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Il progetto Divina Commedia di Peter Weiss

di Silvia Scialanca

Nella categoria: HOME | Articoli critici

Introduzione
Perché un così grande interesse per Dante?
L'indicibilità in Dante e Weiss
Quale cantina ha maggiormente influenzato Weiss?
I tre regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso
Bibliografia e sitografia

Introduzione

Chi è Peter Weiss
Peter Weiss (Babelsberg, 8 novembre 1916 - Stoccolma, 10 maggio 1982) è stato uno dei più importanti scrittori e drammaturghi tedeschi del Novecento. Si dedicò anche alla pittura e al cinema. A causa delle sue origini ebree nel 1935 fu costretto a lasciare la Germania per trasferirsi prima in Inghilterra, poi a Praga, in Svizzera e infine in Svezia dove ottenne la cittadinanza nel 1946. Autore impegnato politicamente debuttò nel 1960 con il microromanzo Der Schatten des Körpers des Kutschers (L'ombra del corpo del cocchiere). Sempre agli anni '60 risalgono i suoi due romanzi autobiografici Abschied von den Eltern (Congedo dai genitori, 1961) e Fluchtpunkt (Punto di fuga, 1962). Il grande successo arrivò però con i suoi drammi Die Verfolgung und Ermordung Jean Paul Marats, dargestellt durch die Schauspielgruppe des Hospizes zu Charenton unter Anleitung des Herrn de Sade (La persecuzione e l'assassinio di J. P. Marat, rappresentati dai filodrammatici dell'ospizio di Charenton sotto la guida del signor de Sade del 1964) e Die Ermittlung (L'Istruttoria del 1965), quest'ultima scritta a partire dai protocolli del Processo di Francoforte contro i criminali nazisti, al quale Weiss partecipò come corrispondente estero. Tra le altre sue opere più importanti ricordiamo Gesang vom lusitanischen Popanz (Cantata del fantoccio lusitano del 1967); Trotzki in Exil (Trotskij in esilio del 1970), Hölderlin (1971), Der Prozeß. Stück in 2 Akten. Nach dem gleichnamigen Roman von Franz Kafka (Il processo. Commedia in due atti dal romanzo omonimo di Franz Kafka del 1975) e i tre volumi di Die Ästhetik des Widerstands (L'estetica della resistenza, dal 1975 al 1981).

Dante Alighieri è stato un vero e proprio modello per lo scrittore tedesco Peter Weiss, un punto di riferimento importante dal 1963 fino ai suoi ultimi giorni. Il grande influsso del poeta fiorentino è rintracciabile soprattutto nel Divina Commedia-Projekt (Progetto Divina Commedia), ovvero in quell’ambizioso progetto iniziato nel 1964 e terminato con la Dante-Prosa nel 1969. Si tratta di un lavoro più volte accantonato e ripreso, ma in realtà mai portato a compimento, che in Germania è stato ampiamente studiato, mentre in Italia si registra una certa attenzione soprattutto dal 2008 con la traduzione e pubblicazione del dramma Inferno.
Con il Progetto Divina Commedia Weiss tentò di fornire una rappresentazione universale del mondo moderno seguendo il classico schema dantesco. Inferno, la prima parte della pensata trilogia formata da 33 canti, venne conclusa nel 1964, ma pubblicata postuma solo nel 2003; di Purgatorio, che non venne mai scritto, non ci restano che degli schizzi e appunti, e Paradisodivenne poi l’opera autonoma L’Istruttoria, appartenente al genere del teatro documentario e scritto dopo aver partecipato alle sedute del processo di Francoforte. Lo scrittore tedesco tentò poi di riprendere in prosa il Progetto Divina Commedia, con il Dante in prosa nel 1969, il quale in realtà è solo un frammento di 12 canti di Inferno che concluse definitivamente il tentativo di rielaborazione del capolavoro dantesco. Importantissime sono inoltre le due opere preliminari al Progetto Divina Commedia, definite da Marco Castellari due “paratesti del progetto” [nota 1], ovvero la Vorübung zum dreiteiligen Drama divina commedia (L’Esercizio preliminare per il dramma in tre parti divina commedia[nota 2]) e il Gespräch über Dante(Conversazione su Dante [nota 3]), che rappresentano la prima fase di appropriazione e attualizzazione del nostro poeta [nota 4]. Questi due testi sono fondamentali perché mettono in risalto le numerose difficoltà derivanti dalla lontananza storico-culturale tra i due scrittori, nelle quali si imbatté Weiss durante la stesura dei vari abbozzi.
L’influsso di Dante si riscontra però anche in altre sue opere importanti non appartenenti al Progetto Divina Commedia, come la Cantata del fantoccio lusitano (1967), il Discorso sul Viet Nam (1968), Trotskij in esilio (1970), fino alla monumentale Estetica della resistenza, che è l’ultimo grande confronto tra Dante e Weiss e dove secondo Giuseppe Dolei Dante diventa il “compagno di resistenza.” [nota 5]

