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“Così abbiamo capito cos’è un’opera d’arte.
È voler male a qualcuno o a qualcosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c’è sotto l’odio. Nasce l’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi”.
(Lettera a una professoressa - Scuola di Barbiana - don Lorenzo Milani)
- A volte capita di essere concentrato su qualcosa e di trovarti d'improvviso spiazzato non appena alzi la testa. Inebetito ti accorgi che il mondo intorno a te è cambiato, non è più come lo avevi lasciato; quel qualcosa su cui eri concentrato diventa inutile e silenziosamente si eclissa, svanisce. Ti ravvedi e, con circospezione, cerchi di recuperare l'imperfetta sincronia con quel mondo dimenticato, riavviando il tuo incerto cammino nella selva oscura. Ebbene, è capitato al sottoscritto.
Il giorno del "Dantedì", mentre mi dibattevo tra minacciose pandemie, varianti virali, vaccini concorrenti, emergenze sanitarie, coordinamenti scientifici più o meno autorevoli, quaresime dimenticate e Pasque incombenti, ecc., mi è capitato di leggere un avviso peregrino incastrato tra i notiziari pandemici:
Il 25 Marzo, data che gli studiosi individuano come inizio del viaggio ultraterreno della Divina Commedia, si celebrerà per la prima volta il "Dantedì", la giornata dedicata a Dante Alighieri recentemente istituita dal Governo. Il sommo Poeta è il simbolo della cultura e della lingua italiana, ricordarlo insieme sarà un modo per unire ancora di più il Paese in questo momento Pw, condividendo versi dal fascino senza tempo.
Mortificato per la mia estraneità, per essermi dimenticato di quella ricorrenza importante; scioccato e frastornato dal senso di colpa, ho chiuso tutti i canali comunicativi mettendo a tacere la baraonda pandemica e fissando il mio pensiero su Dante.
- Come un automa, giranzolando per casa, mi son ritrovato davanti allo scrigno della mia memoria - rappresentato incidentalmente dalla biblioteca personale dislocata in un angolo del soggiorno - e ho aperto i battenti della porta-vetrina per cercare testi su Dante e di Dante. Il primo che mi è capitato tra le mani è stato un libretto tascabile con la copertina gialla, che riposava addormentato sui libri dis-ordinati nella teca; il titolo, ben evidente sulla copertina, aveva un sapore pasquale: "Vita Nuova"; con l'umore rinfrancato dall'auspicio di quel titolo, con infantile e indomita curiosità ho aperto quel timido libretto; saltate le pagine della prefazione contemporanea, mi son presentato rispettoso all'inizio del testo dantesco; l'incipit mi ha stimolato una riflessione:
In quella parte del libro de la mia "memoria" dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello; se non tutte, almeno la loro sentenzia.
Dunque, anche Dante, nell'introdurre l'opera, è ricorso alla girardiana memoria affettiva.
Chiuso i libretto di Dante, ho continuato la ricerca di altri volumi su Dante; in particolare, mi sono ricordato di aver acquistato da poco, la prima edizione (1841) di un libro di Federico Ozanam, "Dante e la filosofia cattolica del Tredicesimo secolo" (prima edizione 1841) - . Un altro libro, più recente, che mi era stato suggerito da un amico tedesco: "Dante" di Romano Guardini, (prima edizione 1967), che aveva stuzzicato la mia smania di possesso della letteratura, incolonnato in libreria attendeva di essere letto.
Da questi due testi ho tratto i due brani che ho bloggato in rapida successione nel mio blog con due titoli originalissimi: "Pagine su Dante-1" e "Pagine su Dante-2". Ma non ero soddisfatto, sentivo che mancava qualcosa: le due bloggate non corrispondevano a ciò che avrei voluto esprimere: anche se parlavano entrambe di Dante, apparivano autarchiche, slegate, non connesse; nella ri-lettura non percepivo l'umus autorale unificante: io ero uno, loro erano due: due autori diversi, tempi diversi, sensibiulità diverse, scritture e diverse. Dovevo rimediare.
In quel tempo, si apprestava la Pasqua di Resurrezione e i due brani trattavano di temi che potevano essere ricompresi nel grande tema pasquale ovvero del passaggio; temi come storia e memoria, sacrificio e trasfigurazione; ma la resurrezione, che poteva esser assimilata alla Vita Nuova dantesca, accennata nel brano di Guardini, non legava con il personaggio di Dante, vittima sacrificale e santificata dalla storia, descritto nel brano di Ozanam. Mi sono fissato allora a guardare ambienti situazioni e personaggi raffigurati nella "Disputa del SS. Sacramento" da Raffaello, (inserito nel brano di Ozanam) e mi è balenata la soluzione per legare il tutto.
