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Il linguaggio come un sesto senso d'interpretazione del reale
Qual è la valenza della parola nella nostra società? Il tema è sicuramente molto ampio: le parole investono la nostra vista stessa, plasmano i significati, ci raffigurano gli oggetti che ci circondano, ed alcuni filosofi e linguisti pensano addirittura che sia essa stessa l'oggettività che ci circonda.
La parola è il mezzo principale con cui avviene la nostra comunicazione, ed è così forte che potremmo parlarne come di un sesto senso, che, al pari o forse ancora meglio della vista, dell'olfatto, del tatto o dell'udito, ci permette di conoscere il reale. Senza il nome, un oggetto non è neppure contemplato. La specificità e il grado di precisione che abbiamo nel nominare un soggetto, indica il grado di importanza che quel soggetto ha per noi: così, nella cultura nomade e pastorizia del deserto sahariano, esistono decine di nomi per distinguere le varie categorie di capre; allo stesso modo, le popolazioni che vivono nei ghiacci hanno decine di nomi per il colore bianco (l'unico, immenso colore che contraddistingue il loro tipico paesaggio). Lo stesso significato di oggetto/soggetto diventa effettivo quando lo si pensa come "soggetto linguistico", quindi, inevitabilmente, come parte integrante del nostro bagaglio linguistico. Non a caso anche una funzione del nostro cervello strettamente legata al linguaggio, cioè la capacità di eseguire classificazioni, e quindi interpretazioni, del reale, dipende anch'essa dalle nostre capacità linguistiche (vedi l'articolo "Linguaggio e classificazione").
E la letteratura? Intanto, possiamo dire che la letteratura è essa stessa una forma di linguaggio. È, se non altro, una sottospecie dei molti usi che facciamo della parola (e ovviamente con "parola" non facciamo qui distinzione tra testo scritto e testo parlato", dando per scontato che se leggo una poesia di Leopardi da un libro, sto interagendo con un testo letterario esattamente come se quella stessa poesia mi fosse declamata a voce da un lettore, ad esempio durante un meeting letterario). La letteratura quindi dipende dalla parola, in quanto per esistere ha necessità di essere in qualche modo espressa linguisticamente.
La potenza del linguaggio è tale che alcuni studi hanno addirittura messo in rilievo un'altra caratteristica notevole del nostro sistema linguistico: la capacità che abbiamo di eseguire vere e proprie azioni con le parole: gli atti linguistici (vedi l'articolo "Le funzioni del linguaggio"). Quando, ad esempio, dico: "Ti giuro che l'ho visto", noi non soltanto enunciamo una frase con un dato significato, ma compiamo anche l'azione - effettiva - di fare un giuramento. Il giuramento, tra i molti possibili esempi di atti linguistici, è forse quello che rappresenta meglio un tipo di azione che si compie esclusivamente tramite il linguaggio.
In letteratura, questa caratteristica può essere
ricondotta all'atto generativo stesso del testo
letterario. Molto spesso,
infatti, parte della letteratura si presenta come generata da una "urgenza
comunicativa" alla
quale l'autore si piega per esprimere qualcosa di inesprimibile altrimenti. È il
caso di alcune poesie, che nascono esplicitamente come ultimo - o unico - tentativo
di comunicare, di dare vita a un "atto linguistico" come puro "atto comunicativo".
Nella dolcissima poesia di Alda Merini, Fiore di poesia,
leggiamo:
Io ho scritto per te ardue sentenze,
ho
scritto per te tutto il mio declino;
ora mi anniento, e niente
può salvare
la mia voce devota; solo un canto
può trasparirmi
adesso dalla pelle
ed è un canto d'amore che matura
questa mia eternità senza
confini.
La poesia si presenta come l'ultimo tentativo di dare
voce ai sentimenti dell'io poetico; quando ormai "niente può salvare
/ la mia voce devota", si alza "un canto d'amore che matura / questa
mia eternità senza
confini".