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Perché un così grande interesse per Dante?

L’interesse iniziale di Weiss per Dante deve essere stato motivato soprattutto da:

  • affinità biografiche [nota 6], in quanto entrambi vissero l’esperienza dell’esilio: come Dante scappò da Firenze per evitare il rogo, così Weiss fu costretto nel 1935 a lasciare la Germania con tutta la sua famiglia, poiché di padre ebreo, per andare prima in Inghilterra, poi a Praga, in Svizzera e infine nel 1939 in Svezia, dove ottenne la cittadinanza nel 1946.  L’esilio, che segnò senza alcun dubbio la vita di Weiss, ci porta ad affrontare anche un altro problema: il complesso del sopravvissuto che accompagnò lo scrittore per gran parte della sua vita. Weiss cercò dunque di superare questo forte senso di colpa attraverso la scrittura: doveva in ogni modo raccontare e testimoniare ciò che era successo, anche se in realtà lui, essendo emigrato, non lo aveva mai vissuto. È proprio per questo che negli anni Sessanta alcuni scrittori tedeschi gli rimproverarono di parlare troppo di cose che conosceva solo per sentito dire. [nota 7]
  •  una costante ricerca linguistica [nota 8]: entrambi sperimentarono l’impotenza della lingua di fronte ad eventi o situazioni che superavano la capacità di comprensione umana. Infatti il continuo tentativo dello scrittore tedesco di parlare della Shoah, si scontrò con il problema di come la poesia potesse riuscire a rappresentare quell’ecatombe, soluzione che troverà nel teatro documentario con la scrittura di L’Istruttoria.

Interessante per capire perché Weiss dedicò gran parte della sua vita a Dante è la lettura di alcuni stralci della Conversazione su Dante:  lo scrittore tedesco vivendo in un mondo nichilista, in cui si credeva non esistessero più valori e punti di riferimento certi, né una giustizia suprema, dove niente sembrava avere più senso e né alcun miglioramento possibile, vide in Dante e nella sua rigida e schematica visione del mondo un modello per cercare di superare il fallimento creatosi “all’interno di quell’ideale di bellezza” [nota 9]. Inoltre il poeta fiorentino deve averlo stimolato a ricercare la verità storica [nota 10], per dare così un senso e uno scopo alla propria vita e alla propria attività di scrittore, andando però alla ricerca dell’unico Dante possibile nel Novecento: “Un Dante odierno, un Dante senza pregiudizi, un Dante libero da dogmi religiosi” [nota 11], ovvero “un Dante realista” [nota 12]. Così come il nostro poeta aveva trovato il coraggio di criticare tutta la società del suo tempo, dalla curia ai politici, anche Weiss aveva lo stesso obiettivo, perché: “È facile trasferire i rappresentanti delle istituzioni dal tempo di Dante nel mio presente.” [nota 13] Essi infatti sono sempre gli stessi e i loro intrighi sempre in agguato.
Giuseppe Dolei [nota 14] mette inoltre in evidenza che Weiss si fosse interessato al poeta fiorentino poiché entrambi credevano nell’imprevedibilità dell’arte, in quanto è impossibile che essa rimanga entro i limiti di un fine prestabilito e di cui nessuno può programmare davvero gli esiti. Ecco perché Weiss lesse e interpretò la Commediadal punto di vista del mondo moderno: “Quel Dante posso accoglierlo nel mio mondo odierno e lì posso affrontarlo e cambiarlo.” [nota 15] Egli quindi:

  • Ha ripreso dall’opera dantesca solo i modelli formali;
  • Ha riempito questi modelli con contenuti contemporanei;
  • Ha rifiutato lo schema “colpa-punizione / merito-ricompensa.”

