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Anna, Medea e la vendetta
Una riflessione girardiana sul matrimonio partendo dal romanzo "Anna Karenina" di Tolstoj

di Rosario Frasca

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Maschio o femmina secondo natura; donna o uomo per libera scelta.
Riflessioni e approfondimenti dalla discussione del Gruppo di lettura  Anna Karenina, di Lev Tolstoj.

Rosella apre la discussione motivando la proposta di lettura:

"ho proposto Anna Karenina perchè mi interessava analizzare la situazione della donna, in un dato periodo e in un ambiente a me ignoto." 

Le riflessioni che seguono prendono queste parole di Rosella come linea guida. Parlando e scrivendo di Anna Karenina parliamo e scriviamo della situazione della donna "tout court"; il periodo e l'ambiente, in queste riflessioni, non sono sono stati presi in considerazione più di tanto, solo quelli strettamente legati alle situazioni romanzate in cui la donna, qualsiasi donna, agisce o agirebbe il suo ruolo di amante, moglie e di madre.

L'analisi dei personaggi dei romanzi e dei loro autori, è fatta alla luce degli insegnamenti di René Girard sul desiderio mimetico triangolare, assegnando ad ogni situazione romanzesca i tre elementi del triangolo mimetico:

  1. il soggetto che desidera,
  2. l'oggetto del desiderio,
  3. il mediatore del desiderio.

"Menzogna romantica e verità romanzesca" e "Shakespeare il teatro dell'invidia" sono i testi di René Girard presi a sussidio per supportare e sopportare le analisi mimetiche.

1. Anna Karenina e la vendetta

Mihi vindicta: ego retribuan. - Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. (Rm 13, 19). - Son io forse al posto di Dio? (Gn 50, 19). - Mia sarà la vendetta e il castigo, quando vacillerà il loro piede! (Dt 32, 35).

La chiave di lettura al romanzo "Anna Karenina" (da qui AK) di Tolstoj, è presa dalla lettera ai Romani dell'apostolo Paolo. A sua volta questa frase di Paolo, richiama altre frasi bibliche, del Deutoronomio e della Genesi, che vedono in Dio l'unico attore della giusta vendetta. Non è l'uomo, quindi, a poter ripagare il male con giusta vendetta ma Dio: l'Unico che può vendicare e ricambiare il male con il bene; superando così la legge umana, che ripaga male con male; (l'antica legge del contraccambio: occhio per occhio dente per dente).

Le vicende narrate in AK sono ispirate all'antica vendetta umana, tanto da suggerire il parallelo letterario con il mito di Medea, che della vendetta ne fa vittoria; invece, in AK, la vendetta non appagata, costringe al suicidio la protagonista. Le riflessioni che seguono riguardano il vincolo coniugale e l'aspetto vendicativo di chi si trova e si sente costretto ad agire in una società che si fonda e si regola sul matrimonio e sulla famiglia prima cellula fondamentale.

2. La sacralità del matrimonio

La sacralità del matrimonio non è una innovazione religiosa, ma era già riconosciuta nelle più antiche civiltà che ricorrevano ai miti come quello di Medea, per educare e regolare moralmente la comunità.

Nel romanzo AK, la protagonista, nel compiere l'adulterio, motivata dal risentimento verso il marito Aleksjej, si vendica perché abbandonata nella solitudine dallo stesso, troppo occupato a seguire la carriera politica; ma il ri-sentimento di vendetta di Anna è anche di genere; è cioè, rivolto anche verso suo fratello, che tradisce continuamente la moglie Dolly; è Dolly, infatti che ha chiesto consiglio ad  Anna per superare l'umiliazione e lo sconforto per i continui tradimenti del marito.

Riporto l'intervento nella discussione, relativo al cedimento adulterino di Anna verso Vronskij:

