di Reno Bromuro
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2. DA PIAZZA BELLINI A PIAZZA DANTE
-
A proposito di Benedetto Croce... - dice improvvisamente
la donna al volante, rallentando l'andatura. - Una volta, alla radio,
ti ho sentito raccontare...
- Mi conosci, allora? - L'autostoppista è meravigliato.
- Certo che ti conosco! - Altrimenti mica ti avrei dato il passaggio in
macchina.
- Tu mi conosci! - Esclama gioioso: c'è ancora qualcuno che lo
ricordava,questo lo rende felice. Gli sembra che il cuore gli dovesse
scoppiare da un momento all'altro. La donna se ne accorge, ma rimane silenziosa.
Lui chiede una sigaretta, l'accende, aspira profondamente…
- Che cosa stavi dicendo? Mi hai sentito raccontare?...
- Sì, - quell'aneddoto delle campane.
- Quell'aneddoto lo ripresi dal libro "Napoli racconta"
di Giovanni De Caro. Il filosofo abitava all'ultimo piano
di Palazzo Filomarino, proprio di fronte al
Monastero di Santa Chiara e dal balcone del
suo studio, la prima cosa che vedeva era il campanile del Monastero.
"Un giorno don Benedetto stava studiando; era tanto
assorto che non si era accorto del tempo che passava. Improvvisamente
gli giunse il suono forte delle campane di Santa Chiara; aprì il
balcone con foga e si precipitò fuori, così come si trovava:
giacca da camera e libro in mano. Si rivolse al campanaro con energia,
facenne 'nu segno con la mano destra le cui punte delle dita erano unite,
come per dire: "che stai facendo?", l'altro, sempre a gesti
gli aveva risposto: "sto sunanne!". Don Benedetto aveva ribattuto
con gesti significativi: "Non puoi suonare più piano? Non
vedi che devo studiare?", il frate lo aveva guardato e con estrema
calma aveva risposto, sempre a gesti, "... e io aggia sunà!"
Ridono entrambi, come due idioti. Poi percorrono alcuni chilometri in
silenzio. E' lui a parlare per primo.
La
chiesa di Santa Chiara è una delle più
nobili del Medioevo, esistenti a Napoli. Fu eretta tra il 1310 e 1328
per volere di Sancia di Maiorca, consorte di Roberto
D'Angiò; nel Settecento la struttura originaria fu coperta
da una ornamentazione così pesante e fastosa che faceva sentir
male quando la si guardava.
- ...la si guardava? Perché, non esiste più?
- E già! - risponde laconico. - La si guardava. Mi riferivo a prima
della famosa notte dal 4-5 agosto 1943.
- Perché che cosa accadde quella notte? -Incalza lei.
- Un bombardamento. Nce cadettere 'ncoppa 'na ventina 'e spezzoni incendiari
che distruggettero tutto. Dopo la guerra 'o Munastero fuje restaurato
interamente, nelle forme originarie gotico-provenzali. Ah, l'interno!
- Esclama l'uomo. La sua voce colorata scende dentro l'anima della ragazza,
che non capisce più se è attratta dalla voce di lui o dalle
cose che descrive. - La navata unica in stile Gotico, è vasta e
imponente nella ricchezza dei monumenti sepolcrali dei reali angioini,
tra cui spicca, dietro l'altare maggiore, l'opera mastodontica che Giovanni
e Pacio Bertini costruirono tra il 1343 e il 1345, dove sono
raccolti i resti di Roberto d'Angiò. Alla sinistra della chiesa
si apre il grande chiostro delle Clarisse (ora
dimora dei Frati Minori): una di quelle meraviglie che una volta viste
non si dimenticano più. Immenso, spazioso, riposante, sembra di
essere sempre in un ambiente primaverile: le colonne e i sedili del giardino
sono ricoperte da decorazioni a piastrelle maiolicate. Quando ci penso,
invidio Domenico Antonio Vaccaro, per questa sua opera,
perché doveva vivere in un'armonia inimmaginabile. Pensa, i disegni
sulle colonne quasi si confondono con il colore delle foglie di "viti
canadese". La lunga scalinata, in fondo, è così ripida
che sembra sia solo immaginata. Non di rado, quando la si vede il pensiero
porta a Dante e al "Suo Paradiso".
Le maioliche, la scalinata, sono l'esempio più persuasivo di come
una tradizione artigiana secolare possa coniugarsi col gusto del più
moderno e puro rococò.
