di Reno Bromuro
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6. LA GUERRA E LA PASQUA
-
Però che finezza, che sensibilità!
- In effetti, qualunque altro uomo si sarebbe comportato diversamente
da lui...
- Eh! Ma lui aveva visto gli angeli scendere in mezzo piazza Dante e avvolgere
in un lenzuolo tutti i poveri della città, tanto da farne una "mappata",
si dice così oppure ho sbagliato anche questa volta?
- Eh, sì, signora cara!
"'O Padre Eterno
capuzziava, parlava isso sulo,
teneva mente in aria... Tutto nzieme
fece segno cu 'a mano. E nu lenzuolo
scendette sulla Terra lentamente,
lo stendettero a terra in piazza Dante
nu centenaro d'angele tutte vestute 'e velo -
nce ammuntunaino, dinto, 'e puverielle,
e s' 'e purtaino ncielo..."
- Eh, no! Adesso mi fai capire, perché non ho capito quasi niente...
- Ma non c'è niente da capire. Ricordi quando ti ho raccontato
che erano seduti davanti al bar, ad angolo tra via Tarsia e Via Toledo,
di fronte a Piazza Dante?...
- Sì, dove Di Giacomo e Croce si erano seduti per bere un buon
caffè?
- La poesia nacque là, in quel momento...
- Mi spieghi le parole?...
- Ma è così chiara!
- Molti termini in napoletano non li ho capiti, ti dispiace?
L'uomo bevve un sorso di vino, guardò intensamente la donna e...
ecco la versione in lingua italiana:
- Il Padreterno, muoveva la testa, parlava da solo, mentre guardava in
alto. Improvvisamente fece un segno e un grande lenzuolo scese sulla Terra,
lentamente; portato da un centinaio d'angeli che una volta a terra lo
stesero in mezzo della Piazza, presero i poverelli, li chiusero nel lenzuolo,
e se li portarono in cielo.
- Adesso ho capito! Come s'intitola questa poesia?
- Lassamo fa a Dio. Lasciamo fare a Dio. E si
compone di cinque parti: il Prologo (la descrizione
di quanto sta per accadere), La Carità
(Dio guarda i miserandi e li fa raccogliere in un grosso lenzuolo dagli
Angeli), La mappata (i poverelli avvolti nel
lenzuolo che salgono in cielo, dove offre loro un bel pranzo come non
l'avrebbe neppure sognato), è titolata La tavolata,
la Ninna nanna (mentre stanno passando dal
sonno alla morte).
Intanto il vino passava dalla bottiglia al bicchiere allo stomaco dell'uomo.
Te l'ho detto che Don Salvatore era un sempliciotto, oltretutto?
-
L'ha messo molto bene in risalto l'aneddoto della donna che chiede la
grazia a Gesù. Però, ti prego, non bere più può
farti male...
- Hai paura che vomiti in macchina sporcandola?
- Adesso cominci ad essere villano!
- Domando scusa. Perdona non avrei voluto... Che faje pe' cchesto c'aggie
ditto me lasse a metà strada?
- Senti parla di Di Giacomo... che parlando fai meno
danni...
L'uomo finge di non aver sentito e riprese.
Racconta Giovanni De Caro, che un giorno: "Ulisse
Prota Giurleo mi scrisse, perché gli comunicassi, l'indirizzo
della signora Concettina Coppola, vedova di Eduardo
di Capua, l'autore di "'O sole mio", avendo bisogno
di alcune notizie che gli occorrevano per un suo studio sui grandi musicisti
della canzone napoletana.
Io avevo letto sulla rivista "Tempo" un articolo di Luigi
Romersa dal titolo "La vedova di 'O sole mio!", che
iniziava così: "Piazzetta Pontecorvo, dove abita Concettina
Coppola, la vedova di Eduardo di Capua... ".
Mi reco, quindi, nella piazzetta Pontecorvo, che è a pochi passi
dalla mia Infrascata, e chiedo di lei a destra e a manca: nessuno la conosce!
Giro per tutta la zona, scendo in via Pontecorvo: anche lì nessuno
mi sa dire nulla di lei. Insisto e, finalmente, apprendo che la signora
Coppola, vedova di Capua, si era da tempo trasferita
a Santa Maria Capua Vetere. Informai Ulisse Prota Giurleo
e questi mi pregò di recarmi colà perché attingessi
io dalla signora Concettina le notizie che gli abbisognavano. Fu cosi
che ebbi la gioia di conoscere da vicino la vedova di "'O
sole mio!".
