di Silvia Scialanca
Nella categoria: HOME | Articoli critici
• Introduzione
• Perché un così grande interesse
per Dante?
• L'indicibilità in Dante e Weiss
• Quale cantina ha maggiormente influenzato Weiss?
• I tre regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso
• Bibliografia e sitografia
|
Dante Alighieri è stato un vero e proprio modello
per lo scrittore tedesco Peter Weiss, un punto di riferimento
importante dal 1963 fino ai suoi ultimi giorni. Il grande influsso del
poeta fiorentino è rintracciabile soprattutto nel Divina Commedia-Projekt (Progetto
Divina Commedia), ovvero in quell’ambizioso progetto iniziato
nel 1964 e terminato con la Dante-Prosa nel 1969. Si tratta
di un lavoro più volte accantonato e ripreso, ma in realtà mai
portato a compimento, che in Germania è stato ampiamente studiato,
mentre in Italia si registra una certa attenzione soprattutto dal 2008
con la traduzione e pubblicazione del dramma Inferno.
Con
il Progetto Divina Commedia Weiss tentò di fornire
una rappresentazione universale del mondo moderno seguendo il classico
schema dantesco. Inferno, la prima parte
della pensata trilogia formata da 33 canti, venne conclusa nel 1964,
ma pubblicata postuma solo nel 2003; di Purgatorio, che
non venne mai scritto, non ci restano che degli schizzi e appunti,
e Paradisodivenne poi l’opera autonoma L’Istruttoria,
appartenente al genere del teatro documentario e scritto dopo aver
partecipato alle sedute del processo di Francoforte. Lo scrittore
tedesco tentò poi di riprendere in prosa il Progetto Divina
Commedia, con il Dante in prosa nel
1969, il quale in realtà è solo un frammento
di 12 canti di Inferno che concluse definitivamente il tentativo
di rielaborazione del capolavoro dantesco. Importantissime sono inoltre
le due opere preliminari al Progetto Divina Commedia, definite
da Marco Castellari due “paratesti del progetto” [nota
1],
ovvero la Vorübung zum dreiteiligen
Drama divina commedia (L’Esercizio preliminare
per il dramma in tre parti divina commedia[nota 2])
e il Gespräch über Dante(Conversazione
su Dante [nota 3]),
che rappresentano la prima fase di appropriazione e attualizzazione
del nostro poeta [nota 4].
Questi due testi sono fondamentali perché mettono in risalto
le numerose difficoltà derivanti dalla lontananza storico-culturale
tra i due scrittori, nelle quali si imbatté Weiss durante la
stesura dei vari abbozzi.
L’influsso di Dante si riscontra però anche in altre sue
opere importanti non appartenenti al Progetto Divina Commedia,
come la Cantata del fantoccio lusitano (1967), il Discorso
sul Viet Nam (1968), Trotskij in esilio (1970), fino alla
monumentale Estetica della resistenza, che è l’ultimo
grande confronto tra Dante e Weiss e dove secondo Giuseppe Dolei Dante
diventa il “compagno di resistenza.” [nota 5]
Perché un così grande interesse per Dante?
L’interesse iniziale di Weiss per Dante deve essere stato motivato soprattutto da:
Interessante
per capire perché Weiss dedicò gran parte
della sua vita a Dante è la lettura di alcuni stralci della Conversazione
su Dante: lo scrittore tedesco vivendo in un mondo
nichilista, in cui si credeva non esistessero più valori
e punti di riferimento certi, né una giustizia suprema, dove niente
sembrava avere più senso e né alcun miglioramento possibile,
vide in Dante e nella sua rigida e schematica visione del mondo un modello
per cercare di superare il fallimento creatosi “all’interno
di quell’ideale di bellezza” [nota 9].
Inoltre il poeta fiorentino deve averlo stimolato a ricercare la verità storica [nota 10],
per dare così un senso e uno scopo alla propria vita e alla propria
attività di scrittore, andando però alla ricerca dell’unico
Dante possibile nel Novecento: “Un Dante odierno, un Dante senza
pregiudizi, un Dante libero da dogmi religiosi” [nota 11],
ovvero “un Dante realista” [nota 12]. Così come
il nostro poeta aveva trovato il coraggio di criticare tutta la società del
suo tempo, dalla curia ai politici, anche Weiss aveva lo stesso obiettivo,
perché: “È facile trasferire i rappresentanti delle
istituzioni dal tempo di Dante nel mio presente.” [nota 13] Essi
infatti sono sempre gli stessi e i loro intrighi sempre in agguato.
