di questa città si sta mostrando speciale. Ascolto i racconti, sento gli odori, ormai il profumo di popcorn fa parte della mia quotidianità. Perché la cultura passa dagli scrittori, ma anche dalla gente comune, passa dall'accoglienza e dalla diffusione del sapere, ma anche dalla forza, dal coraggio e dall'umanità. Questo pezzo di terra gentile mi sta insegnando tanto.

 

Goran

Un sabato di pioggia da non sprecare assolutamente. Il mio nuovo e ormai caro amico Ilir, mi propone di andare a visitare Šabac, un paese a circa un'ora da Belgrado.

Vedrai, è davvero singolare.

Ormai mi fido dei suggerimenti di Ilir, albanese, trapiantato a Belgrado da tantissimo tempo. Imprenditore in Serbia e guida turistica per il mondo, ha gli occhi di chi ha visto tante cose, incrociato lo sguardo di tanti popoli e sentito il profumo delle più disparate culture.

Ho trascorso una vita tra la gente e di questo sono grato al destino. Certamente, non è tutto oro che luccica, non sempre avere a che fare con gli altri e soprattutto se sono tanti, è positivo, ma insegna, impari tante cose. Adesso, però, sono stanco, cerco la pace, a volte il silenzio e la tranquillità.

Non è molto loquace Ilir, se pur affabile e gentile, ma parla tanto con gli occhi. Il suo sguardo si illumina e si spegne, a seconda delle emozioni e delle sensazioni che prova. E quando mi parla delle sue esperienze, si accende di una potente vitalità, quella di chi ha assaporato ogni momento vissuto, creando così un ricco bagaglio di vita.

Arriviamo a Šabac, dove nonostante il tempo non sia dei migliori, la gente passeggia, chiacchiera, sembra non appartenere a questo mondo, a queste giornate speciali che l'epoca sta imponendo all'intera umanità. Mi ritrovo in una bella cittadina, situata sulle rive del fiume Sava, di una pacifica se pur viva tranquillità. Ilir mi spiega che è stata una città a lungo contesa, conquistata dai Serbi nei primi dell'Ottocento e poi ancora persa a favore dei Turchi, per poi essere ancora ripresa dagli stessi Serbi. Subisce, durante la Prima Guerra, la dominazione austro-ungarica e la ferocia dei militi imperiali, tra cui croati e serbi, a causa del forte e dilagante odio razziale. Rimane una piccola città, tristemente nota, per l'insediamento, durante la  Seconda Guerra, di un campo di concentramento, in cui perdono la vita circa diecimila persone. Mentre ascolto Ilir, mi guardo intorno e ammiro i viali, la piazza, le costruzioni, la gente, il vociare che non urla mai, fino a quando qualcuno chiama il nome di Ilir. Un uomo, molto alto, arriva verso di noi, sorride con gli occhi, si avvicina, saluta il mio amico e così scopro che si chiama Goran. Mi spiega Ilir che l'amico dagli occhi cerulei fa il fumettista.

Fumettista, è esagerato, mica è proprio così. Io disegno, mi piace fantasticare, inventare e soprattutto pensare di dare voce attraverso la scrittura. Un fumettista fa questo alla fine. Fa parlare i personaggi attraverso lo scritto. Può sembrare così anche per i libri, per le figure che animano i racconti, ma non è la stessa cosa. Nel fumetto tu vedi i disegni, tu vedi le facce e le espressioni. Nel libro devi immaginare e costruire. Io faccio parlare uomini, donne, bambini, pupazzi, animali. Non mi risparmio.

Riesci a pubblicare in Serbia?

Non mi interessa pubblicare! No, no, a me interessa far sorridere, regalare ad adulti e piccini i miei fumetti.

Goran mi spiega che disegna per donare i suoi fumetti a chi è in ospedale, a chi è nelle case di riposo, a chi non può permettersi di acquistare un libro.

Io sono stato fortunato, ho avuto un buon lavoro nella vita, che mi ha permesso di acquistare tutto e di vivere come volevo. Ora voglio donare la mia passione.