Un silenzio meditativo. Sempre in silenzio, lui prende due sigarette,
le accende entrambe, una la porge alla fanciulla, che dopo aver aspirato,
dice:
- Grazie, sei veramente gentile, oltre che incantatore.
L'uomo, come se non avesse sentito, sprofonda nel sedile e aspirando con
gusto il fumo, inizia a parlare come in soliloquio.
"Ed in un batter d'occhio eccoli a Napoli,
in mezzo piazza Dante".
Era una bellissima giornata di primavera del 1898, seduti ad un tavolino
sul marciapiede di via Toledo, all'angolo con via Tarsia, in piazza Dante,
davanti a due tazzine di caffè fumante, Benedetto Croce,
girava gli occhi attorno, mentre Don Salvatore leggeva.
Croce ebbe l'impressione che stesse improvvisando, specialmente quando
lo sentì dire:
"
'O Padre Eterno vutaie ll'uocchie attuorno,
scanzaie 'nu tramme, se mettette 'a lente,
e proprio come un semprice mortale
(ma però con accendo forastiero),
dice: - Sai caro, ma l'è mica male
questa vostra città! Mi fa piacere
assai di rivederla..." .
Dio! - esclama l'uomo. E spegnendo la sigaretta nel posacenere, continua
- Che bel dono hai dato ai poeti! Sanno, per l'amore che sentono per un
amico, farlo apparire un padre-eterno, solo perché lo ritengono
tale. Un fatto, che don Benedetto aveva capito, ma per modestia o per
timidezza non disse mai, né don Salvatore lo svelò ad anima
viva; né l'ha rilevato Francesco Grisi, nel suo
saggio su Di Giacomo.
L'uomo, accende un'altra sigaretta.
- Non fumare tanto, ti fa male! - dice la donna. - Ma tu piangi! - Aggiunge
meravigliata, accostando a destra e fermando l'auto. - Ohi! - Riprende,
scuotendogli amorevolmente la spalla.
- Ci stiamo andando a Napoli, perché? - Lui si asciuga gli occhi
con la mano.
- Dai, - dice sorridendo - non ci credere. Mica Piango. Sono veramente
un grande attore. Seguimi, andiamo a piazza Dante, - ma lei non si decide
a rimettere in moto.
- La ricordi tutta "Lassammo fa a Dio?"
- Ti reciterò l'ultima parte; mentre recito immagina un tavolino
con due sedie, sul marciapiede di via Tarsia, proprio di fronte al Convitto
Vittorio Emanuele, due uomini con l'aureola, uno che ascolta e l'altro
che recita.
- Dai non ti distrarre.
…
"Erano
'e ddiece e mmeza
E 'a iurnata era bela. A mille a mille
Passiàvano 'a ggente
Pe' mmiez''a strada e 'ncopp''e marciapiede;
e vedive mmiscate
femmene, uommene, grosse e piccerille,
nutricce, serve, prièvete e surdate…"
A questo punto si vedono scendere tanti angiulille cu 'nu lenzuolo immenso
e 'nce facettene saglì a tutte quante 'e puverielle e se li portarono
in cielo. La musicalità dei versi da anche la sensazione di sentire
il soffio del vento che gonfia e sgonfia questo lenzuolo grandissimo che
sembra una "mappata" che vola e saglie e saglie, mentre don
Salvatore guarda con insistenza l'emiciclo, che chiude la piazza,
- l'uomo, tira su col naso, come se volesse scacciare le lacrime che gli
serrano la gola - disegnato da Luigi Vanvitelli, e costruito
dal 1757 al 1765 in onore di Carlo III, sul vecchio Emiciclo
Carolino, detto Largo dello Spirito Santo,
rinnovò il lustro e l'importanza della piazza e della via sulla
quale si trova: via Toledo (ora via Roma). I
due palazzi semicircolari, l'uno di fronte all'altro, sono sormontati
da statue settecentesche. Quello sulla sinistra, andando verso Capodimonte,
oggi è sede della delegazione anagrafica, quello sulla destra,
confinante con Porta Alba, è sede del
Convitto Nazionale Vittorio Emanuele.
Porta Alba, che congiunge piazza Dante con piazza Bellini e via santa
Maria di Costantinopoli, non è più lunga di dieci metri,
ma in questi pochi metri trovi le librerie più antiche e tutti
i libri che popolano il mercato. Sapessi quante volte, da ragazzo, vi
sono corso per posare nelle librerie i pochi soldi del salario settimanale
di apprendista sarto.
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