Assolto il compito, pensai di andare da Ulisse a Ponticelli
per fornirgli le notizie che avevo attinto. Andai una domenica in compagnia
del pittore Feliciano de Cenzo, amicissimo di Prota
e mio. Lo scrittore ci accolse con la sua proverbiale gentilezza; mi ringraziò
del favore e volle regalarmi alcune sue preziose pubblicazioni su Luca
Giordano e Massimo Stanzione: studi accurati
e profondi sulla vita e l'arte di questi due grandi pittori napoletani.
Nel vasto studio colmo di libri, la scrivania era addossata ad una parete;
in alto di questa, ci guardava, col suo sguardo un po' malinconico, Salvatore
di Giacomo in un fedele ritratto a penna. E del Poeta ci parlò
lo scrittore. Egli nutriva una grande venerazione per la memoria del Maestro
insuperato della poesia napoletana; e ci narrò vari episodi della
vita del Poeta; ci parlò della sua semplicità, della sua
apparente scontrosità, che mascherava un'innata timidezza; ci parlò
delle sue doti di acuto infaticabile ricercatore, dei suoi saggi, del
suo teatro. Mentre Prota Giurleo parlava, una voce dal fondo della mia
memoria mi ricordò questo aforisma:
"La prima virtù del genio è la semplicità".
Fra i tanti episodi digiacomiani di cui ci parlò, mi colpì
questo: Un giorno di Giacomo, Postiglione,
Schettini e lo stesso Prota Giurleo,
si recarono, a pranzo da Pignatiello sull'Arenella, dove si mangiava molto
bene. Essi, in special modo il pantagruelico pittore Luca Postiglione,
fecero molto onore al pranzo saporitissimo: vermicelli a vongole, fritto
di pesce, mozzarella in carrozza, frutta, vino, dolci.
Di Giacomo era stato riconosciuto da alcuni posteggiatori che eseguirono,
in suo onore, facendo sfoggio delle loro doti canore, molte sue canzoni:
Marechiare, 'E spingale francese, Palammo 'e notte,Serenata napulitana,
Lariulà, Mierolo affurtunato, 'A luna nova ed Era de maggio.
Il Poeta - disse Prota Giurleo - era intenerito: aveva gli occhi umidi.
Chiamò i posteggiatori e strinse loro le mani, complimentandosi
per l'efficace interpretazione delle sue composizioni. Ed elargì
ad essi, quale segno tangibile del suo compiacimento, una fiammante banconota.
Uno dei cantanti, fattosi ardito, gli chiese: - Maestro, quanno 'a screvite
n'ata canzone bella comme a cheste c'avimmo cantate?
- Quanno?... - rispose umilmente il Poeta, - quanno vo' Dio!
- Allora, Maestro, - esclamò il posteggiatore entusiasmato, - lassammo
fa' Dio! E si chinò a baciargli, con reverenza, la mano".
- Questo per farti capire meglio la personalità del Poeta Di Giacomo.
Mò, però, riprendiamo il nostro cammino...
- La donna si alzo di scatto. Siamo stati seduti mezz'ora, se non finisce
il viavai giapponese, a noi non ci si fila nessuno e tu vuoi andare via?
- Che hai capito? Intendevo,riprendere la visita del Museo di Capodimonte.
Dai, vieni a metterti qua vicino a me, davanti al cancello d'entrata.
La vedi quella cupola?
- E' quella del Santuario della Madre del Buon Consiglio,che sovrasta
la vallata delle catacombe di San Gennaro...
- Ahò! Tieni 'na memoria, ca fa' 'ntennerì! Entriamo?
- Si, andiamo.
- E, no. Prima dobbiamo visitare le catacombe...
- Non ti preoccupare, non scappano, le vediamo al ritorno dal Museo...
- Comme vuò tu! Però ti avverto che abbiamo visto quasi
tutto, dobbiamo vedere solo il salottino di porcellana e Giove che fulmina
i Titani un bellissimo gruppo di bisquit scolpito da Filippo Taglioni,
nel 1787. Era la parte centrale di un grande trionfo per adornare la mensa
di gala di Ferdinando IV. - Bevve un altro sorso di vino
e con accento ironico, rivolto alla compagna di viaggio: - hai un paio
da scarpette leggere e comode?
- Perché che cosa vorresti fare?
- Una bellissima camminata...
- Dove vorresti andare?
- Visto che da Capodimonte, siamo in discesa per andare al centro di Napoli,
faremo in un batter d'occhio... Ritorniamo al punto di partenza... - la
donna lo guardava stralunata, come si guarda uno che sragiona - ...
- Al... punto di partenza? Quindi vuoi riportarmi a Piazza Dante? O al
Museo Archeologico?...
- Facciamo una capatina a Piazza del Plebiscito ed in un batter d'occhio,
là per là...
- San Pietro si era cambiato d'abito ed era già pronto per la partenza...