Come ha fatto notare Baccarini [nota 16], dalla Göttliche Komödie si passava quindi ad una “gottlose Komödie [nota 17], ovvero “una commedia senza Dio” tipicamente novecentesca.

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L’indicibilità in Dante e in Weiss.

Il problema dell’indicibilità in Dante si rintraccia soprattutto nella cantica Paradiso, poiché è in questo regno che il poeta fiorentino viene continuamente sopraffatto da luci, suoni e musiche, che lo rendono impotente e muto di fronte alla bellezza e armonia divina. Però grazie alla sua grande fiducia nelle possibilità espressive della lingua e alla sua incrollabile fede in Dio riuscì a superare questa impasse trasmettendo così la sua visione dell’aldilà.
Bisogna però ricordare che anche nell’Inferno e nel Purgatorio Dante lamenta spesso la mancanza di parole per descrivere ciò che vede. Quindi siamo portati a chiederci:

Quale cantica ha maggiormente influenzato Weiss?


La risposta la si trova in alcuni stralci della già citata Conversazione su Dante [nota 18] nei quali specifica di non essere riuscito a leggere la Commedia per intero, ma di conoscere bene solo l’Inferno, del Purgatorio solo i gironi più bassi, perché “poi il poema si perde sempre più nell’indistinto” [nota 19], e di non avere i fondamenti teologici e filosofici per capire il Paradiso: “A: […] Leggo un verso qui e là, capisco le parti finali, dove Dante continua a ripetere che gli viene meno la voce, che gli mancano le parole per descrivere la sua condizione. È un buon materiale per esercizi mentali e revisioni.” [nota 20] Da queste poche righe emerge dunque che Weiss si concentrò soprattutto sull’Inferno dantesco, portandoci così ad affermare che la sensazione di indicibilità provata dallo scrittore tedesco sia soprattutto avvicinabile e comparabile alla sensazione di impotenza linguistica provata da Dante in molti canti dell’Inferno. Un altro punto in comune è che così come Dante termina alcuni canti dell’Inferno con lo svenimento del protagonista, per indicare l’impossibilità nel procedere nella narrazione a causa di temi che lo colpiscono particolarmente e di cui è difficile riferire, anche Weiss introdusse nel canto V del suo dramma Inferno lo svenimento del protagonista. Per quanto riguarda invece le frequenti dichiarazioni di impotenza espressiva di Dante in molti canti del Paradiso, in Weiss – come nota Dolei – possono fungere solo da commento “alla difficoltà di rappresentare la condizione dei deboli e degli oppressi di oggi, ideali discendenti delle anime beate della terza cantica.” [nota 21] Vedremo infatti che il Paradiso di Weiss alla fine verrà “sommerso da un inferno, per il quale mancano le parole.” [nota 22]
Con Baccarini [nota 23] possiamo quindi dire che Dante è stato per lo scrittore tedesco un modello imprescindibile, in quanto rappresentava per lui la possibilità dell’arte, essendo riuscito a dare voce all’indicibile e all’ineffabile e a sconfiggere l’indescrivibilità delle tremende visioni infernali ed io aggiungerei anche delle immagini celestiali e spirituali; è per questo dunque che può essere assunto a modello della poesia moderna. La modernità di Dante, secondo la studiosa, sta anche nell’essersi confrontato con tutte le possibilità della poesia in una perenne sfida con il silenzio, il quale è strettamente collegato alla memoria, perché è impossibile dire ciò che sfugge ai nostri ricordi. La parola e la memoria sono infatti indissolubilmente legate l’una all’altra anche in Weiss, per lui però, a differenza di Dante, non era necessario solo ricordare per dire, ma soprattutto dire per ricordare, [nota 24] perché  tutto quell’orrore non poteva cadere nell’oblio.
Il problema dell’insufficienza della lingua in Weiss non è però soltanto connesso all’indicibilità degli orrori di Auschwitz, ma anche al fatto di non avere una precisa identità nazionale e quindi linguistica proprio a causa dell’emigrazione. È soprattutto nei suoi due romanzi autobiografici degli anni Sessanta Congedo dai genitori (1961) e Punto di fuga (1962) che Weiss iniziò a riflettere sulla lingua, mostrando il doppio shock subito: l’essersi reso conto di non possedere una lingua materna e il doverla apprendere ex novo. Bisogna inoltre ricordare che il suo lento processo di apprendimento e riconquista della lingua materna, ovvero il tedesco, venne preceduto dalla sua attività di pittore e regista.