Cap XX - XXIV - Il ballo scopre il gioco di Anna e Vronskij agli occhi di Kitty che, sollecitata dalla madre, ha indirizzato le sue attenzioni a Vronskij. Al ballo se ne pente e capitola affranta nello sconforto.
Anna era il suo modello irrangiungibile e ora è diventata la sua rivale per la conquista di Vronskij. Non c'è competizione, Anna ha la meglio e Kitty capitola da subito nella depressione.
La debolezza di Anna è la superficialità e l'ipocrisia dei suoi aristocratici ed elettivi legami mondani; oltre alla piatta quotidianità delle relazioni famigliari (coniugali e materne). Il marito è concentrato sulla carriera e mette la famiglia in secondo piano; ciò genera in Anna un'intima insoddisfazione che sfocia nel desiderio di “liberarsi” in legami totalizzanti e passionali che la coinvolgano con tutta l'anima. Il desiderio nasce in treno, dapprima latente in occasione dello scambio di battute con la madre di Vronskij. e nel successivo l'incontro con il conte stesso, poi esplode in tutta la sua intensità al ballo di Kitty.
Kitty, che vedeva in Anna il modello di donna da imitare, ne diventa, suo malgrado, la rivale in amore per la conquista di Vronskij. Il rapporto mimetico di partenza si trasforma in rapporto competitivo per il quale Kitty, data la sua giovane età, non si sente pronta. La principessina, quindi, si chiude in se stessa e si lascia logorare dalla depressione.
Kitty, con la sua gioia di vivere e la forza prorompente del suo giovanile desiderio di essere la prescelta di Vronskij, è invece il motivo scatenante del desiderio di libertà di Anna. Un subdolo e portentoso desiderio che si impadronisce del corpo e dell'anima; Anna vuole essere la corteggiata; non Kitty ma lei vuole essere la preda ambita. Un desiderio potente che è destinato a sfociare in una vera e propria passione.
Anna vuole vivere un amore totale e adolescenziale e la principessina Kitty ne fa le spese.

La sacralità del matrimonio. Cosa vuol dire "sacro", lo si capisce dalla definizione di sacrificio (Marco Porta - L' enigma del sacro - Ed. G. Landolfi), che ne spiega efficacemente l'alterità rispetto alla realtà comune, de-finita dallo scorrere del tempo:

"Il sacrificio (Sacer-facere) é l'atto che rende "sacro" un tempo, uno spazio, un oggetto, che da quel momento é separato dalla realtà comune, la quale diviene perciò "profana"(pro-fanum, davanti o fuori dal tempo)".

Quindi il matrimonio religioso è la con-sacrazione (eterna) del vincolo coniugale tra l'uomo e la donna; da ciò ne consegue quella indissolubilità di vincolo in contrasto con quello umano-giuridico, ("variabile" nel tempo); indissolubilità sancita nel sacramento del matrimonio.

AK evidentemente, non è una fervida credente, a differenza di sua cognata Dolly, che reagisce in tutt'altra maniera nei confronti dei continui tradimenti del marito. La solitudine in cui il marito costringe Anna, negandole l'amore coniugale, (ovvero tutte quelle attenzioni proprie di una relazione amorosa), la fa sentire in una condizione di abbandono e genera in lei quell'irresistibile desiderio d'amore che troverà appagamento tra le braccia di Vronskij.

La scelta adultera di Anna (Mihi vindicta: ego retribuan) è la sua vendetta contro il marito che, di fatto, è venuto meno alla promessa coniugale, anche se non ne era consapevole. Il sacramento è così spezzato e reso vano dal desiderio femminile d'essere amata dall'uomo: se il marito non la ama né la rispetta, c'è pronto il conte Vronskij, uomo anche lui, che arde dal desiderio di possederla. La sacralità del matrimonio, per AK, può rivolgersi altrove.

Nel compiere la vendetta, Anna si ritrova nella situazione tragica di dover obbedire a imperativi naturali ineludibili che, nel proposito di vendetta, entrano in conflitto tra loro: la maternità, la femminilità, il libero arbitrio (rispetto alle norme sociali e morali). Tre direttrici comportamentali divergenti, fardelli pesanti e insostenibili che la porteranno alla morte più tragica del mondo: il suicidio.

3. I caratteri inalienabili della donna

A) Maternità

La maternità è caratteristica propria della donna-femmina; ed è essenziale per la sopravvivenza della specie umana. AK, certo, non pensa a questa matura essenzialità femminile - la maternità - concedendo il ballo a Vronskij; Ak ha un'adorazione per la nipote Kitty che desidera Vronskij come pretendente; si lascia condurre dal "desiderio mimetico (altrimenti chiamato invidia) e si con-cede ai vortici danzanti di Vronskij. Con quel cedimento Anna diventa rivale della nipote per il possesso del comune oggetto del loro desideri: il conte Vronskij. Però, passato il momento passionale e travolgente dell'esaltazione sessuale della sua femminilità, vediamo AK dubbiosa, sofferente e depressa, nella prospettiva di perdere figlio e marito; una perdita dovuta e resa incombente dalla sua "libera scelta" di cedere alla relazione adultera con Vronskij.