- No. Se trovarono in mezzo Piazza Dante... - Risero entrambi come due
idioti. Quanto gli piaceva la risata gorgogliante di quella donna disinibita!
- Ecco serviti i signori! - Interruppe il cameriere - Com'è bello
vedere due persone spensierate in questo marasma di paure e affaticamenti...
- I giapponesi?
- Finalmente sono andati via. Grazie per essere stati pazienti.
- La mia pazienza... - disse l'uomo - mi ha fatto scolare una bottiglia
di vino...
- Gliene porto un'altra.
- Grazie, sì!
Il cameriere si allontanò e la donna lo rimproverò con lo
sguardo:
- Ti avevo pregato!
Cade un silenzio come una coltre da tagliare col coltello. Nessuno dei
due ha il coraggio di cominciare a mangiare prima dell'altro. Lui imbronciato,
lei con sorrisi ammiccanti tenta di farlo sorridere, non ci riesce.
Al tavolo di fronte a loro si siede una coppia, l'uomo ha un giornale
in mano, è proprio di fronte all'autostoppista il quale borbotta:
- Neanche la possibilità di comprare un giornale per tenersi aggiornati.
- Basta parlare. - La donna si alza e va verso l'edicola dell'autogrill.
Ritorna con il "Corriere della sera".
L'uomo lo apre e a pagina Nove trova un titolo che lo fa saltare dalla
sedia: "Il moniloggo di Dakel Abbas"
di Oriana Fallaci. Quel titolo lo immobilizza. Dopo qualche
secondo comincia a tremare come una foglia...
La donna cerca di rincuorarlo... si precipita dalla cassiera per sapere
dove avrebbe potuto trovare un'analgesico. L'austoppista la calma dicendole
che la crisi è passeggera: deriva dal ricordo improvviso...
- ... ricordo improvviso?! Fa eco la voce della donna.
- Sì. Il ricordo di una sera di settembre del 1943. Mio nonno affacciato
al balcone che guardava le fiamme che si alzavano nella notte, il pavimento
che tremava sotto i piedi... ed io che monologavo, ché lui non
mi ascoltava. Dopo aver tanto pianto e il fragore delle bombe era passato
lui mi prese in braccio e asciugandomi gli occhi disse:
- Secondo se fossimo andati al ricovero non sarebbe stata la stessa cosa?...
- Sai che questa guerra non mi ha fatto riposare e per molto tempo? Vedi...
siamo giunti al Giovedì Santo; fra due giorni è Pasqua e
noi stiamo parlando tranquillamente di arte, dimenticando è la
guerra e la Pasqua... Ti sembra che siamo persone normali?
- Se fossi stata normale non ti avrei preso a bordo. Ho visto subito che
ci somigliamo e... come dite voi a Napoli? "Se non son matti non
li vogliamo!"...
- Hai visto che sto meglio? Chissà se a casa dei miei trovo la
"pastiera" una specialità culinaria riservata al periodo
pasquale. Lo sai che nel nostro Paese, la Pasqua, pur avendo la medesima
matrice si differenzia da una regione all'altra per antiche tradizioni
pagane, non sostitute del tutto con il rito religioso cristiano?
- Perché non me ne parli?
-
La cerimonia più suggestiva si svolge,senza dubbio, a Enna
e dura tutta la Settimana Santa. In questa occasione
si susseguono una serie di cerimonie, nelle quali il culto religioso si
fonde, in un'originalità eccezionale, col folclore. Particolare
attrazione è la sfilata delle singole Confraternite verso il Duomo,
a cominciare dalla Domenica delle Palme, fino al Mercoledì Santo,
per raggiungere il culmine il Venerdì Santo, alla quale partecipano
centinaia di fedeli che vestono la classica e variopinta casacca, con
gli stendardi, i simboli e le insegne antiche delle Confraternite medioevali.
La processione si snoda per le vie di Enna provocando un senso di commossa
mestizia nella popolazione ennese e nei forestieri che vi si sono recati
appositamente per assistere, che restano contagiati dalla suggestiva,
determinata e lunga processione che precede l'urna del Cristo Morto ed
il fercolo secentesco sul quale è portata la statua dell'Addolorata.
In
Calabria l'emozione che scatena i cuori è la marcia saltellante
"de' vattienti" (i battenti), così
chiamati perché si flagellano con un bastone di sughero che ha
incorporato pezzi di vetri, col quale ogni battente percuote l'ecciomo
(Ecce Homo), fino a fargli sanguinare le carni e per il passo caratteristico
di "corsa podistidica". Ad ogni sosta
le donne lavano col vino o con un infuso di rosmarino le ferite dei "vattienti".
Non di rado, qualche turista, ha pensato che si stesse girando un film.