Deve scappare Goran, deve andare via, la sua nuova compagna lo aspetta. E così saluto un uomo dal cuore grande, perché la cultura passa anche dalla gentilezza e dal voler donare una parte di se stessi, senza pretesa alcuna.
Goran, un pezzo di cuore, di questa terra gentile.

 

Dragan Velikić

Grazie a Virgjil Muçi e alla sua provvidenziale mediazione, entro in contatto con Dragan Velikić, considerato a oggi uno dei più grandi scrittori della produzione letteraria serba. Autore dalla narrazione evocativa e delicata, fa uso della penna in maniera essenziale e lineare, tanto che il suo stile è considerato laconico, se pur brillante. Dalla sua vena creativa nascono personaggi la cui esistenza è sempre in divenire, figure pronte a cercare la redenzione, attraverso azioni e introspezioni salvifiche e profondamente emotive e sentimentali. Uno dei suoi libri più famosi, pubblicati in Italia, è La finestra russa, un romanzo di straordinaria potenza, in cui Velikić "tratteggia, spostandosi con agilità nello spazio e nel tempo, la complessa scoperta di una vocazione, quella per la scrittura, grazie alla quale anche noi veniamo sollevati in un universo dove vorticano voci, echi e destini strappati all'oblio". Il cambiamento è l'unica costante, l'introspezione e la conoscenza di se stessi, l'unico mezzo per la redenzione.

Avere a che fare con noi stessi è un lungo processo, indipendentemente da quando se ne assume la consapevolezza. Accade generalmente dopo momenti dolorosi della nostra vita, che segnano comunque una svolta, come la fine di una relazione amorosa, la morte di una persona cara o quando abbiamo importanti esperienze di vita alle spalle.

Sia in questo romanzo che in altri suoi scritti, Dragan utilizza il viaggio a ritroso nel tempo come mezzo salvifico e risolutivo, come utile strumento per un'approfondita conoscenza dell'anima. Come se ripercorrere la propria vita possa in qualche modo offrire una lente d'ingrandimento sui propri errori e portare rimedio alle malefatte e ai dolori.

L’introspezione personale è un importante punto di partenza per poter vivere bene. Io mi ci aggrappo sempre, la tengo sempre a portata di mano. Ogni vita sono convinto sia composta da diversi strati che solo con la maturità, riusciamo a vedere attraverso i frammenti dei ricordi, come se fossero altre vite, altre esistenze, diverse da ciò che pensavamo.

Dragan è stato un grande oppositore del regime, mantenendo sempre alte le proprie convinzioni, pensando per gli altri, ma non con gli altri, mantenendo ferma la propria unicità.

La prima cosa da fare è abbandonare la prima persona plurale: il “noi” non esiste. Diventa necessario ricorrere a un’azione mentale, chiamata “pensare”. Quando ci si convince di questo, arriva sempre l’argomento su cui riflettere.

Non ho avuto modo di conoscerlo di persona a Belgrado, cosa che mi riservo di poter fare, quando il momento storico che viviamo ci concederà un po' di tranquillità. Sento, comunque, di essere entrata in contatto con una persona dalle idee chiare e ferme e con uno scrittore che, mi auguro, possa sempre di più essere conosciuto e apprezzato in Italia.

 

L'Istituto Italiano di Cultura a Belgrado

Cultura chiama cultura e a Belgrado quella italiana è largamente diffusa. Decido così di scrivere una mail all'Istituto Italiano di Cultura a Belgrado, organo competente di tale diffusione, proponendo un incontro, con l'onesta e alquanto pregiudizievole idea, che tanto non mi avrebbero mai risposto. Passano poche ore e mi riscopro donna di poca fede, perché la risposta è in realtà immediata e l'invito a un colloquio con la dottoressa Paola Cordone, direttrice dell'Istituto, è per il giorno dopo. Ed è un soleggiato martedì, quando mi avvicino con fare sospetto e circospetto e una certa indefinita emozione, alla sede di Kneza Miloša 56. Non ho ancora compreso dove devo citofonare, che le porte si aprono come per magia e un sonoro buongiorno mi accoglie. Entro e la prima gradita accoglienza me la riserva la gentile Tamara, che io ho l'abilità di mettere immediatamente un pizzico in difficoltà, chiedendole il mio solito "bicchiere di acqua non fredda, per favore". La cortese signorina me lo porta, e "spera tanto che non sia fredda."