Cosa ha voluto rappresentare Raffaello in quel magnifico affresco? La risposta teologica, per me che cercavo l'unità, era evidente: l'unione tra il cielo e la terra, tra lil divino e l'umano: in termini religiosi: l'Eucarestia. L'ostia consacrata che campeggia al centro dell'affresco era il simbolo dell'unità di vita generatrice dell'unicum esistenziale. Con questa ispirazione e aspirazione unitaria, cerco e trovo trovo il terzo elemento: "L'ultimo convegno", un brano di Guardini tratto da un'altra sua opera "Il Signore". Dunque, girardianamente, la memoria affettiva possiamo considerarla come il collante umanistico e letterario, l'umus ispiratore che unisce sia i brani della triade, sia gli autori, sia le mie remiscenze testimoniali.
- In tempi scolastici, ero assillato dalla memoria che, come vacua nube, tutto avvolgeva: pur nella sua estrema volatilità e inconsistenza, riusciva ad oscurarmi l'esistenza. Leggevo bene i versi; mantenevo il ritmo delle rime baciate e/o alternate, pulite e cadenzate, con accenti marcati e silenzi d'attesa; poi chiudevo debolmente gli occhi e ripetevo a mente e ad alta voce, quel che ricordavo della poetica lettura; anche se ogni tanto e di nascosto, ero costretto a socchiudere gli occhi per sbirciare quel vocabolo dimenticato, quel nome o quella frase che si erano eclissati magicamente tra i ricordi dell'ultima partita di pallone giocata a perdifiato nel campetto della scuola.
Niente da fare, la memoria non mi voleva baciare ed io, per dispetto, ho cominciato a trascurarla, a non darle troppa importanza: mi convincevo forzatamente che non la meritava; e non mi importava, nè dei voti, nè delle rime, nè del poeta; - che magari s'era pure preoccupato di comporre quelle rime sciolte per farmele arrivare, belle e incorrotte, così come l'aveva concepite nel suo cuore -; ma la storia e il tempo stesso corrompono la poesia trasformandola e trasfigurandone significato e senso originali in qualcos'altro: una nuova e diversa poesia, con le stesse parole, le stesse rime, gli stessi silenzi; ma che a me restava ostica, incompresa, non sentita, inconoscibile, estranea, con il solo valore formale ed estetico impresso dal poeta; che a appariva come un involucro (forse) bello ma vuoto, il cui contenuto non mi si svelava, non si faceva conoscere.
Poi un giorno, d'incanto, m'è capitato di leggere un poema divino, canti polifonici, ritmi ancestrali, sensazioni viscerali; a ogni verso sentivo il sangue pulsare nelle vene; erano i versi di una commedia scritta da un migrante esiliato; un uomo che raccontava la sua storia in versi, come fosse l'esecuzione di uno spartito musicale; il suono ardito e indomito, una musicalità un po' toscana, un po' latina e un po' divina; io capivo tutto quel che raccontava proprio perchè non mi limitavo a leggere e ripetere ma ascoltavo la musicalità delle parole, sentivo il pulsare del cuore; non era poesia di un sogno, ma era narrazione, storia, realtà vissuta; una realtà fatta di carne, di sangue e di palpiti; la narrazione, le invocazioni e i soliloqui verbali dei personaggi, trasmettevano paure incombenti, rabbie represse e desideri irrisolti; sentivo pulsare il cuore di chi parlava in quei versi, ordinati, puliti, luminosi e tenebrosi: veri. Era come essere un personaggio tra quei personaggi; un personaggio non dichiarato, misterioso come l'uomo del futuro, vestito di sogni e immaginazione; un personaggio immaginario che valuta, giudica, condanna e assolve, partecipa, fugge e a volte, rimuove: distaccato dagli avvenimenti; una specie di giudice universale dell'umanità sepolta nel sottosuolo della storia: fuori dalla narrazione e dal tempo narrato ma ad essi legato come memoria: memoria affettiva. Avevo scoperto finalmente la poesia ma non ancora la filosofia; a quei tempi, non me ne importava granché.
Il libro - Oltre mezzo secolo dopo le memorabili avventure, un amico mi parla di un libro dal titolo lunghissimo: "Dante e la filosofia cattolica del tredicesimo secolo"; faccio un balzo indietro con la memoria e mi rivedo ai tempi delle passate avventure. Quel titolo ha risvegliato in me la voglia di conoscere Dante e il suo mondo. Quel libro lo dovevo leggere; l'ho cercato, l'ho trovato, l'ho comprato...lo sto vivendo.