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I tre regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Nell’Esercizio preliminare per il dramma in tre parti divina commedia Weiss ci fornisce la sua interpretazione delle tre “località” ultraterrene dantesche, che per lui erano invece tutte terrene:

L’Inferno / ospita tutti quelli che secondo il Dante di una volta / erano condannati a una pena infinita, e oggi, però, / dimorano qui tra noi, i vivi, portando avanti / impuniti i loro misfatti, e vivono appagati, / con i loro misfatti, incensurati, ammirati da molti. Qui / tutto / è saldo, oliato, garantito, non si dubita di niente, e ogni / sofferenza / viene scrollata via. Soltanto a noi, che presumiamo / di non farne parte, e siamo invece legati a loro con il / nostro / sconforto, con la mancanza di vigore per poterli spodestare, / essi fanno paura. Vediamo i loro intenti, vediamo da dove / vengono / e vediamo la meta che si sono prefissati, e dobbiamo / restare qui, loro alleati, finché li lasciamo fare. / Il Purgatorio, poi, / è la terra del dubbio, dell’errore, dei tentativi / falliti, la terra dell’irresolutezza e dell’eterno conflitto, ma / almeno lì c’è il movimento, c’è l’idea che la situazione / possa  cambiare,  anche se pare impossibile squarciare / la membrana che serra ogni nostra emozione. Qui / nel Purgatorio, se ci penso, sento la musica / degli ultimi balli, e vedo gli spettacoli sempre mutevoli / del grande mercato, spazzato dagli slogan e dal respiro / infocato della concorrenza. Allegramente chiassosa / bisognerebbe mostrare la produzione, dove tutto / si può avere in serie, e tutto in serie / ridiventa spazzatura, con ghigni rabbiosi / infurierebbe la lotta, attizzata / da oscene corifee di plastica luccicante e da robot / elettronicamente comandati, e qui, in una quotidianità dove / già il risveglio al mattino finirebbe sotto una tempesta / di colpi taglienti, e dove poi, di ora in ora, verrebbe fiaccata / l’attenzione e accentuato lo sforzo per sopravvivere, qui bisognerebbe pretendere che uno / scopra le carte, qui bisognerebbe fare domande / che esigano una decisone. Vedevo chiaramente il / paesaggio del Paradiso, / dove hanno casa quelli cui Dante un tempo assegnò la / beatitudine. Oggi, / che non si parla più di ricompensa e si valuta soltanto / la sofferenza patita, non rimane al viandante / che comunicare ciò che ha appreso / di quella sofferenza. E si troverà davanti la desolazione / più completa, gli spazi celesti non saranno / che vuoto, e non si può rappresentare niente dentro quel / vuoto, giacché / l’Alighieri di oggi dovrebbe mettere da parte il gioco / d’illusioni, non può / ridestare i morti, non possiede nient’altro che la realtà / di parole che adesso si possono ancora pronunciare, ed è / compito suo / trovare quelle parole e farle vivere, nel vuoto più assoluto. / Ma / in che modo? Soltanto come voci, nel buio, oppure / nella luce accecante, senza bocche né volti, prive di corpo, / ma / non sarebbe anche questa di nuovo un’illusione? Dette, / forse, / da testimoni, come li vidi io, davanti alla corte: entravano / uno alla volta, / cercando nella memoria tracce del tempo in cui erano stati / scelti / per un’esistenza paradisiaca, gli ultimi, cui era concesso / ancora / di parlare, dopodiché ci sarebbe stato soltanto / il definitivo silenzio? Erano soltanto in pochi, quasi / sparivano / davanti alla supremazia di coloro cui erano sfuggiti e che / troneggiavano tronfi su di loro, contestando ogni loro / parola e / ritorcendogliela contro, come se fossero sempre loro, i / pochi, / a dover essere condannati. [nota 26]