No, Tamara, è una temperatura perfetta, come la sua accoglienza.

E mentre inizio a parlare del più e del meno con la splendida segretaria, noto che la porta si sta aprendo e realizzo che la direttrice sta per entrare...
Chi mi aspetto che entri: una gentile signora sui sessant'anni, non poi così socievole, perché, cosa vuoi che un po' non se la tiri? dallo sguardo indagatore, naso a patata -perché proprio a patata poi?- occhiali con catenella, dorata, sì la catenella è dorata, austera, sì, sicuramente austera.
Chi entra realmente: una donna gentile, che non è affatto sulle sue, dallo sguardo amabile e curioso, che con una simpatica performance sul saluto che il periodo ci impone, mi mette immediatamente a mio agio.
Ed eccomi ancora, donna di poca fede!

Paola Cordone mi accoglie con grande disponibilità e professionalità e prima di dare il via all'intervista, chiede notizie sul mio progetto, sui motivi per cui sono a Belgrado, mi domanda il perché del mio interesse nei confronti della cultura dei Balcani. Le piace capire chi è Livio Muci, cosa fa la BesaMuci Editrice e comprendo di trovarmi di fronte a una donna che non mi ha invitato per dovere. Non pensiate sia normale che le persone con cui parlo o a cui chiedo interviste si informino su quello che sto facendo e sulla mia progettualità. Succede, ma non così spesso. Paola Cordone lo ha fatto e questo l'ho immensamente apprezzato. Perché la cultura passa anche dall'intelligente curiosità. Parliamo di  tutto con Paola, di cultura, di eventi, di integrazione, ma anche di figli, di covid, di mentalità. Mi narra di tutti gli eventi organizzati da quando lei è approdata all'Istituto di Belgrado e mi mostra i cataloghi che raccontano di tali iniziative. Rimango impressionata dalla quantità di idee, ma anche di come la cultura italiana venga rappresentata in tutte le sue forme. Libri, pittura, gioielli, cucina, tutto è Italia, in stretta collaborazione e coesione con la Serbia. Mi affascina la passione con cui questa donna mi parla, la sua tenacia e la sua voglia di accoglienza.

Le porte dell'Istituto sono aperte a tutti, sempre.

Mi piace la semplicità con cui racconta i sacrifici della quotidianità e tutti gli sforzi fatti per i suoi traguardi professionali.
Ed è così che la saluto, che saluto una donna, che spero in qualche modo di rivedere, magari da qualche parte in Europa. La saluto sentendomi più ricca di cultura, gentilezza e umanità.

 

Giacomo

Ti va una pizza all'una? Ho invitato anche Giacomo.

L'invito dell'amico Virgjil mi piace. Perché la cultura passa anche dalla cucina, la pizza buona (e garantisco: buona) a Belgrado si mangia dalla Spageterija di Mladena Stojanovića. Ed è così che alle 13.00 siamo davanti al locale e aspettiamo Giacomo.
Chi mi aspetto che arrivi: un uomo sulla sessantina, anzi no più sulla settantina, distinto quanto basta, sì, ma non più di tanto, sguardo attento, ma pure un po' stanco, con tanta (e dico tanta) vita vissuta.
Chi arriva realmente: un giovane, dallo sguardo vispo e intelligente, dall'approccio educatamente simpatico, che mi dà subito l'idea di essere un curioso della vita.

É bergamasco Giacomo e dieci anni fa, seguendo la via del cuore è arrivato in Serbia. Inizia a parlare dandomi del lei...

Dammi del tu, per favore...

Dalla sua espressione capisco che devo aver usato un tono piuttosto brusco, ma è un uomo comprensivo, si vede.
Ha quarant'anni, ne dimostra in realtà molti meno, si parla di tutto con lui, ma sono soprattutto incantata dall'interscambio culturale che si sta svolgendo sotto i miei occhi. Perché la cultura passa anche dallo scambio di opinioni, dal confronto tra amici di nazionalità differente, di mentalità differente. Questo avvalora il concetto che i confini li ha definiti l'uomo, ma non esistono, che le razze le ha definite l'uomo, ma non sono reali. Come direbbe Virgjil Muçi, noi siamo voi. Il modo di porsi di questo giovane italiano è educato, vivace e propositivo. Si parla della sua Bergamo, di quanto

Mi manca la montagna, mi  mancano le passeggiate in montagna. Qui i monti più vicini sono a un'ora di distanza.