La domenica di Pasqua, poi, si svolge "l'affruntata". La più
celebre è quella di Vibo Valentia, la
più commovente si svolge a Dasà,
un piccolo paese in provincia di Catanzaro che
non raggiunge le duemila anime. Già leggo la domanda nei tuoi occhi...
- Già! Che cosa è l'affruntata?
-
"L'affruntata" non è altro
che l'incontro del Cristo Risorto, con l'Addolorata
e San Giovanni, portati in spalla da fedeli che chiedono
una grazia o che l'hanno ricevuta. Le statue, partite da tre punti diversi
del paese procedono verso la piazza principale. San Giovanni, appena vede
la Madonna le corre incontro per annunciarle che Gesù
è Risorto; appena all'angolo della pizza appare la statua del Salvatore
lo raggiungono, seguiti dalle festose note della banda musicale; mentre
le statue si allineano sulla testa dei presenti, all'Addolorata viene
strappato il mantello nero del lutto, sotto il quale appare uno di colore
azzurro. A questo punto inizia la vendita all'incanto del manto nero della
Madonna e chi riesce ad aggiudicarselo lo può tenere a casa per
settimana.
In Campania e a Napoli in particolare, la Pasqua ha il significato, oltre
che religioso, quello di festeggiare "puramente" la primavera.
Il popolo partenopeo, che è molto credente e, praticante ad ogni
costo, dopo aver assolto ai doveri religiosi, il Giovedì Santo,
va a fare "i Sepolcri" ed è necessario, per ultimare
il rito, che si entri in sette chiese diverse recitando, in ognuna di
esse, il "Gloria, Ave Maria e il Padrenostro" altrimenti l'offerta
della preghiera non è completa; i vecchietti si accontentano di
entrare e uscire sette volte dalla stessa chiesa e poi ritornano a casa
lieti di aver assolto il dovere religioso. I più giovani, indossano
il vestito da mezza stagione, le ragazze il lungo vestito da sera, di
seta pura, lasciando per ultima la chiesa di San Francesco
di Paola, di cui ti parlerò, camminando, come se
volassero, per via Roma (ex via Toledo), facendo di tutto
per far strusciare il lungo vestito di seta sul marciapiedi, da questo
il detto: "vai a fare 'o struscio?". La passeggiata inizia sempre
di buona mattina in modo che i giovanotti possano mostrare il vestito
primaverile (una volta vestivano di tutto punto, con paglietta e bastoncino,
giacca sbottonata per mettere in vistosa luce la grossa catena d'oro che
portavano, legata ai due lati, le chiavi di casa e l'orologio a cipolla):
giacca sbottonata per mostrare il bellissimo panciotto con la catena d'oro
ad arco, tra un taschino e l'altro. Trovarsi in questo giorno a Napoli
è come assistere al passeggio di "Fiori di carne"
sotto un sole caldo e un cielo azzurro e pulito (lo è ancora?).
Nei paesi della regione le funzioni della Settimana Santa sono, qua e
là, molto suggestive. Le preparazioni per la Pasqua iniziano la
prima domenica di Quaresima. Le donne di casa, dopo aver assistito alla
messa, prima di iniziare a preparare il pranzo, seminano, in vasi comprati
per l'occasione, lenticchie, patate, grano e orzo, che poi si premurano
di innaffiare giorno per giorno. Il Giovedì Santo, dopo averli
addobbati di carta colorata e fiocchi altrettanto vivaci, li portano in
Chiesa per cintarne il Sacro Sepolcro. Il Venerdì
Santo dopo che un Frate Passionista ha tenuto l'omelia della
Passione e Morte di Gesù, con la statua
di Gesù morto, seguita dalla statua dell'Addolorata,
si fa il giro del paese in processione solenne. Il Sabato Santo si assiste
alla benedizione dell'acqua e del fuoco che poi, in fila ordinata, ogni
fedele prende acqua in una bottiglietta, dalle mani del sacerdote, e in
un fazzoletto ricamato un po' di cenere benedette.
Il giorno di Pasqua è riservato alla culinaria, e questo non permette
all'uomo di avvicinarsi alla cucina; allora eccoli riuniti nella piazza
centrale del paese a parlare di politica o in un piazzale sterrato a giocare
a bocce.
La specialità culinaria di questa regione, in occasione della Pasqua
è semplice e leggera. Anche il dolce tipico napoletano ha le stesse
caratteristiche.
La "Pastiera", tanto rinomata in tutto il mondo è di
una leggerezza... tanto che tutti la possono mangiare. I suoi ingredienti
sono: "farina bianca, chicchi di grano duro, zucchero, cedro
e arancia candida a dadolini, acqua di fior d'arancio, cannella in polvere,
latte, uova, sale".
- Non dirmi che stai ritornando a Napoli per la pastiera?! - Chiese timidamente
la donna...
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