Giuseppe Dolei [nota 14] mette
inoltre in evidenza che Weiss si fosse interessato al poeta fiorentino
poiché entrambi credevano nell’imprevedibilità dell’arte,
in quanto è impossibile che essa rimanga entro i limiti di un
fine prestabilito e di cui nessuno può programmare davvero gli
esiti. Ecco perché Weiss lesse e interpretò la Commediadal
punto di vista del mondo moderno: “Quel Dante posso accoglierlo
nel mio mondo odierno e lì posso affrontarlo e cambiarlo.” [nota 15] Egli
quindi:
Come ha fatto notare Baccarini [nota 16], dalla Göttliche Komödie si passava quindi ad una “gottlose Komödie” [nota 17], ovvero “una commedia senza Dio” tipicamente novecentesca.
L’indicibilità in Dante e in Weiss.
Il problema dell’indicibilità in Dante si
rintraccia soprattutto nella cantica Paradiso,
poiché è in questo regno che il poeta fiorentino viene
continuamente sopraffatto da luci, suoni e musiche, che lo rendono impotente
e muto di fronte alla bellezza e armonia divina. Però grazie alla
sua grande fiducia nelle possibilità espressive
della lingua e alla sua incrollabile fede in Dio riuscì a
superare questa impasse trasmettendo così la sua visione
dell’aldilà.
Bisogna però ricordare che anche nell’Inferno e
nel Purgatorio Dante lamenta spesso la mancanza
di parole per descrivere ciò che vede. Quindi siamo portati a
chiederci:
Quale cantica ha maggiormente influenzato Weiss?
La risposta la si trova in alcuni stralci della già citata Conversazione
su Dante [nota 18] nei
quali specifica di non essere riuscito a leggere la Commedia per
intero, ma di conoscere bene solo l’Inferno, del Purgatorio solo
i gironi più bassi, perché “poi il poema si perde
sempre più nell’indistinto” [nota 19],
e di non avere i fondamenti teologici e filosofici per capire il Paradiso: “A:
[…] Leggo un verso qui e là, capisco le parti finali, dove
Dante continua a ripetere che gli viene meno la voce, che gli mancano
le parole per descrivere la sua condizione. È un buon materiale
per esercizi mentali e revisioni.” [nota 20] Da
queste poche righe emerge dunque che Weiss si concentrò soprattutto
sull’Inferno dantesco, portandoci così ad affermare
che la sensazione di indicibilità provata dallo
scrittore tedesco sia soprattutto avvicinabile e comparabile alla
sensazione di impotenza linguistica provata da Dante
in molti canti dell’Inferno. Un altro
punto in comune è che così come Dante termina alcuni canti
dell’Inferno con lo svenimento del protagonista,
per indicare l’impossibilità nel procedere nella narrazione
a causa di temi che lo colpiscono particolarmente e di cui è difficile
riferire, anche Weiss introdusse nel canto V del suo
dramma Inferno lo svenimento del protagonista.
Per quanto riguarda invece le frequenti dichiarazioni di impotenza
espressiva di Dante in molti canti del Paradiso,
in Weiss – come nota Dolei – possono fungere solo da commento “alla
difficoltà di rappresentare la condizione dei deboli e degli oppressi
di oggi, ideali discendenti delle anime beate della terza cantica.” [nota 21] Vedremo
infatti che il Paradiso di Weiss alla fine verrà “sommerso
da un inferno, per il quale mancano le parole.” [nota 22]
Con Baccarini [nota 23] possiamo
quindi dire che Dante è stato per lo scrittore
tedesco un modello imprescindibile, in quanto rappresentava
per lui la possibilità dell’arte, essendo
riuscito a dare voce all’indicibile e all’ineffabile e a
sconfiggere l’indescrivibilità delle tremende visioni infernali
ed io aggiungerei anche delle immagini celestiali e spirituali; è per
questo dunque che può essere assunto a modello della poesia moderna.
La modernità di Dante, secondo la studiosa, sta
anche nell’essersi confrontato con tutte le possibilità della
poesia in una perenne sfida con il silenzio, il quale è strettamente
collegato alla memoria, perché è impossibile
dire ciò che sfugge ai nostri ricordi. La parola e
la memoria sono infatti indissolubilmente legate l’una
all’altra anche in Weiss, per lui però, a differenza di
Dante, non era necessario solo ricordare per dire, ma soprattutto dire
per ricordare, [nota 24] perché tutto
quell’orrore non poteva cadere nell’oblio.