E si parla di Bergamo, dei suoi cari e di Marzo, dei camion dei militari che portano via i morti, ma

Mi sono commosso ed emozionato di fronte al video di quel bergamasco, che sfoglia ben dieci pagine di necrologi.

Traspaiono poco le emozioni in Giacomo, ma quando si parla dell'Italia e di chissà quando potrà tornarci, arrivano tutte.

Faccio un pezzo di strada di ritorno con lui, mi saluta, dandomi i suoi riferimenti. Lo saluto e rifletto su quanto anche questo incontro mi abbia arricchita. Giacomo è intelligenza, disponibilità e quell'italianità che mi piace. Giacomo è curiosità, è integrazione, quella bella, quella pulita, quella che non guarda i  confini, se non quelli legati al cuore, più o meno intensi che siano, non è importante. Giacomo è un altro grande pezzo di gentilezza, che questa terra mi sta regalando.

Bella Giacomo, continua così, che vai alla grande.

 

Ritorno a Novi Sad

Se domattina puoi staccare, andiamo a  Novi Sad.

Certo che stacco! A costo di lavorare tutta la notte! L'invito di Ilir mi piace. Ed eccoci a Novi Sad, la mia amata città. Ci torno ancora con la pioggia, ma non importa.

Ti faccio conoscere una persona, si chiama Jelena.

Jelena ha cinquant'anni e da circa vent'anni è costretta a usare la carrozzina a causa di una malattia degenerativa. Questo non le toglie la vitalità, non le ruba il sorriso e la cortesia.

Mi piace scrivere, scrivo fiabe per bambini, ma non ho mai pubblicato. Te le farei leggere, ma scrivo in serbo. Scrivo fiabe gioiose, senza mostri o cattivi. I miei personaggi sono allegri, alquanto burloni, qualche volta impacciati, ma devono assolutamente essere gioiosi. Io sono una persona allegra, i miei personaggi devono rispecchiarmi in tutto e per tutto.

Quanta gioia nelle sue parole, quanta vitalità in quello che racconta.

Ho iniziato a scrivere subito dopo la diagnosi. Mi sentivo persa e la scrittura mi ha aiutato. Non avrei mai pensato, un giorno di pubblicare.

Quindi, perché ancora non lo hai fatto?

Ci sto provando, vediamo come andrà. Le mie fiabe sono particolari e pertanto non sempre ben accette. Io non scrivo di eroi, non scrivo di antieroi. Scrivo di storie lineari, movimentate, ma nessuno va contro nessuno. Sono storie di vita, che i personaggi condividono.

Mi parla della sua vita Jelena, di come sia rimasta sola pochi anni dopo la diagnosi, perché suo marito non si è sentito di sostenerla, di come abbia perso la sua mamma, unico suo punto di riferimento e di come si sia fatta forza e sia andata avanti. Il destino non è però sempre stato cattivo.

Due anni fa ho conosciuto Maja e ho scoperto cosa vuol dire amare ed essere amata. Maja mi sta vicina, mi sostiene, come io sto vicino a lei e sostengo lei.

Perché la cultura passa anche dalla forza di volontà, dal non arrendersi mai, dal trovare sempre una ragione per andare avanti.

Sei grande Jelena, sei una grande maestra di vita.

Ed è con la conoscenza di questa splendida donna, che si conclude la mia terza settimana a Belgrado. Al prossimo speciale.

 

  Leggi l'intervista a Paola Cordone, direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura a Belgrado

 

Anna Lattanzi (classe 1970) è nata a Bari, dove ha frequentato la facoltà di Lettere e Filosofia. La passione per i libri e la scrittura hanno da sempre guidato il suo percorso di vita e professionale. E' amante dei viaggi e delle passeggiate nella natura, prediligendo su tutto la montagna, che sembra permetterle di toccare il cielo con un dito.

 

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