B) Femminilità

La femminilità è anch'essa una caratteristica inalienabile della donna; una caratteristica visceralmente e naturalmente connessa alla maternità, essa esprime pienamente il suo potenziale relazionale nella sessualità, linfa vitale della relazione coniugale con l'uomo o più propriamente con il maschio.

Il matrimonio è l'istituto giuridico entro il quale si attua la relazione coniugale; la relazione coniugale è l'atto sociale costitutivo e fondativo della famiglia, che a sua volta è cellula fondamentale della società. Per i coniugi religiosi, il matrimonio è vincolo sacro e indissolubile (finché morte non vi separi). Dunque, per i credenti il matrimonio è "sacro".

C) Libero arbitrio

Il libero arbitrio spinge AK alla scelta adultera di usare Vronskij per appagare il suo desiderio amoroso e vendicarsi come donna verso il marito e, (per solidarietà femminile con la cognata, verso il fratello); un desiderio che agisce interiormente e alimenta l'esplosione della passione, che si rivelerà cieca ed effimera, nonostante i tentativi degli amanti per mantenerla ardente e duratura.

L'attuazione di questo desiderio naturale di "genere" femminile (sessualità) fuori dal vincolo matrimoniale, in cui è sacralizzato, genera in AK un conflitto irriducibile con il desiderio naturale di "specie" umana (maternità), anch'esso sacralizzato nel matrimonio. Fuori dall'istituzione matrimoniale, sessualità e maternità sono variabili indipendenti di una donna; possono non coesistere in un'unica relazione ovvero la sessualità può essere attuata in una relazione coniugale diversa da quella in cui è attuata la maternità; la donna si trova così, in relazione con due uomini distinti: il maschio di sesso, cioè l'amante, per la sessualità; il maschio di ruolo, cioè il padre del proprio figlio, per la maternità. Una situazione difficile da gestire "moralmente", in una società che non prevede queste deroghe al vincolo sacramentale del  matrimonio e che ha come fondamento morale la formula "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo", senza andare fuori di testa.

La società è fondata e organizzata sul matrimonio e la famiglia; chi sceglie di starne fuori per essere "libero" di appagare i propri desideri "istintivi e distintivi" (maternità, femminilità, mascolinità, paternità) con chi vuole, quando vuole e dove vuole, o resta emarginato ed isolato - in balia della folla e probabile "capro espiatorio" di tutta la comunità - o diventa asceta, mistico, monaco o profeta di una sua nuova società fondata sulla libertà personale e individuale; basta esserne consapevoli e tutto potrà essere moralmente giustificato; ma siamo al caos.

Anna Karenina si trova dunque, in balia di tre forze di genere, inalienabili, interferenti e interconnesse tra loro; ovvero maternità, femminilità e libertà (o libero arbitrio). La dissociazione causatale dalle tre forze distinte, divergenti e conflittuali, la conduce alla soluzione "tragica" del suicidio. Quando in una donna entrano in conflitto maternità e sessualità, esso può essere risolto o con la morte fisica o con il concorso attuativo dei caratteri in conflitto (sessuale e materno) nell'univocità della relazione coniugale socialmente riconosciuta ovvero nel matrimonio.

4. Il mito di Medea

"Se, di solito, la tragedia classica presenta due personaggi in conflitto, ciascuno portatore di un ben preciso ordine di vedute, Medea contiene, dentro di sé, quasi due figure contrastanti: una vorrebbe uccidere i figli, l’altra li vorrebbe risparmiare. La sua è una mente scissa e conflittuale. Alla fine dell’opera, però, la donna appare convinta di ciò che ha fatto e in atteggiamento vittorioso, tanto da volare addirittura via su un carro divino." (Wikipedia)

Nel mito di Medea la vendetta vittoriosa mette sul carro i corpi senza vita dei figli uccisi dalla madre, per vendicare il ripudio subito da Giasone e l'esilio deciso dal re Creonte, futuro suocero di Giasone, padre dei suoi figli; Medea impedisce così al ripudiante Giasone di contare su una successione filiale al trono regale; Medea, infatti, uccide anche la futura sposa di Giasone, motivo palese del ripudio. Questo fatto della successione al trono regale come causa di assassinii efferati e disumani (omicidi, suicidi, ecc.), ha epigoni famosi nella letteratura e costituisce uno dei momenti più critici e "ciclici", dei rapporti tra potere temporale e potere morale (religioso).