Weiss quindi non rappresentò nel suo dramma Infernoil mondo dei campi di concentramento, come spesso avveniva ed avviene nella letteratura sulla Shoah, ma preferì rappresentare la Germania del dopoguerra, dove coloro che avevano aderito al nazismo continuavano a vivere tranquillamente avendo anche posti di potere: i malfattori di quei recenti crimini erano ancora vivi e dovevano essere puniti finché erano ancora in vita. Il Purgatorio è invece il mondo moderno dominato dalla concorrenza, dalla produzione seriale, dall’egoismo e dalla corruzione, in cui ognuno cerca a tutti i costi di sopravvivere in un mondo in continua evoluzione. Marco Castellari [nota 27] ha messo in evidenza che in questo regno si sarebbe dovuto rappresentare il dubbio dell’intellettuale e dell’artista tipico della produzione di Weiss proprio negli anni Sessanta. Un purgatorio quindi che mostrerebbe “un’umanità ridotta allo stremo, la quale […] dovrebbe scoprire le carte e mettere sul tappeto le questioni decisive del suo futuro. […] Si tratta insomma di un purgatorio che, lungi dal promettere una prossima beatitudine, minaccia di sprofondare nella dannazione dell’inferno.” [nota 28] Il Paradisoè invece dedicato alle vittime della Shoah, definite voci nel buio avvolte da una luce accecante, senza volti, né corpi, solo voci degli ultimi testimoni “scelti per un’esistenza paradisiaca” prima del silenzio assoluto. È proprio in questo regno che la struttura dantesca viene completamente rovesciata. Ci troviamo infatti di fronte ad un paradiso senza Dio, senza angeli né beati, perché, “nel mondo del DC-Projekt beatitudine e redenzione sono ridotte al grado zero, all’assenza, al vuoto. Nulla rimane, di conseguenza, del paradisiaco dantesco, come nulla rimane del divino in senso lato.” [nota 29
Anche nell’altra opera preliminare al DC-Projekt, ovvero la Conversazione su Dante, Weiss ci fornisce una visione e interpretazione nuova dei tre regni danteschi. Prima però è bene ricordare che in questo testo, scritto nel 1965, Weiss propose un’evoluzione da un “dramma tedesco” centrato sulla divisione tra “vittime” e “carnefici”, al quale aveva fatto riferimento nel 1964 nell’Esercizio preliminare e realizzato nella stesura del dramma Inferno, a un “teatro del mondo universale” dove i protagonisti diventavano gli “oppressi” e gli “oppressori”. Proprio in questa evoluzione Yannick Müllender [nota 30] riconosce il principale cambiamento apportato al progetto nella seconda metà del 1965, quando lo scrittore tedesco assunse pubblicamente posizioni anticapitaliste e antimperialiste con la pubblicazione delle 10 note di lavoro di un autore nel mondo diviso, ribadite poi nel celebre discorso I Come out of My Hiding Place del 1966. Auschwitz arrivò così a rappresentare tutte le persecuzioni e gli stermini perpetrati dagli stati capitalisti.
I punti principali che possiamo estrapolare dalla Conversazione su Dante sono i seguenti:

  • Weiss spiega che, mosso dall’idea di scrivere un teatro universale, e non avendo idee chiare sulla forma, assunse Dante come modello, in quanto rappresentava per lui la “possibilità di concentrare la materia.” [nota 31];
  • Lo scrittore tedesco, non concependo l’esistenza di un inferno, di un purgatorio e soprattutto di un paradiso, trasse dalla Divina Commedia tutto ciò che gli sembrava adattabile all’esistenza terrena: “Traggo dalla Divina Commedia soltanto quello che si può trasferire in un’esistenza terrena. Non concepisco neppure per idea un inferno e un purgatorio, figuriamoci poi un paradiso.” [nota 32];
  • Grazie a Dante capì l’importanza della presa di distanza nell’atto di descrivere ciò che si vede: “Il solo fatto che uno si esprima, che trovi la forza di descrivere quelle terre implica una presa di distanza e un qualche sfondo immaginario dal quale può partire il discorso. Quello sfondo immaginario è il mezzo artistico. Se si lasciasse sopraffare dagli avvenimenti, infatti, non potrebbe più parlare” [nota 33]. Quindi con Dolei possiamo dire che “la condizione indispensabile per narrare l’orrore è quella di affrancarsene e di crearsi un terreno fittizio (il medium dell’arte), dal quale potere organizzare il proprio resoconto” [nota 34];
  • Dante gli insegnò la necessità di descrivere il più precisamente possibile le “cose inconcepibili” [nota 35]. Se il poeta fiorentino poteva però confidare in un’ispirazione divina per descrivere quegli eventi trascendentali, Weiss invece poteva solo fare affidamento sulle facoltà umane, perché per lui non esisteva alcun Dio e quindi “tutto ciò che ha luogo nella sfera del vivente ha una spiegazione. Non c’è niente di cui non si possa parlare.” [nota 36] Weiss quindi alla fine, grazie ai suoi studi su Dante, riuscì a recuperare la fiducia nelle possibilità espressive della lingua e a trovare la forma giusta per poter finalmente parlare dello sterminio: il teatro documentario. La Conversazione su Dante è stata infatti redatta subito dopo la stesura dell’Istruttoria.
  • Weiss ci spiega inoltre chi e cosa rappresenta la sua Beatrice, tra l’altro già nominata nell’Esercizio preliminare [nota 37]:

A: […] Chi è Beatrice per me? Un amore di gioventù, con il quale non osai mai fermarmi. Poi arrivò il terrore politico. La guerra. Fui bandito, andai in esilio. Beatrice rimase laggiù. Non seppi più niente di lei. Se avessi avuto il coraggio l’avrei portata con me nella fuga. Che ne fu di Beatrice? Avrei davvero voluto vivere con lei? Beatrice morì. Forse fu uccisa. Col gas, forse. Da tempo era diventata cenere e io mi raffiguravo ancora la sua bellezza. Forse oggi per Dante sarebbe pressappoco così. [nota 38]

Si tratta in realtà della sua amica di gioventù, Lucie Weisberger, morta nel campo di   concentramento di Theresienstadt, nei confronti della quale provò sempre un forte senso di colpa. Afferma inoltre che un Dante dei suoi tempi potrebbe vedere in Beatrice solo una morta e saprebbe che nessun tipo di morte presuppone una ricompensa, perché ci si può solo chiedere come si muore sulla terra. [nota 39]

  • Per Weiss quindi il paradiso è un luogo oggettivo e concreto del nostro mondo e lo dedica a coloro che secondo lui meritano il paradiso, ovvero gli oppressi e i suppliziati: coloro che giacciono nelle prigioni, i cittadini dei paesi dominati da tiranni e dittatori, coloro che sono condannati per la loro razza e gli operai sfruttati nelle fabbriche. È proprio questo il punto di svolta che viene individuato da Müllender nella produzione weissiana, ovvero il passaggio dalla rappresentazione di un dramma tedesco ad un dramma universale.

B: Il Paradiso come luogo concreto del nostro mondo. Ciò significherebbe una descrizione di coloro che secondo Dante erano ritenuti degni di una condizione paradisiaca. Una descrizione dei suppliziati e degli oppressi.
A: […] Come nell’Infernorappresenta i potenti di questo mondo nelle loro roccaforti, mettendo in evidenza che il loro dominio è ancora intatto, così nel Paradiso ci presenta i beati, che aspettano ancora la liberazione. E oggi saprà che questa liberazione può esserci per loro soltanto qui, quando sono vivi, e che non gli serve a niente quando sono morti. Qualunque cosa descriva, per quanto indecifrabile e ignota, deve descriverla con parole che ne chiarifichino l’ubicazione terrena. [nota 40]