Un libro usato, un po' sgualcito; la rilegatura, ormai allentata, teneva insieme a fatica quella manciata di pagine ingiallite. Non mi lascio intimidire, lo apro e lo sfoglio con molta attenzione e delicatezza; con prudenza poso lo sguardo su ciò che è scritto per dare il via alla nostra reciproca conoscenza. Sembrava che lui, il libro, avesse timore di miei possibili gesti inconsulti e del mio sguardo indagatore; ma timidamente, pian pianino mi si svelava; ho potuto leggere i suoi segreti, le reticenze, le cose nascoste fin dalla fine del mondo. Ho letto il titolo - che conoscevo per sentito dire - l'autore, il traduttore, la data d'edizione e l'editore; ho anche letto qualche frase qua e là tra le pagine, per rendermi conto della struttura e dello stile. Poi, valutata la rispondenza con le mie aspettative, ho deciso di farlo rilegare prima di leggerlo; perché avevo un gran paura di ucciderlo, di smaterializzarlo, di frammentarne la memoria.
L'autore - Così ho conosciuto Federico Ozanam - (che fino ad allora conoscevo solo come toponomastica: a lui è titolata una strada del quartiere romano di Monteverde) - l'autore di quelle pagine mnemoniche e conoscitive sul Dante medioevale e sulla filosofia e teologia che alimentano e sostiengono tutta la sua opera. Ozanam fu l'uomo che dopo sei secoli di storico oblio, ha resuscitato e rivalutato l'immensità e l'umanità storica dell'italico poeta, difendendo la sua tesi nel santuario culturale della parigina Sorbona; collocando Dante al posto che merita nel Pantheon della letteratura mondiale.
La conoscenza - "Tutti gli eroi del romanzo s'attendono dal possesso una metamorfosi radicale del loro essere". (Renè Girard). La conoscenza può, dunque, declinarsi come possesso cognitivo della realtà, intesa come oggetto del desiderio dell'autore. Nel nostro caso, Ozanam, prima di addentrarsi nella trattazione del tema di fondo, "Dante e la filosofia cattolica del XIII secolo", scrive un'introduzione che proietta il lettore nell'immaginario artistico, semplicemente raccontando una sua memoria affettiva: la visita al santuario dell'arte cristiana: le Sale di Raffaello in Vaticano. È dunque la memoria affettiva dell'incontro con la raffigurazione artistica di Dante, il cuore pulsante delle tesi narrate di Ozanam. (Primo elemento della triade pasquale)
- L'incontro con l'opera. È sempre una memoria affettiva lo spunto dell'altro autore, Guardini, per narrare il suo incontro con Dante. Nell'ultimo capitolo della sua monografia dal titolo emblematico: "Preparazione a Dante", Guardini inserisce un brano quale epilogo soggettivo della sua opera. Una specie di diario personale che l'autore ha voluto inserire per migliorare la comprensione della sua ricerca:
"Infine ho pensato di poter aggiungere un piccolo schizzo semibiografico riguardante la via che mi ha portato a comprendere il grande poema.(...) Ritenni di poter inserire qui lo schizzo, poichè il suo contenuto va forse al di là di un significato puramente personale. Ho cercato di ovviare alle mie incertezze mediante il sottotilo: "Epilogo soggettivo".
Una vera e propria confessione di soggettività quasi a voler rafforzare la conoscenza di Dante come uomo prima che come poeta.
Oltre alla memoria affettiva, un altro aspetto lega questi primi due elementi della triade: l'opera intesa come raffigurazione dell'umano e trasfigurazione al divino. In Ozaman, Dante è umanamente raffigurato nel magnifico affresco di Raffaello chiamato "Disputa sul Santissimo Sacramento". In Guardini il riferimento è la luce trasfigurante notata in Engandina:
"Forse un giorno mi sarà concesso di esporre in forma più circostanziata quanto là imparai - specialmente quando, quasi a chiarirmi quella elevata chiarezza vi si aggiunse la dolce luce ottobrina dell'Algau e poi ancora quell'oro caldo che dalle colline del veneto è defluito nei quadri di Tiziano."
- Il terzo elemento della triade, non riguarda dunque le pagine su Dante; ma riporta brani riferiti all'ultimo convegno presi da "Il Signore" di Guardini. Che c'entra con Dante? La risposta non è nel vento (come cantava Elvis) ma nella memoria affettiva (come scrive Girard). L'argomento riguarda la preparazione (parasceve) del rito pasquale (passaggio) con cui gli ebrei richiamano memoria dell'esodo liberatorio dall'Egitto. Per i cristiani come Dante, la Pasqua ebraica è diventata Pasqua di Resurrezione, perchè proprio in quei giorni del rituale ebraico avvennero i fatti raccontati nel triduo pasquale cristiano:"Passione, Morte e Resurrezione di Cristo".