Oggi nelle civiltà occidentali la vendetta è considerata, da un punto di vista religioso, una piaga sociale. Spesso nell'atto vendicativo si nascondono, dietro il velo della giustizia, risentimento e odio che inquinano e corrompono l'atto giusto. Con parole diverse è come dire che la giustizia è usata come alibi per compiere atti di odio scaturiti in realtà dal risentimento per un'offesa ricevuta o dall'invidia, o rabbia (invidia impotente), ecc. Con il Cristianesimo è intervenuto il perdono che potrebbe essere definito "il volto amorevole" della giustizia.

Il mito di Medea, seppur superato dalla legge religiosa dell'amore e del perdono, mantiene comunque inalterata un'intrinseca valenza educativa: l'agire umano connota una serie di comportamenti assassini che ne attualizzano la presenza nei diversi ambiti - antropologici e sociali - agiti dalla donna occidentale: maternità, coniugalità e matrimonio, per mezzo di ricorrenti accadimenti che ci sorprendono e ci lasciano basiti per la loro inusitata crudezza ed efferatezza. Ancora imperversano, nella nostra civiltà "evoluta", femminicidi, uxoricidi, infanticidi, ecc. Non è bastato il Cristo a redimerci; il mito di Medea continua a sopravvivere ed esercitare la sua funzione pedagogica, nonostante il vangelo cristiano abbia introdotto la legge del perdono e dell'amore mediante il sacramento del matrimonio.

5. Morte di specie e morte di genere

Secondo natura ("fini naturali"), la morte di "specie" (maternità/procreazione), é più grave della morte di "genere" (femminilità/sessualità)*.

Anna Karenina lo ha capito istintivamente e, non avendo la forza di rinunciare o mortificare la sua femminilità in un matrimonio finto, si suicida per la salvezza dei figli. Anche sua cognata Dolly lo ha capito; non per istinto ma, da credente, ha scelto volontariamente l'umiliazione ovvero la mortificazione della propria femminilità, rispettando la sacralità del matrimonio.

Medea non l'avrebbe potuto capire, perché il matrimonio tra l'uomo e la donna ancora non era stato reso sacro e indissolubile dall’avvento delle leggi applicative dell’amore cristiano. Il mito di Medea, infatti, è fondato sulla giusta vendetta e non sulla indissolubilità e sacralità del matrimonio; allora e tutt’oggi, in in diverse culture, il ripudio della donna è giuridicamente consentito per la soluzione delle crisi matrimoniali. Medea ripudiata da Giasone si è vendicata sacrificando l a sua maternità: ha immolato i figli a vittime sacrificali: il sacrificio dei figli le ha reso giustizia. Il mito, infatti, la vede vittoriosa; con quello che oggi chiameremmo infanticidio, Medea attua la giusta vendetta e sale vittoriosa sul carro divino, con i cadaveri dei figli a penzoloni; figli che comunque, anche morti, sono solo suoi e di nessun altro; nemmeno del padre (Giasone che resterà "intronato" e senza discendenza).

* Maternità e sessualità, anche se sono intimamente legate nella procreazione, attualmente, sotto l'impero mediatico della teoria Gender, nella morte di "genere" hanno perso il loro univoco valore “naturale"; ovvero il sesso inteso in actus è stato isolato e diviso dalla maternità (procreazione); il "fine naturale” procreativo resta dunque giustificato solo nella “maternità"; mentre il desiderio e il piacere sessuale può essere appagato e provato in qualsiasi relazione sessuale: etero-sessuale, omo-sessuale e/o entrambi. Il sesso è stato spogliato del suo valore naturale e antropologico fino a diventare mero piacere ovvero, ridotto a semplice “merce" di scambio tra individui di qualsiasi sesso.

6. Il ruolo dell'uomo

Stia attento l'uomo a trattare la donna solo quale oggetto e strumento delle proprie ambizioni sociali e/o appagamento dell'egoistico desiderio sessuale; nella donna è fortissimo il radicamento della natura e della sacralità della vita e, quando ferita nei suoi caratteri di genere (femminilità, sessualità, maternità), diventa capace di tutto; come ricordano i versi tragici di Medea:

piena è la donna di paure, e timorosa
di fronte alla violenza, e al ferro;
ma se è offesa nel suo letto di sposa,
cuore non v'è più del suo, sanguinario.

…anche a scapito dei propri figli; anche mortificando la maternità. Medea infatti fa uccidere i figli per vendicarsi dell'offesa sponsale.