Il problema dell’insufficienza della lingua in Weiss non è però soltanto
connesso all’indicibilità degli orrori di Auschwitz,
ma anche al fatto di non avere una precisa identità nazionale
e quindi linguistica proprio a causa dell’emigrazione. È soprattutto
nei suoi due romanzi autobiografici degli anni Sessanta Congedo dai genitori (1961)
e Punto di fuga (1962) che Weiss iniziò a riflettere sulla
lingua, mostrando il doppio shock subito: l’essersi
reso conto di non possedere una lingua materna e il doverla apprendere ex
novo. Bisogna inoltre ricordare che il suo lento processo di apprendimento
e riconquista della lingua materna, ovvero il tedesco, venne preceduto dalla
sua attività di pittore e regista.
I tre regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Nell’Esercizio preliminare per il dramma in tre parti divina commedia Weiss ci fornisce la sua interpretazione delle tre “località” ultraterrene dantesche, che per lui erano invece tutte terrene:
L’Inferno / ospita tutti quelli che secondo il Dante di una volta / erano condannati a una pena infinita, e oggi, però, / dimorano qui tra noi, i vivi, portando avanti / impuniti i loro misfatti, e vivono appagati, / con i loro misfatti, incensurati, ammirati da molti. Qui / tutto / è saldo, oliato, garantito, non si dubita di niente, e ogni / sofferenza / viene scrollata via. Soltanto a noi, che presumiamo / di non farne parte, e siamo invece legati a loro con il / nostro / sconforto, con la mancanza di vigore per poterli spodestare, / essi fanno paura. Vediamo i loro intenti, vediamo da dove / vengono / e vediamo la meta che si sono prefissati, e dobbiamo / restare qui, loro alleati, finché li lasciamo fare. / Il Purgatorio, poi, / è la terra del dubbio, dell’errore, dei tentativi / falliti, la terra dell’irresolutezza e dell’eterno conflitto, ma / almeno lì c’è il movimento, c’è l’idea che la situazione / possa cambiare, anche se pare impossibile squarciare / la membrana che serra ogni nostra emozione. Qui / nel Purgatorio, se ci penso, sento la musica / degli ultimi balli, e vedo gli spettacoli sempre mutevoli / del grande mercato, spazzato dagli slogan e dal respiro / infocato della concorrenza. Allegramente chiassosa / bisognerebbe mostrare la produzione, dove tutto / si può avere in serie, e tutto in serie / ridiventa spazzatura, con ghigni rabbiosi / infurierebbe la lotta, attizzata / da oscene corifee di plastica luccicante e da robot / elettronicamente comandati, e qui, in una quotidianità dove / già il risveglio al mattino finirebbe sotto una tempesta / di colpi taglienti, e dove poi, di ora in ora, verrebbe fiaccata / l’attenzione e accentuato lo sforzo per sopravvivere, qui bisognerebbe pretendere che uno / scopra le carte, qui bisognerebbe fare domande / che esigano una decisone. Vedevo chiaramente il / paesaggio del Paradiso, / dove hanno casa quelli cui Dante un tempo assegnò la / beatitudine. Oggi, / che non si parla più di ricompensa e si valuta soltanto / la sofferenza patita, non rimane al viandante / che comunicare ciò che ha appreso / di quella sofferenza. E si troverà davanti la desolazione / più completa, gli spazi celesti non saranno / che vuoto, e non si può rappresentare niente dentro quel / vuoto, giacché / l’Alighieri di oggi dovrebbe mettere da parte il gioco / d’illusioni, non può / ridestare i morti, non possiede nient’altro che la realtà / di parole che adesso si possono ancora pronunciare, ed è / compito suo / trovare quelle parole e farle vivere, nel vuoto più assoluto. / Ma / in che modo? Soltanto come voci, nel buio, oppure / nella luce accecante, senza bocche né volti, prive di corpo, / ma / non sarebbe anche questa di nuovo un’illusione? Dette, / forse, / da testimoni, come li vidi io, davanti alla corte: entravano / uno alla volta, / cercando nella memoria tracce del tempo in cui erano stati / scelti / per un’esistenza paradisiaca, gli ultimi, cui era concesso / ancora / di parlare, dopodiché ci sarebbe stato soltanto / il definitivo silenzio? Erano soltanto in pochi, quasi / sparivano / davanti alla supremazia di coloro cui erano sfuggiti e che / troneggiavano tronfi su di loro, contestando ogni loro / parola e / ritorcendogliela contro, come se fossero sempre loro, i / pochi, / a dover essere condannati. [nota 26]
