di Reno Bromuro
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3. DA PIAZZA DANTE AL MUSEO ARCHEOLOGICO
Le auto sfrecciano, la forte velocità fa sobbalzare
quella ferma in una piazzola d'emergenza dove i due fumavano in silenzio.
L'uomo, gli occhi aperti nel vuoto, segue immagini che ritornano alla
memoria come le sequenze di un film sullo schermo. La donna lo guarda
come se volesse penetrargli nella mente per carpirne i pensieri. Improvvisamente
la voce dell'uomo rompe il silenzio:
-
L'antico e fantasioso popolo che abitava Monte Caponapoli,
localizzò, proprio in cima al Colle, la tomba della sirena Partenope
e in quella che era una testa muliebre e malconcia dell'età greca,
volle vedere le sembianze dell'incantatrice. Questo mito tanto grazioso
quanto micidiale fece nascere da Palepoli il sinonimo
Partenope. Mentre il nome Palepoli, rimane vivo solo nelle pagine dotte
degli archeologi, Partenope vive ancora nel linguaggio comune con il suo
aggettivo "Partenopeo".
Le parole dell'uomo afferrate dal rumore roboante dei motori, che il vento
porta lungo l'autostrada, sembrano, presi dalla scia del vento realizzato
dalle auto, ripercorrere la distanza che li separa ancora da Napoli e
il tempo trascorso.
Svoltando
a sinistra, - riprende l'uomo con la voce colma di rimpianto - dopo Porta
Alba e percorsa via Costantinopoli,
il primo palazzo che si vede, quasi all'incrocio con via Toledo,
uno dei capisaldi della toponomastica napoletana fatto costruire da Pedro
Giron duca d'Ossuna, viceré
di Napoli, nel 1585, come caserma di cavalleria, poi adibito, nel 1616,
a Università degli Studi, dal viceré
conte di Lemnos, è quello di cui intendo parlarti: il
Museo Nazionale o Archeologico, di cui è
direttore Ferdinando Russo, un altro grande Poeta napoletano.
Te ne parlerò più tardi.
Verso la metà del Settecento, Carlo di Borbone
lo adibì a Museo, avendo deciso di trasportarvi le preziose collezioni
dei Farnese di Parma, ereditate dalla madre Elisabetta,
e gli incomparabili tesori che venivano fuori dagli scavi
di Pompei, Ercolano e Stabia; per questo dopo l'unità
d'Italia gli venne dato il nome di Museo Archeologico Nazionale.
Già la maestosità architettonica della facciata fa presentire
l'imponenza delle ricchezze che conserva gelosamente.
- Questo tesoro dev'essere, indubbiamente, l'orgoglio di Napoli e non
solo di Napoli... - interrompe la ragazza tra il sognante e il realistico,
ciò la rende più sensuale e morbida.
- Sì, hai ragione - risponde convinto - è proprio l'orgoglio
di Napoli perché costituisce una delle maggiori raccolte di antichità
del mondo: un quadro mirabile ed eccezionale della civiltà e dell'arte
greco-romana.
Appena
si entra si ammira Athena, copia di una statua
di bronzo eseguita in età imperiale, probabilmente di scuola fidiaca.
Proviene dalla raccolta Farnese, come la gran
parte delle sculture marmoree del Museo. La bellezza di questa statua
esplode anche per la collocazione: avvolta da una nicchia semicircolare,
con due colonne di marmo nero ai lati, quasi a proteggere le opere d'arte
che vi sono conservate.
Tra le tante sculture, ospitate nel Museo, le prime che s'incontrano sono
quelle dei due fratelli Amodio e Aristogitone,
che durante le feste delle Panatenee, del 514
a.C., tentarono di uccidere i tiranni Ippia
e Ipparco, riuscendovi solo parzialmente. Ipparco
morì, ma il popolo non li seguì e Ippia li fece giustiziare.
Amodio e Aristogitone, non videro mai la loro esaltazione nel marmo e
nel bronzo, dopo la cacciata di Ippia, avvenuta quattro anni più
tardi. Devi sapere che queste due statue: Aristogitone,
quella di sinistra, ebbe per molto tempo una testa non sua, poi venne
cambiata con l'attuale calco di gesso da una replica che si trova al Museo
Vaticano, e Amodio a destra, sono le copie di
un gruppo bronzeo eseguito nel 477 dagli scultori ateniesi Kritios
e Nesiotes e provengono entrambe da Tivoli.
I
Dioscuri, invece, sono opera di artisti italioti
della seconda metà del V sec. a.C., adornavano un tempio Ionico
dell'antica Locri. La colonna tra i Dioscuri, i cui cavalli sono retti
da un tritone che personifica il Mare, nella parte superiore è
restaurata in gesso e proviene dallo stesso tempio di Locri. La statua
di Diomede, che si ritiene fondatore di Brindisi, Canosa
e Benevento, fu scoperta nel 1927 nella cripta sotterranea del monte Cuma,
ma anche questa è una copia bellissima dell'originale, attribuita
a Cresila. Questa meraviglia delle meraviglie, proviene
dalla Domus Aurea neroniana di Roma, apparteneva anch'essa alla collezione
Farnese. Venere Callipige è senz'altro
l'esaltazione della femminilità. Quanta grazia nell'atteggiamento,
mentre si toglie il chitone finemente pieghettato! E' anch'essa una copia
romana, eseguita molto bene, di un'originale di arte ellenistica.