È così spiegata la necessità regolatrice di "rendere sacro" il matrimonio. Ecco il valore religioso del matrimonio come "atto sacro" (sacramento) dal quale non si può derogare, se non con la morte. L'unione tra l'uomo e la donna, che non avviene nell’amore ovvero nella sacralità, diventa un semplice atto antropologico, un accoppiamento, un patto sociale; un atto, accoppiamento o patto non soggetti al vincolo di indissolubilità connesso al "sacramento" religioso.

Da qui la deriva qualunquista del divorzio come necessità sociale che è divenuta nella pratica, "regola" (e non poteva essere altrimenti); e il conseguente depauperamento del matrimonio causato dall'aver "liberato" l'atto sociale dal sacro vincolo religioso. Il matrimonio civile tra un uomo e una donna sembra diventato una semplice "unione di fatto"; né più né meno di una unione omosessuale tra due maschi o tra due femmine regolata da un contr-atto. Le relative "famiglie" che ne corrispondono, però, non possono essere "oggettivamente" equiparabili, nel diritto regolatore. Un conto è regolare un vincolo indissolubile; altra cosa è regolare un vincolo che può essere sciolto a discrezione e/o secondo le necessità, esistenziali o meno, dei contraenti impegnati.

L'unione di fatto, con la discendenza sia naturale, sia geneticamente assistita o procurata, sia adottiva, può generare un gruppo sui generis variabile secondo necessità; il matrimonio, così come lo conosciamo, genera con la discendenza, un "gruppo giuridico unico e indissolubile" (per la sacralità del vincolo) che chiamiamo "famiglia". Il diritto di famiglia non può essere ridotto a mero diritto civile o contrattuale; ovvero un diritto che esiste e si diversifica secondo accordi preventivi o successivi presi dai contraenti.

7. Conclusioni

Le unioni di fatto non possono essere regolate dal diritto di famiglia - così come codificato nella tradizione - ma da un nuovo corpo juris che prenda in considerazione tutte le variabili dei nuovi "contr-atti" e/o unioni di fatto; le quali si diversificano sia nella natura sessuale dei contraenti (firmatari dell'atto di unione), sia nella discendenza di specie (ovvero procreazione naturale, in vitro e assistita, procreazione esterna alla coppia genitoriale, adozioni, ecc.).

È una conclusione che può diventare una proposta giuridica operativa per la protezione dei bambini che, loro malgrado, non hanno un papà e mamma secondo il codice naturale della diversità e complementarietà di genere (maschile e femminile) ma una coppia di genitori A e B che possono educarli alle differenze e proteggerli socialmente, secondo principi educativi "naturali" ovvero garantendo la loro crescita a 360° per lo sviluppo integrale della loro personalità nella libertà e nella responsabilità sociale. Maschio e femmina secondo natura; donna e uomo, non come ruolo sociale predefinito, ma per "libera scelta".

Educare alla libertà e all'uso prudente del libero arbitrio; educare alla verità e all'amore per la vita è il nobile compito di ogni educatore; in qualsiasi società e in ogni religione.

 

Chi è René Girard

René Girard è stato un antropologo, critico letterario e filosofo francese. Il suo lavoro appartiene al campo dell'antropologia filosofica e ha influssi su critica letteraria, psicologia, storia, sociologia e teologia. Ha scritto diversi libri, sviluppando l'idea che ogni cultura umana è basata sul sacrificio come via d'uscita dalla violenza mimetica (cioè imitativa) tra rivali. Le sue riflessioni si sono indirizzate verso tre idee principali: il desiderio mimetico, il meccanismo del capro espiatorio, la capacità del testo della Bibbia di svelare sia l'uno che l'altro. Secondo lui, credere all'autonomia dei nostri desideri è l'illusione romantica che è alla base di gran parte della letteratura. Scoprire la realtà del desiderio, svelare e riconoscere il mediatore, quindi accedere alla "verità romanzesca", è ciò che realizzano i grandi romanzieri.

 

Intervista a Maria Callas e Pier Paolo Pasolini sul film Medea

 

Rosario Frasca (Pozzallo, Ragusa, 18/12/1951) si trasferisce a Roma nel 1957. Compiuti gli studi tecnici, nel 1971 lavora presso un ente ministeriale dello spettacolo; nel 1972 all'INAIL di Torino e nel 1974 alla Direzione Generale di Roma. Dal 2012 è in pensione e ritorna a frequentare teatro e teatanti; e a coltivare le passioni giovanili per arte, musica, cinema e letteratura. Collabora con articoli, recensioni e discussioni nel sito di Letteratour, applicando le dinamiche del "desidero mimetico" di René Girard.

     

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