Weiss quindi non rappresentò nel suo dramma Infernoil
mondo dei campi di concentramento, come spesso avveniva ed avviene nella
letteratura sulla Shoah, ma preferì rappresentare la Germania
del dopoguerra, dove coloro che avevano aderito al nazismo continuavano
a vivere tranquillamente avendo anche posti di potere: i malfattori di
quei recenti crimini erano ancora vivi e dovevano essere puniti finché erano
ancora in vita. Il Purgatorio è invece
il mondo moderno dominato dalla concorrenza, dalla produzione
seriale, dall’egoismo e dalla corruzione, in cui ognuno cerca a
tutti i costi di sopravvivere in un mondo in continua evoluzione. Marco
Castellari [nota 27] ha
messo in evidenza che in questo regno si sarebbe dovuto rappresentare
il dubbio dell’intellettuale e dell’artista tipico della
produzione di Weiss proprio negli anni Sessanta. Un purgatorio quindi
che mostrerebbe “un’umanità ridotta
allo stremo, la quale […] dovrebbe scoprire le carte e mettere
sul tappeto le questioni decisive del suo futuro. […] Si tratta
insomma di un purgatorio che, lungi dal promettere una prossima beatitudine,
minaccia di sprofondare nella dannazione dell’inferno.” [nota 28] Il Paradisoè invece
dedicato alle vittime della Shoah, definite voci nel buio avvolte da
una luce accecante, senza volti, né corpi, solo voci degli
ultimi testimoni “scelti per un’esistenza paradisiaca” prima
del silenzio assoluto. È proprio in questo regno che la struttura
dantesca viene completamente rovesciata. Ci troviamo infatti di fronte
ad un paradiso senza Dio, senza angeli né beati, perché, “nel
mondo del DC-Projekt beatitudine e redenzione
sono ridotte al grado zero, all’assenza, al vuoto. Nulla rimane,
di conseguenza, del paradisiaco dantesco, come nulla rimane del divino
in senso lato.” [nota 29]
Anche nell’altra opera preliminare al DC-Projekt, ovvero
la Conversazione su Dante, Weiss ci fornisce
una visione e interpretazione nuova dei tre regni danteschi. Prima però è bene
ricordare che in questo testo, scritto nel 1965, Weiss propose un’evoluzione
da un “dramma tedesco” centrato sulla divisione
tra “vittime” e “carnefici”,
al quale aveva fatto riferimento nel 1964 nell’Esercizio preliminare e
realizzato nella stesura del dramma Inferno, a un “teatro
del mondo universale” dove i protagonisti diventavano
gli “oppressi” e gli “oppressori”.
Proprio in questa evoluzione Yannick Müllender [nota 30] riconosce
il principale cambiamento apportato al progetto nella seconda metà del
1965, quando lo scrittore tedesco assunse pubblicamente posizioni
anticapitaliste e antimperialiste con la pubblicazione delle 10
note di lavoro di un autore nel mondo diviso, ribadite poi nel celebre
discorso I Come out of My Hiding Place del 1966. Auschwitz arrivò così a
rappresentare tutte le persecuzioni e gli stermini perpetrati dagli stati
capitalisti.
I punti principali che possiamo estrapolare dalla Conversazione su Dante sono
i seguenti:
A: […] Chi è Beatrice per me? Un amore di gioventù, con il quale non osai mai fermarmi. Poi arrivò il terrore politico. La guerra. Fui bandito, andai in esilio. Beatrice rimase laggiù. Non seppi più niente di lei. Se avessi avuto il coraggio l’avrei portata con me nella fuga. Che ne fu di Beatrice? Avrei davvero voluto vivere con lei? Beatrice morì. Forse fu uccisa. Col gas, forse. Da tempo era diventata cenere e io mi raffiguravo ancora la sua bellezza. Forse oggi per Dante sarebbe pressappoco così. [nota 38]
Si tratta in realtà della sua amica di gioventù, Lucie Weisberger, morta nel campo di concentramento di Theresienstadt, nei confronti della quale provò sempre un forte senso di colpa. Afferma inoltre che un Dante dei suoi tempi potrebbe vedere in Beatrice solo una morta e saprebbe che nessun tipo di morte presuppone una ricompensa, perché ci si può solo chiedere come si muore sulla terra. [nota 39]
B: Il Paradiso come luogo concreto del nostro mondo.
Ciò significherebbe una descrizione di coloro che secondo Dante
erano ritenuti degni di una condizione paradisiaca. Una descrizione dei
suppliziati e degli oppressi.