Nella Conversazione su Dante lo scrittore mette infatti in evidenza come il male sia parte integrante di questo nostro mondo e di ogni epoca, e come l’inferno sia quindi la “località” più adatta per rappresentare e criticare il presente, ma anche il passato, senza doverlo trasferire in una realtà ultraterrena per lui inesistente:

A: […] Ma cosa sono quei peccatori? Denunciano un’inerzia nella quale egli [Dante] incappa di continuo. Quelle figure simboleggiano l’ottusità e la cecità. […] Per me la presentazione di quella condizione nella quale tutto si svolge sempre tutto uguale, è una sfida alla necessità di ravvedersi finalmente. Ma guardate cosa succede qui! Dante strania il male, trasferendolo nell’abbandono di una landa sotterranea. Così facendo mostra: voi non volete vedere, non volete capire quello che succede qui sulla terra. […] Leggendo l’Inferno, vedo costantemente dietro quelle visioni ciò che avviene qui tra noi. [nota 41]

Un inferno quindi il nostro, proprio come quello di Dante, la cui caratteristica principale sembra essere la fissità, un mondo in cui la gente non vuole né vedere né capire e dove sembra non esserci mai ravvedimento e miglioramento: “Ciò che è terribile qui è che sempre, in ogni epoca, gli uomini dovevano farsi stritolare dal potere più forte.” [nota 42]

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Articolo tratto dalla tesi di laurea di II livello in Letteratura tedesca:
“Con quel Dante posso parlare”.
Dante Alighieri nell’opera di Peter Weiss.
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne dell’Università della Tuscia
A.A. 2009/2010

BIBLIOGRAFIA

Castellari, Marco. Dei molti inferni. La shoah, Dante e Peter Weiss, in Peter Weiss, Inferno. Testo drammatico e materiali critici, tradotto e a cura di Marco Castellari, Milano, Mimesis, 2008;

De Angelis, Enrico, Peter Weiss. Autobiografia di un intellettuale, Bari, De Donato editore, 1971;

Dolei, Giuseppe, “Tu duca, tu segnore e tu maestro”. Dante come compagno di resistenza nell’esilio di Peter Weiss”, in «Strumenti critici», 1 (2008), pp. 55-74;

Müllender, Yannick, Peter Weiss’ Divina Commedia-Projekt (1964-1969). “…läßt sich dies noch beschreiben”. Prozesse der Selbstverständigung und der Gesellschaftskritik, St. Ingbert, Röhrig Universitätsverlag, 2007;

Weiss, Peter, Esercizio preliminare per il dramma in tre parti divina commedia, in Peter Weiss, Inferni, Auschwitz, Dante, Laocoonte, trad. it. di Anna Pensa, Napoli, Cronopio, pp. 25-42;

Weiss, Peter, Conversazione su Dante, in Peter Weiss, Inferni, Auschwitz, Dante, Laocoonte, trad. it. di Anna Pensa, Napoli, Cronopio, pp. 43-71;

Weiss, Peter, Notizbücher 1971-1980, 2 voll., Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1981;

Weiss, Peter, Notizbücher 1960-1971, vol. II, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1982.

SITOGRAFIA

Baccarini, Irene, Tra Dante e Peter Weiss: per un’estetica della memoria:
http://web.lettere.uniroma2.it/apache2-default/informazioni/index.php?option=com_content&task=view&id=139&Itemid=203
;

Cappellotto, Anna, Metafore del trauma nell’iconografia di Peter Weiss, in «Elephant&Castle», 2 (2010) (Forme del sacro, a cura di Raul Calzoni): http://193.204.255.75/elephant_castle/web/saggi/metafore-del-trauma-nell-iconografia-di-peter-weiss/33;

Castellari, Marco, L’inferno della verità. Gli ipertesti danteschi di Peter Weiss e i loro archetipi visuali, in «Elephant&Castle», 2 (2010) (numero monografico Forme del sacro, a cura di Raul Calzoni); rivista online: http://193.204.255.75/elephant_castle/web/saggi/l-inferno-della-verita-gli-ipertesti-danteschi-di-peter-weiss-e-i-loro-archetipi-visuali/38;

Internationale Peter Weiss Gesellschaft. Aktuelles – Der Autor – Die Gesellschaft – Das Jahrbuch:
http://www.peterweiss.org/.

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