Dopo questa sommaria piega religiosa, ritornando alla titolata triade, la raffigurazione dell'ultima cena raccontata da Guardini può essere intesa come il momento catartico dell'addio. Il Maestro è con i suoi discepoli nel cenacolo per celebrare la Pasqua ebraica, questo ultimo convegno si trasforma per i poveri discepoli in qualcosa d'inquietante: uno smarrimento ben evidenziato da Raffaello nella sua ultima cena interpretando da par suo ciò che è scritto nei evangelici.
"Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà".
L'inquietudine serpeggia tra loro; ciascuno (tranne uno) si sente accusato ingiustamente e cerca negli altri il traditore.
Ma in quell'ultima cena c'è un'altro importante evento difficile da capire per i discepoli: la transustanziazione del pane e del vino in corpo e sangue di quel perfetto uomo e perfetto Dio."Fate questo in memoria di me" dice il Maestro mentre porge il pane e il calice di vino ai discepoli.
Certo, vedere nel pane e nel vino il corpo e il sangue del Maestro non è cosa facile da comprendere e capire; ma la memoria affettiva fa brutti scherzi. Infatti, dopo qualche giorno, sulla strada di Emmaus, due discepoli incontrano uno sconosciuto; e capiscono il significato di quelle parole, condividendo il pane che lo sconosciuto aveva spezzato e offerto a loro: "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero".
Dunque, anche il terzo elemento della triade pasquale è una raffigurazione letteraria di una grande memoria affettiva quella dell'eucarestia: "il principale sacramento della religione cristiana che, per mezzo della transustanziazione del pane e del vino (materia del sacramento) e tramite le parole del sacerdote “questo è il mio corpo” e “questo è il calice del mio sangue” (forma del sacramento), continua l'incarnazione del Verbo e attua la comunione dei fedeli con il Redentore.(wikipedia)
L'opera artistica che ho scelto per raffigurare questo catartico momento eucaristico è l'ultima cena raffigurata nelle Logge di Raffaello che mostra, nel suo dinamismo figurativo, l'inquietudine che precede la transustanzazione - la trasfigurazione divina già raccontata da Guardini nel suo epilogo soggettivo; l'iquietudine chetata dalla luce provata Guardini in Engandina, è la stessa iquietudine che serpeggia tra i discepoli nell'ultima cena.
Il momento eucaristico dell'inquieta ultima cena di Raffaello si ricongiunge con l'affresco contemplato da Ozanam "Disputa del S.S. Sacramento" di Raffaello e nel paesaggio contemplato da Guardini in Engandina raffigurato da Tiziano in "Amor sacro amor profano".
Dunque sia Ozanam che Guardini, i loro personaggi e noi lettori siamo vincolati dal passaggio dell'uomo nella storia e dalla nostra storia personale. Tutti siamo legati alle memorie affettive nonché storiche, raccontate nelle opere d'arte sia letterarie sia figurative; anche l'arte è un passaggio, un racconto divinizzante, trasfigurato e trasfigurante, che è anche il nostro racconto, la nostra memoria affettiva, la nostra vita.
Il modo di scrivere degli autori, la forma e il contenuto dei loro racconti è una raffigurazione letteraria (*) delle rispettive memorie affettive:
Ozanam scrive di una sua visita alle Sale di Raffaello in Vaticano a Roma;
Guardini scrive alla delle occasioni, incontri e avvenimenti che lo hanno portato a scoprire la divinità nell'opera di Dante.
Dal commento di Guardini su L'ultimo convegno, possiamo risalire alla girardiana memoria affettiva che lega il brano agli altri due della triade. L'autore entra nella scena che descrive e ci racconta dei discepoli, del Maestro e di quel "legame in cui umano, spirituale, personale, religioso confluivano in una cosa sola". Ebbene, questa "cosa sola" in cui tutto confluisce è la nostra memoria affettiva, la memoria del passaggio, la memoria dell'amore per il mondo... per quel mondo che, nonostante tutto, Dante, Ozanam e Guardini amavano appassionatamente.