L'altra scultura immensa, alta tre metri, raffigura Ercole
in riposo dopo le sue leggendarie fatiche. Viene chiamata Ercole Farnese
dalla raccolta in cui si trovava e proviene dalle Terme di Caracalla dove
venne rinvenuta insieme all'altro gruppo detto Il Toro Farnese,
che assieme al famoso Lacoonte del Museo Vaticano,
è uno dei più famosi gruppi colossali dell'antichità.
E' una copia, finemente scolpita nel Secondo secolo d.C., di un originale
ellenistico, forse di bronzo, creato da Apollonio e Taurisco di
Tralles, un paesino dell'Asia Minore. E' alta circa quattro metri
e rappresenta il mito di Dirce: Anfione e Zeto
per vendicare la madre Antiope che la matrigna Dirce aveva fatto ripudiare
dal loro padre Lico e tenere in catene. La scultura le raffigura (dopo
aver ucciso Lico), mentre si accingono a legare Dirce alle corna di un
toro che, infuriato, la trascinerà a morte per la rocciosa scogliera
del Citerone.
Il Museo ha anche una ricchissima collezione di ritratti sia greci che
romani che raffigurano filosofi, imperatori, poeti, storici e oratori,
tra cui campeggia Omero: un busto nella cui
cecità traluce una veggenza spirituale inenarrabile. Il
Fauno che era situato al centro dell'atrio della casa di
Pompei, dove è stato rinvenuto, è una tipica opera di gusto
ellenistico, di quell'ellenismo raffinato e tecnicamente perfetto, che
ha affascinato molti scultori del nostro Rinascimento. Il bellissimo Ermete
in riposo, è una delle più note e armoniche
opere d'arte bronzee appartenenti alla ricchissima raccolta della Villa
dei Pisoni; deriva probabilmente da un originale di Lisippo,
nato a Sicione intorno al 370 a.C.
Quando ti ci troverai davanti non potrai che ammirare gli effetti della
plasticità, la figura slanciata e nervosa, ricca di passaggi di
luci ed ombre. - Dice l'uomo che ha parlato sempre con gli occhi chiusi,
come a non voler perdere una sola immagine, una sola inquadratura. - Durante
l'ultima guerra - continuò - ebbe la testa danneggiata, ma è
stata restaurata con estrema perizia. Che dire, poi, della Testa
di cavallo? Fu donata da Lorenzo il Magnifico
a Diomede Carafa che la collocò nel cortile del
suo palazzo quattrocentesco di via San Biagio dei Librai,
dove rimase fino al 1809 quando l'ultimo principe di Colubrano Carafa
la donò al Museo Archeologico. Per molto tempo fu giudicata opera
del Rinascimento e attribuita a Donatello; oggi la critica
si è ravveduta e la ritiene un'opera del Terzo secolo a.C.
Il Museo Nazionale di Napoli è fondamentale per chi voglia conoscere
a fondo l'arte della pittura e del mosaico presso i romani, in quanto
la collezione lì conservata offre esempi magistrali del periodo
ellenistico, tra cui una delle composizioni più famose del mondo
è la Scena della Battaglia di Alessandro a Isso.
Ma non si possono dimenticare i magnifici dipinti pompeiani:
L'Arcadia, Ercole e Telefo, Piritoo, Ippodamia e il Centauro.
Né si può trascurare l'arte dell'arredamento tra cui spiccano
le Apparecchiature da riscaldamento, le cibarie
di scavo, il Tripode rituale (un
oggetto di bronzo di straordinaria eleganza, che proviene dal Tempio
di Iside di Pompei); apparecchi da illuminazione, da piccole
lampade ad olio a mano, alle grandi lampade a piede a più luci.
La Collezione degli Argenti annovera interi
servizi. Quello rinvenuto nella Casa di Menandro
a Pompei è composto di oltre cento pezzi, tra cui spicca il bellissimo
Vaso Pompeiano di vetro blu. Faceva parte degli
arredi rituali di una tomba. Esso è un esempio singolare di tecnica
vetraria abbinata alla glittica. E' composto di due strati di vetro, uno
azzurro scuro e l'altro bianco. Il vetro bianco fu lavorato a mano in
modo da ricavarne una suggestiva e sorprendente raffigurazione vendemmiale.
Il vaso è un capolavoro dell'arte antica ed è rarissimo
per la sua speciale tecnica. Ne esiste solo un altro al mondo, lavorato
allo stesso modo, e si trova al British Museum
di Londra, ed è conosciuto con il nome di Vaso di Portland.
Vedrai
che dopo questa visita ti porterai negli occhi, oltre a tutte le ricchezze
che avrai visto, anche quello dell'Anfora Apula,
proveniente dalla Necropoli di Canosa di Puglia
su cui sono raffigurate le esequie di Patroclo, e tutta
la raccolta della produzione vascolare dell'Italia meridionale che va
dal Settimo al Primo secolo a.C.
- E… don Ferdinando Russo era direttore di questo
paradiso? - Chiese la donna che nion si decideva di mettere in moto e
partire…
- Sì. Don Ferdinando amava molto quelle opere d'Arte che avrebbe
voluto fotografarle e garrese pure quando stava a casa, ci stava poco,
perché stava sempre a casa di qualche altro, a giocare, ma ci stava.
Devi sapere che a Napoli, tra gli artisti dell'epoca, solo don
Salvatore Di Giacomo possedeva una macchina fotografica, ma...
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