A: […] Come nell’Infernorappresenta
i potenti di questo mondo nelle loro roccaforti, mettendo in evidenza
che il loro dominio è ancora intatto, così nel Paradiso ci
presenta i beati, che aspettano ancora la liberazione. E oggi saprà che
questa liberazione può esserci per loro soltanto qui, quando sono
vivi, e che non gli serve a niente quando sono morti. Qualunque cosa
descriva, per quanto indecifrabile e ignota, deve descriverla con parole
che ne chiarifichino l’ubicazione terrena. [nota 40]
Nella Conversazione su Dante lo scrittore mette infatti in evidenza come il male sia parte integrante di questo nostro mondo e di ogni epoca, e come l’inferno sia quindi la “località” più adatta per rappresentare e criticare il presente, ma anche il passato, senza doverlo trasferire in una realtà ultraterrena per lui inesistente:
A: […] Ma cosa sono quei peccatori? Denunciano un’inerzia nella quale egli [Dante] incappa di continuo. Quelle figure simboleggiano l’ottusità e la cecità. […] Per me la presentazione di quella condizione nella quale tutto si svolge sempre tutto uguale, è una sfida alla necessità di ravvedersi finalmente. Ma guardate cosa succede qui! Dante strania il male, trasferendolo nell’abbandono di una landa sotterranea. Così facendo mostra: voi non volete vedere, non volete capire quello che succede qui sulla terra. […] Leggendo l’Inferno, vedo costantemente dietro quelle visioni ciò che avviene qui tra noi. [nota 41]
Un inferno quindi il nostro, proprio come quello di Dante, la cui caratteristica principale sembra essere la fissità, un mondo in cui la gente non vuole né vedere né capire e dove sembra non esserci mai ravvedimento e miglioramento: “Ciò che è terribile qui è che sempre, in ogni epoca, gli uomini dovevano farsi stritolare dal potere più forte.” [nota 42]
Articolo tratto dalla tesi di laurea di II livello in
Letteratura tedesca:
“Con quel Dante posso parlare”.
Dante Alighieri nell’opera di Peter Weiss.
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne dell’Università della
Tuscia
A.A. 2009/2010
Castellari, Marco. Dei molti inferni. La shoah, Dante
e Peter Weiss, in
Peter Weiss, Inferno. Testo drammatico e materiali critici, tradotto
e a cura di Marco Castellari, Milano, Mimesis, 2008;
De Angelis, Enrico, Peter
Weiss. Autobiografia di un intellettuale, Bari,
De Donato editore, 1971;
Dolei, Giuseppe, “Tu duca, tu segnore
e tu maestro”.
Dante come compagno di resistenza nell’esilio di Peter Weiss”,
in «Strumenti critici», 1 (2008), pp. 55-74;
Müllender,
Yannick, Peter Weiss’ Divina Commedia-Projekt
(1964-1969). “…läßt sich dies noch beschreiben”.
Prozesse der Selbstverständigung und der Gesellschaftskritik,
St. Ingbert, Röhrig Universitätsverlag, 2007;
Weiss, Peter, Esercizio
preliminare per il dramma in tre parti divina commedia, in Peter
Weiss, Inferni, Auschwitz, Dante, Laocoonte, trad.
it. di Anna Pensa, Napoli, Cronopio, pp. 25-42;
Weiss, Peter, Conversazione
su Dante, in Peter Weiss, Inferni,
Auschwitz, Dante, Laocoonte, trad. it. di Anna Pensa, Napoli,
Cronopio, pp. 43-71;
Weiss, Peter, Notizbücher 1971-1980,
2 voll., Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1981;
Weiss, Peter, Notizbücher
1960-1971, vol. II, Frankfurt
am Main, Suhrkamp, 1982.
SITOGRAFIA
Baccarini, Irene, Tra Dante e Peter
Weiss: per un’estetica
della memoria:
http://web.lettere.uniroma2.it/apache2-default/informazioni/index.php?option=com_content&task=view&id=139&Itemid=203;
Cappellotto, Anna, Metafore del trauma nell’iconografia di
Peter Weiss, in «Elephant&Castle», 2 (2010) (Forme
del sacro, a cura di Raul Calzoni): http://193.204.255.75/elephant_castle/web/saggi/metafore-del-trauma-nell-iconografia-di-peter-weiss/33;
Castellari,
Marco, L’inferno della verità. Gli ipertesti
danteschi di Peter Weiss e i loro archetipi visuali, in «Elephant&Castle»,
2 (2010) (numero monografico Forme del sacro, a cura di Raul
Calzoni); rivista online: http://193.204.255.75/elephant_castle/web/saggi/l-inferno-della-verita-gli-ipertesti-danteschi-di-peter-weiss-e-i-loro-archetipi-visuali/38;
Internationale
Peter Weiss Gesellschaft. Aktuelles – Der Autor – Die
Gesellschaft – Das Jahrbuch:
http://www.peterweiss.org/.
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