A. Federico OZANAM
Antoine-Frédéric Ozanam (Milano, 23 aprile1813 – Marsiglia, 8 settembre1853) è stato uno storico e giornalista francese. Apologista cattolico, fu il fondatore della Società San Vincenzo De Paoli (inizialmente conosciuta come "Conferenza di Carità"), beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1997. Nel 1836 si laureò in Giurisprudenza e nel 1838 in Lettere con una tesi su Dante. Più tardi la tesi in francese ebbe forma definitiva e uscì (1839) a Parigi con il titolo D. et la philosophie catholique au treizième siècle (nuova ediz. con aggiunte, Parigi 1845). Il libro ebbe grande fortuna, in Francia e all'estero; fra le traduzioni immediate, una in inglese, una in tedesco e una - di P. Molinelli, Milano 1841 - in italiano.
Fu nominato professore di diritto commerciale a Lione e, successivamente, professore assistente di letteratura straniera alla Sorbona; si stabilì quindi a Parigi dove iniziò un'intensa carriera accademica e giornalistica. Nel giugno del 1841 si sposò con Amélie Soulacroix, originaria di Lione. Nel viaggio di nozze visitò l'Italia. Da questo matrimonio nascerà una figlia nel 1845.
Nel 1844 fu nominato professore ordinario di letteratura straniera alla Sorbona. Nonostante i numerosi impegni, non cessò le sue regolari visite ai poveri come membro della Compagnia di San Vincenzo. Durante la rivoluzione del 1848, alla quale si oppose, tornò per un breve periodo al giornalismo, essendo tra i fondatori del giornale Ere Nouvelle e di altri periodici. Fece numerosi viaggi, tra i quali uno a Londra durante l'Esposizione Universale del 1851.
Nel 1853, ammalatosi, si dimise dai suoi incarichi universitari e partì per l'Italia in cerca di sollievo. Morì a Marsiglia, durante il viaggio di ritorno, probabilmente per un problema renale. Molte delle sue opere furono pubblicate postume. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 22 agosto 1997 nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi, nel corso della XII Giornata mondiale della gioventù.
(I brani inseriti su "Pagine di Dante - 1" sono tratti dall'introduzione di A. F. Ozanam alla traduzione italiana di P. Molinelli)
Romano GUARDINI
Romano Guardini nacque a Verona il 17 febbraio 1885 da padre veronese e madre trentina. nel 1886 la famiglia si trasferì per lavoro in Germania; dopo i primi studi a Magonza, frequenta facoltà teologiche di Tubinga e di Friburgo, fino all'ordinazione sacerdotale nel 1910. Il suo ministero si realizzò soprattutto nell’impegno educativo e nell’insegnamento accademico. Nel 1923 gli fu affidata la cattedra di Katholische Weltanschauung da poco istituita a Berlino.
I suoi studi, la sua origine e la sua indole lo hanno portato a nuovi metodi d'insegnamento basati sul confronto libero approfondito tra la figura storica di Gesù Cristo, narrata nei vangeli, - la cui sintesi costituisce il testo de "Il Signore" - e le opere dei grandi autori della cultura occidentale, da cui le corpose monografie dedicate agli autori Dostoevskij, Agostino, Pascal, Socrate, Dante, Hölderlin, Rilke.
Divenuto da tempo una voce scomoda per il potere nazista, nel 1939 la sua cattedra di Katholische Weltanschauung venne soppressa. Gli anni del dopoguerra li dedica, oltre che nella stesura di numerosi contributi in ambito teologico, antropologico e spirituale, in una riflessione intensiva sulla tragedia del nazismo e sul rapporto tra libertà e potere; tra i suoi interventi più significativi, il discorso - "viva la libertà" - tenuto a Monaco nel 1958 commemorazione dei giovani martiri della “Rosa Bianca”.
Romano Guardini morì a Monaco il 1 ottobre 1968.
(Il brano inserito in "Pagine su Dante - 2" è Il capitolo X - "Preparazione a Dante - Epilogo soggettivo" della raccolta monografica dei suoi studi su Dante "Il Paesaggio dell'eternità") - (Il brano "L'ultimo Convegno" è preso da "Il Signore")
Rosario Frasca (Pozzallo, Ragusa, 18/12/1951) si trasferisce a Roma nel 1957. Compiuti gli studi tecnici, nel 1971 lavora presso un ente ministeriale dello spettacolo; nel 1972 all'INAIL di Torino e nel 1974 alla Direzione Generale di Roma. Dal 2012 è in pensione e ritorna a frequentare teatro e teatanti; e a coltivare le passioni giovanili per arte, musica, cinema e letteratura. Collabora con articoli, recensioni e discussioni nel sito di Letteratour, applicando le dinamiche del "desidero mimetico" di René Girard.
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