Sono numerosi gli altri esempi che potremmo fare; il più famoso
ed eclatante fra tutti, forse, è quello di Charles
Baudelaire con i suoi Fiori del male (è forse
casuale anche questo ricorrere alla metafora dei fiori per la poesia
anche in Alda Merini?).
La poesia offre una panorama scelto, esclusivo, per i nostri esempi. Ma molti altri testi ci aiutano nella nostra riflessione. Nel racconto per bambini C'era due volte il barone Lamberto, Gianni Rodari racconta la storia di un uomo che per vivere più a lungo scopre un'incredibile elisir di giovinezza: ascoltare infinitamente ripetuto il proprio nome:
- Lamberto, Lamberto, Lamberto.
Quelle
voci gli danno una sensazione di sicurezza. È come
se ci fosse sempre una sentinella a vegliare su di lui per tenere lontani
i nemici. Lo sa bene che quelli lassù ripetono il suo nome solo
perché sono pagati per farlo. Ma lo fanno con tanto scrupolo
e qualche volta perfino con tanta grazia che il barone non può fare
a meno di pensare: "Senti come mi vogliono bene".
Alcuni personaggi in questo racconto sono pagati dal barone Lamberto per pronunciare continuamente il suo nome, e così l'atto stesso dell'espressione linguistica diventa un atto vitale, esemplificando in maniera estremamente semplice ma con molta forza il concetto dell'atto linguistico come atto oggettivo, anzi in questo caso come "atto soggettivo": dire "Lamberto" equivale infatti a ribadire l'esistenza del barone Lamberto, del soggetto linguistico.
Abbiamo detto che la letteratura dipende dalla parola, in quanto per esistere ha necessità di essere in qualche modo espressa linguisticamente. Ma la letteratura non si ferma a questo rapporto di dipendenza: essa in qualche maniera spesso plasma, crea, re-inventa la parola stessa. L'esempio più eclatante di questo si ha con l'uso frequente e meraviglioso che ci offre delle figure retoriche: accostando significati talvolta lontani, parole inusitate e mai viste insieme, permette di creare nuovi "significanti linguistici", generando un piccolo nuovo universo sensoriale e intellettivo da scoprire e gustare. La letteratura inoltre gioca con le parole, con la loro stessa "fisicità", creando accostamenti di suoni inediti, incredibili, squisitamente virtuosi:
L'onda si
spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s'infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l'alga e l'ulva;
s'allunga,
rotola, galoppa; [.]
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda, tutte accoglie
e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
Citiamo la famosa Onda di Gabriele D'Annunzio come uno degli esempi più immediati di questa incredibile forza. Il poeta parla qui dell'onda, descrivendo con giochi linguistici sapientemente voluti la natura dell'oggetto che descrive, la natura dell'onda che con la sua forza trascina l'acqua del mare e si frange sulle sponde. E qui il linguaggio dà prova della sua estrema duttilità, piegandosi alla volontà del poeta, fondendosi con la natura dell'oggetto che descrive, diventando esso stesso onda che si spezza e schiocca e schianta. E così, sembra infine che D'Annunzio giochi su due livelli di significato: il primo, più immediato, dove si descrive l'onda; il secondo, direi "mediato", dove si descrive il linguaggio stesso, i giochi ai quali si piega la poesia per sposare la descrizione dell'onda. La "creatura viva" "numerosa e folle", "possente e molle", non è forse pure la poesia, quindi il linguaggio, che alla fin fine "romba, ride, canta, / accorda, discorda, tutte accoglie e fonde / le dissonanze acute / nelle sue volute / profonde"?
Abbiamo quindi un rapporto doppio tra letteratura e parola: la letteratura dipende dalla parola, in quanto sottospecie del linguaggio, ma d'altra parte essa ha anche una capacità - diciamo - generativa , nei confronti del linguaggio, la cui massima espressione si può avere nella poesia.
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